Basso Salento: “E’ arrivata la mafia!”

di Antonio Negro - Sorprendono, non poco, le parole del Procuratore di Lecce Cataldo Motta dette nella conferenza stampa relativa all'operazione Tam-Tam.  Nel suo intervento vi sono due aspetti che lasciano perplessi e fanno riflettere, con amarezza, sulla geografia del crimine organizzato nel Basso Salento e sulla sua reale consistenza.

   Ma veniamo al dettaglio. Egli dice, da quanto riportato dai media e dall'ascolto della sua voce in alcune videoclip, che quella zona, il Basso Salento appunto, risulta essere "non dico abbandonata, ma un pochino trascurata da noi... e la squadra mobile, in questo caso, ha rinnegato la sua vocazione territoriale cittadina... per spostarsi in periferia... per cui quando andiamo a pescare facciamo sempre una pesca ricca".

   E' un'affermazione molto forte che va a tutto merito della squadra mobile. E' difficile pensare che Motta, noto per le sua profonde conoscenze del territorio, attento e riflessivo, non abbia pesato attentamente le parole dette e quella frase "Basso Salento non dico abbandonato, ma trascurato...", lascia un pò stupiti.

   Trascurato da chi? E quando dice "da noi" a chi si riferisce col plurale maiestatis?  Inoltre, chiunque potrebbe pensare che basta spostare più spesso la squadra mobile dalla sua realtà territoriale cittadina per avere, appunto, la pesca grossa. Quindi, si potrebbe pensare che alcune forze dell'ordine stiano a pescare tutto l'anno ma non prendano nemmeno un pesciolino. Forse usano ami arrugginiti, o l'esca sbagliata.

   In tempo di 'spending review', non sarebbe male ripensare e rivedere un pochino tutte queste spese di uomini e mezzi che sembrerebbero inutili. Ma più preoccupante è il secondo aspetto relativo alle esternazioni del Procuratore, quello che riguarda la realtà mafiosa e criminale del Basso Salento. Teniamo presente che proprio in concomitanza con l'operazione Tam-Tam la Prefetta di Lecce faceva un giro di perlustrazione tra gli imprenditori della zona industriale di Casarano, vittime di continui furti e danneggiamenti. Incendi dolosi frequenti, minacce, estorsioni, furti e rapine sono, ormai, la quasi quotidianità di tutta la provincia di Lecce.

   Il modello culturale mafioso pervade tutti i vari settori e livelli della società, tanto da far affermare allo stesso Procuratore che c'è chi addirittura si rivolge appositamente alla criminalità per ottenere protezione. Questo, naturalmente, fa pensare per un attimo che essa, la criminalità, sia più presente e potente dello Stato medesimo.

   Sono parole che fanno riflettere e se i cittadini non prendono a collaborare con la giustizia e con le forze dell'ordine, le forze del male prevarranno definitivamente. E questo il Procuratore Motta lo ha fatto capire molto bene. Sono stato tantissimi anni nel Nord dell'Europa dove, appunto, ogni cittadino si sente partecipe del funzionamento dello Stato e dell'ordine pubblico e collabora con la partecipazione  e la denuncia.

   Ma in quei Paesi la riforma protestante ha dato una svolta radicale al modello sociale. Da noi prevale l'omertà, spesso la paura, paura di ritorsioni, di vendette che pure sono dietro l'angolo.  E la connivenza tacita col mafioso della porta affianco. “Fatti i fatti tuoi", " Chi te la fa fare", sono le espressioni più frequenti e i consigli che si danno e si ricevono quando qualcuno vuole denunciare fatti e cose di malavita. Oppure: "Non fare l'eroe!".

   Questo aspetto non secondario del livello socio-culturale del cittadino e la convinzione che devono essere soprattutto le istituzioni a debellare questo sistema mafioso, ci fa condividere la famosa frase "Guai a quella società che ha bisogno di eroi!". Oggi che l'allarme è stato lanciato dalla persona più autorevole e di prestigio nella materia, il Procuratore Cataldo Motta, non si può più trascurare il fenomeno né avere dubbi sulla sua reale esistenza e consistenza.

   Ma molto c'è da riflettere sul da farsi. Giovanni Falcone, che di mafia se ne intendeva e come, diceva che è l'inefficienza dello Stato che ostacola la lotta alla mafia. E aggiungeva che "la lotta alla mafia non può essere lasciata a cittadini inermi, ma affidata alle forze migliori dello Stato".

   La proposta ai sindaci di un patto per la legalità apparsa sulla stampa avrà risultati dubbi e incerti, perché bisogna prima analizzare a fondo il modello culturale che spinge a comportamenti mafiosi. Tali comportamenti si nascondono nella quotidianità, direi quasi nella naturalezza, degli atti criminosi.  

   Appiccare il fuoco d'estate, gettare il materasso nelle campagne, buttare rifiuti pericolosi sul territorio, appendere manifesti ai paletti dei segnali stradali sugli incroci, avvelenare le campagne con i pesticidi senza essere autorizzati e competenti, incendiare l'auto a dispetto di qualcosa, ... sono atti criminosi che fanno parte dello stesso modello culturale mafioso.

   Bisogna, quindi, cominciare dalle scuole e coinvolgere l'associazionismo, quello fatto di volontariato e di competenze.
Ma la lotta, quella vera, alla mafia la devono fare le forze dell'ordine con i loro mezzi e le loro competenze. Ed è per questo che si rende urgente la riforma generale delle forze dell'ordine: una sola polizia e un solo numero di emergenza come in tutti i Paesi Europei.

   In caso contrario i risultati tarderanno a venire e il fenomeno si estenderà sempre più a macchia d'olio fino a penetrare in tutti i settori della società. Giungendo a ritenere la mafia parte normale e naturale del nostro modello di vita.

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