di Frédéric Pascali - Non vi sono colpe evidenti quando le intenzioni sono volutamente tese a non sottrarsi allo spietato confronto con la realtà delle cose. È il gusto di reiterare questa relazione, di cercarne a tutti i costi una qualche forma di sublimazione, che alla fine stride e giunge fino al punto di condensarsi in un senso di noia.
È un po’ quello che succede nell’agiografico “A proposito di Davis”, l’ultimo lavoro dei fratelli Joel ed Ethan Coen.
Una storia ispirata alla vita del cantante folk Dave Van Ronk, ambientata nel quartiere newyorkese del Greenwich Village e riprodotta sullo schermo nel personaggio di Llewin Davis.
Alla continua ricerca di un successo che non arriva, Llewin per sbarcare il lunario si esibisce dal vivo, in genere presso il Gaslight Café. Non ha una dimora fissa ed elemosina ospitalità tra un divano e un pavimento di case di amici e conoscenti. Non si è ancora ripreso dal suicidio del suo partner musicale e la carriera da solista è cominciata con un primo disco pronto per destinare al macero la maggior parte delle copie.
Incalzato dalla frustrazione di non farcela e dallo spettro fallimentare di dover tornare alla sua precedente vita di marinaio, rocambolescamente riesce a raggiungere Chicago per un’audizione con Bud Grossman, il produttore folk suo mito per eccellenza. È la consacrazione di una specie di liturgia che i Coen declinano per l’intera pellicola. Davis ha la sua opportunità di redenzione, i suoi due passi in Paradiso, con gli sfiati delle luci del giorno che penetrano la sala deserta e “iconizzano” il volto di Grossman. Ma è solo un’illusione, “non si fanno soldi con quella roba”, e non resta altro che il ritorno nel solito immutabile limbo dei perdenti in attesa di giudizio.
Molto bravi tutti gli interpreti, a cominciare dal protagonista Oscar Isaac, fino al sempre carismatico Murray Abraham. Meritano una citazione la perfetta corrispondenza con la storia della fotografia di Bruno Delbonnel, candidato all’Oscar, e la colonna sonora con pezzi tradizionali americani e firme di artisti come Bob Dylan e A.P. Carter.
È un po’ quello che succede nell’agiografico “A proposito di Davis”, l’ultimo lavoro dei fratelli Joel ed Ethan Coen.
Una storia ispirata alla vita del cantante folk Dave Van Ronk, ambientata nel quartiere newyorkese del Greenwich Village e riprodotta sullo schermo nel personaggio di Llewin Davis.
Alla continua ricerca di un successo che non arriva, Llewin per sbarcare il lunario si esibisce dal vivo, in genere presso il Gaslight Café. Non ha una dimora fissa ed elemosina ospitalità tra un divano e un pavimento di case di amici e conoscenti. Non si è ancora ripreso dal suicidio del suo partner musicale e la carriera da solista è cominciata con un primo disco pronto per destinare al macero la maggior parte delle copie.
Incalzato dalla frustrazione di non farcela e dallo spettro fallimentare di dover tornare alla sua precedente vita di marinaio, rocambolescamente riesce a raggiungere Chicago per un’audizione con Bud Grossman, il produttore folk suo mito per eccellenza. È la consacrazione di una specie di liturgia che i Coen declinano per l’intera pellicola. Davis ha la sua opportunità di redenzione, i suoi due passi in Paradiso, con gli sfiati delle luci del giorno che penetrano la sala deserta e “iconizzano” il volto di Grossman. Ma è solo un’illusione, “non si fanno soldi con quella roba”, e non resta altro che il ritorno nel solito immutabile limbo dei perdenti in attesa di giudizio.
Molto bravi tutti gli interpreti, a cominciare dal protagonista Oscar Isaac, fino al sempre carismatico Murray Abraham. Meritano una citazione la perfetta corrispondenza con la storia della fotografia di Bruno Delbonnel, candidato all’Oscar, e la colonna sonora con pezzi tradizionali americani e firme di artisti come Bob Dylan e A.P. Carter.