Terraiolo e gli incanti del fanciullino che è in noi

di Francesco Greco.  
MAGLIE (Le) – I casi della vita. Un medico, Cosimo Negro (radiologo all’ospedale “Daniele-Romasi” di Gagliano), telefona: “Devi assolutamente conoscere un artista…”. Diciamolo: questo mestiere spinge al disincanto. Sei costretto alla cernita fra tutti i poeti, scrittori, pittori, scultori, saggisti ansiosi di visibilità: la scolarizzazione di massa ha prodotto performance di massa, ma saper tenere in mano un pennello, o cos’è l’endecasillabo non vuol dire essere pittori o poeti. La password dell’arte è altra cosa. Scarto etimologico difficile, di cui pochi sono capaci, per lasciare il segno.

   Fidandoci del gusto estetico dell’amico, armati di penna e taccuino, ci ritroviamo a Maglie, galleria d’arte “Francesca Capece” (piazza Aldo Moro), accanto al celebre  Liceo. Marco Federico Gagliani è un ragazzo essenzialmente timido. Di quelli che amano ascoltare più che parlare, perché alle parole attribuisce un senso profondo, non relativizzato dalla quotidianità logorroica. E’ nato a Castrignano del Capo (due passi da Leuca), nel 1961. Ha alle spalle un vissuto non facile: è rimasto orfano ancor prima che nascesse. Ha studiato da geometra, ha moglie e figli. Si dedica al restauro di vecchie case, insegna ai “discepoli” a manipolare i materiali della terra (specie il violo), a entrare in sintonia con la loro anima, trasmette così un patrimonio di valori: da qui il soprannome: “Terraiolo”.

   Quando il mondo lo annoia, o lo disgusta, se ne va in una vecchia casa vicino al mare di Patù (San Gregorio, lo Jonio del mito infinito): ascolta rapito la voce delle onde, il fremito del maestrale fra i rami degli ulivi, il canto dei pettirossi al mattino, si ferma incantato a guardare i fiori di campo. Immaginiamo che gli amici abbiano faticato a convincerlo a proporsi per la prima volta in vita sua. E meno male che ci sono riusciti, perché la mostra (intrigante già nel titolo: “Dal Capo sfumature di fine Terra”, fino al 5 gennaio, 10.00/13.00, 17.00/22.00, info: 338-2754114, federicogagliani@libero.it) è un’emozione unica, da far venire i brividi, perché il suo cuore è quello del fanciullino pascoliano che è in lui, e in noi, che apre lo sguardo sul mondo, le cose, i sentimenti, dando voce ai suoi incanti, stupori, pudori.

   Gagliani recupera il senso della vita e dello stare al mondo, fa respirare il tempo andato, il pathos di un mondo che troppo in fretta abbiamo destrutturato. Riesce a catturare l’anima del passato di una terra ricca di pulsioni, di energia universale, di dolcezza e poesia in cui siamo immersi ma con cui non sappiamo entrare in sintonia, confusi dalla volgarità della modernità e le sue icone, storditi dalla solitudine a cui ci vogliono condannare anche con i socialnetwork. In presentazione Giovanni Giangreco parla di “pennellata grassa, talvolta larga, accompagnata, nei tratti più leggeri, da velature trasparenti che determinano la leggerezza delle composizioni… ”. “Il Terraiolo – aggiunge il critico d’arte – è riuscito a vedere nella natura e nella storia l’essenza delle cose, il valore etico che diventa anche estetico…”. Autodidatta, naif come Ligabue, primitivo alla Gaugain, selvaggio e rabbioso come Van Gogh: sarebbe però errato confinarlo nella memoria liquida del “come eravamo”.

E’, al contrario, ben dentro il XXI secolo. In un dipinto, “Lampedusa”, i naufraghi galleggiano (in foto) tra le onde cattive nuotando verso la terra promessa (il tricolore italiano); in un altro una donna non riesce a scuotersi dalla depressione; poi ci sono le donne che vendono il proprio corpo (“Mercificazione”) e i media che l’hanno ridotte a oggetto, le case dentro un canalone per dirci dell’arroganza dell’uomo che sfida la natura: una pioggia violenta (“L’alluvione”) le spazzerà via. Il mare sotto lo schiaffo violento del maestrale, “La rimonda”, con le scale sospese fra gli ulivi secolari “luccicanti di rugiada”. Al pubblico piace un curioso albero di Natale “contro il consumismo”, dice Marco. In realtà è un “tribute” al mondo contadino di cui è figlio e che alimenta la sua creatività: dall’anta di una vecchia scala spuntano un fischietto di terracotta, una “luscedda”, una fionda d’ulivo, una chiave a “mascaru”, un vecchio recipiente per il latte. Oggetti-simbolo che evocano ricordi, memorie, appartenenze, semanticamente “affollati di emozioni - così li vede il Terraiolo – poiché tutto può divenire arte. Ogni emozione è fondamentale per tassellare un percorso di vita. I miei dipinti non sono opere ma frammenti di colore. E ognuno rappresenta una protesi della vita”.  

   L’artista è stato presentato con un’emozionante serata-evento, costruita dagli amici più cari, in primis Leonardo Ferilli e coordinata dalla deliziosa Valentina Stanca. Sono intervenuti: il sindaco di Castrignano Anna Maria Rosafio, di Maglie Antonio Fitto, il presidente della Fondazione “Capece” Dario Vincenti, Giangreco Sovrintendente per i Beni Ambientali e Paesaggistici della Soprintendenza di Lecce, il collega Nunzio Pacella, mentre i “Musicanti di Patù” (il fisarmonicista Franco Arcuti, la violinista svizzera Ursula Matti e il chitarrista di Vinicio Capossela), con vecchie pizziche, canti d’amore e di lavoro, hanno dato all’affollata manifestazione un tocco d’allegria (in foto). Commozione generale quando Gagliani (che porterà i micropaesaggi a Gallipoli, Otranto, Berna, forse il Belgio) ha dedicato la mostra all’amico “Pippi”, di Giuliano, che un anno fa pose fine ai suoi giorni. In un angolo, appartata, la vecchia madre è onorata il figlio artista. Dietro di lei la moglie, pudica, silenziosa, grandi occhi scuri. “Ai miei figli – conclude l’artista - insegno a toccare gli oggetti del passato…”. Una famigliarità da riscoprire, che dovrebbe appartenere a tutti se solo volessimo riappropriarci di una memoria lacerata, un’identità offesa: delle radici nonostante tutto ancora vive. (Foto di Cristiano Ferilli).