TARANTO - La pressione fiscale in Italia continua a crescere e ormai è arrivata ai livelli svedesi. Non è casuale, allora, che la competitività delle imprese tricolori sia la più bassa d’Europa rispetto al costo del lavoro. E che un quarto delle famiglie viva uno stato di forte disagio economico...
La pressione fiscale in Italia continua a crescere e ormai è arrivata ai livelli svedesi. Non è casuale, allora, che la competitività delle imprese tricolori sia la più bassa d’Europa rispetto al costo del lavoro. E che un quarto delle famiglie viva uno stato di forte disagio economico. Il rapporto Istat “Noi Italia” lascia l’amaro in bocca. Nel 2012, certifica l’Istituto di statistica, la pressione fiscale in Italia ha raggiunto il livello record del 44,1% contro il 44,7% della Svezia, cui il nostro Paese si è avvicinato pericolosamente, ma con ben altri servizi a disposizione di cittadini e imprese. La media europea è al 40,5% contro il 41% del 2000, quando la pressione fiscale italiana era al 41,3%, in linea quindi con il resto d’Europa. Sotto la media comunitaria si piazzano Germania (40,2%) e Regno Unito (36,8%). Sopra, oltre all’Italia e alla Svezia (dove nel 2000 la pressione fiscale era, però, al 51,7% e in dodici anni è calata di sette punti), si situano la Francia (46,9%), il Belgio (47,3%) e la Danimarca (48,9%). Per quanto riguarda la competitività, ogni 100 euro di costo del lavoro in Italia il valore aggiunto si attesta a 126,1 euro, il dato peggiore d’Europa, quasi venti punti sotto la media Ue. Per produttività del lavoro il nostro Paese è allineato alla media europea, mentre dieci anni fa era del 9,2% in più. In un sistema produttivo in forte mutamento, su questo dato forse incide la scarsa innovazione: la spesa per ricerca e sviluppo è all’1,25% del prodotto interno lordo, ben distante dai Paesi europei più avanzati. E probabilmente incide anche il “digital divide”: la diffusione di web e banda larga è sotto il 55% della popolazione italiana contro il 70% europeo. Nel nostro Paese è bassa, inoltre, la quota di quanti lavorano: solo sei italiani su dieci (e solo cinque donne su dieci) tra i 20 e i 64 anni, a fronte di una media di sette europei su dieci. E’ altissima, invece, la quota di giovani che non lavorano, non studiano, non seguono corsi di formazione: oltre due milioni, uno dei valori più elevati d’Europa. Un combinato disposto alla base di un dato inquietante: il 24,9% delle famiglie (un livello che sale addirittura al 41% nelle regioni meridionali) vive uno stato di forte disagio economico. Vale a dire che non è in grado di sostenere spese impreviste, risulta in arretrato sui pagamenti essenziali, non riesce a consumare un pasto proteico ogni due giorni).
La complessa situazione politica non deve infatti oscurare il disagio profondo dell’economia reale: negli ultimi cinque anni hanno chiuso circa 1.000 aziende ogni giorno, la ricchezza prodotta dal nostro Paese è diminuita del 9%, la disoccupazione è raddoppiata, passando dal 6,4% al 12,7% per un totale di 1,2 milioni di disoccupati in più. Nel frattempo, la pressione fiscale ha raggiunto il 44,3% del PIL (e resterà sopra il 44% per molto tempo) mentre quella “legale” (su ogni euro di PIL dichiarato) si aggira intorno al 54%.
Il mondo dell’impresa diffusa, dell’artigianato e del terziario di mercato, che rappresenta il 94% del tessuto produttivo dell’Italia e ne è il principale motore contribuendo per il 62% al valore aggiunto, chiede subito un cambio di rotta e risposte concrete per uscire da una crisi che lo ha colpito duramente: l’incidenza della tassazione sui profitti ha raggiunto il 66%, il 20% in più della media europea, mentre la burocrazia costa alle PMI 30 miliardi di euro l’anno e il credito è in calo dal 2011. Rete Imprese Italia sottoporrà all’attenzione della politica alcune proposte attuabili rapidamente, che possano ripristinare un clima positivo e di maggior fiducia nel futuro.
La pressione fiscale in Italia continua a crescere e ormai è arrivata ai livelli svedesi. Non è casuale, allora, che la competitività delle imprese tricolori sia la più bassa d’Europa rispetto al costo del lavoro. E che un quarto delle famiglie viva uno stato di forte disagio economico. Il rapporto Istat “Noi Italia” lascia l’amaro in bocca. Nel 2012, certifica l’Istituto di statistica, la pressione fiscale in Italia ha raggiunto il livello record del 44,1% contro il 44,7% della Svezia, cui il nostro Paese si è avvicinato pericolosamente, ma con ben altri servizi a disposizione di cittadini e imprese. La media europea è al 40,5% contro il 41% del 2000, quando la pressione fiscale italiana era al 41,3%, in linea quindi con il resto d’Europa. Sotto la media comunitaria si piazzano Germania (40,2%) e Regno Unito (36,8%). Sopra, oltre all’Italia e alla Svezia (dove nel 2000 la pressione fiscale era, però, al 51,7% e in dodici anni è calata di sette punti), si situano la Francia (46,9%), il Belgio (47,3%) e la Danimarca (48,9%). Per quanto riguarda la competitività, ogni 100 euro di costo del lavoro in Italia il valore aggiunto si attesta a 126,1 euro, il dato peggiore d’Europa, quasi venti punti sotto la media Ue. Per produttività del lavoro il nostro Paese è allineato alla media europea, mentre dieci anni fa era del 9,2% in più. In un sistema produttivo in forte mutamento, su questo dato forse incide la scarsa innovazione: la spesa per ricerca e sviluppo è all’1,25% del prodotto interno lordo, ben distante dai Paesi europei più avanzati. E probabilmente incide anche il “digital divide”: la diffusione di web e banda larga è sotto il 55% della popolazione italiana contro il 70% europeo. Nel nostro Paese è bassa, inoltre, la quota di quanti lavorano: solo sei italiani su dieci (e solo cinque donne su dieci) tra i 20 e i 64 anni, a fronte di una media di sette europei su dieci. E’ altissima, invece, la quota di giovani che non lavorano, non studiano, non seguono corsi di formazione: oltre due milioni, uno dei valori più elevati d’Europa. Un combinato disposto alla base di un dato inquietante: il 24,9% delle famiglie (un livello che sale addirittura al 41% nelle regioni meridionali) vive uno stato di forte disagio economico. Vale a dire che non è in grado di sostenere spese impreviste, risulta in arretrato sui pagamenti essenziali, non riesce a consumare un pasto proteico ogni due giorni).
La complessa situazione politica non deve infatti oscurare il disagio profondo dell’economia reale: negli ultimi cinque anni hanno chiuso circa 1.000 aziende ogni giorno, la ricchezza prodotta dal nostro Paese è diminuita del 9%, la disoccupazione è raddoppiata, passando dal 6,4% al 12,7% per un totale di 1,2 milioni di disoccupati in più. Nel frattempo, la pressione fiscale ha raggiunto il 44,3% del PIL (e resterà sopra il 44% per molto tempo) mentre quella “legale” (su ogni euro di PIL dichiarato) si aggira intorno al 54%.
Il mondo dell’impresa diffusa, dell’artigianato e del terziario di mercato, che rappresenta il 94% del tessuto produttivo dell’Italia e ne è il principale motore contribuendo per il 62% al valore aggiunto, chiede subito un cambio di rotta e risposte concrete per uscire da una crisi che lo ha colpito duramente: l’incidenza della tassazione sui profitti ha raggiunto il 66%, il 20% in più della media europea, mentre la burocrazia costa alle PMI 30 miliardi di euro l’anno e il credito è in calo dal 2011. Rete Imprese Italia sottoporrà all’attenzione della politica alcune proposte attuabili rapidamente, che possano ripristinare un clima positivo e di maggior fiducia nel futuro.