L'inchiesta: furbetti sì, ma con la targa straniera

di Michele Tedesco
BARI
. L’insolenza si misura un po’ anche dalla targa. Che siano stati sempre quel tantino in più strafottenti delle altre auto, i “macchinoni”, non è una novità. Affascinanti, lussuose, eleganti o “tamarre”, si fanno notare per estetica, prestazioni e passeggeri a bordo; ancor di più da quando, sempre più spesso, non “battono più bandiera italiana”, ma portano targhe tedesche, inglesi, rumene o ceche. Il fenomeno ormai consolidato per le strade delle grandi aree metropolitane, sta conoscendo un’espansione lineare in tutto il paese: a quanto pare, facoltosi stranieri dallo scarso senso del rispetto delle norme del codice della strada decidono sempre più spesso di portare a spasso le loro super-car per le nostre vie carrabili. Ma non è proprio così, perchè questi fortunati driver sono accomunati, oltre che dalla passione per bielle, cilindri e pistoni, da un altro elemento fondamentale: la cittadinanza italiana. L’ articolo 132 del Codice Stradale obbliga i «possessori di autoveicoli con targa estera a circolare in Italia per la durata massima di un anno dalla data di immatricolazione, attestata sul certificato dello Stato di origine», imponendo la successiva registrazione negli elenchi della Motorizzazione Civile, pena il pagamento di una sanzione pecuniaria che va dagli 80 ai 318 euro. A conti fatti, però, immatricolare un auto all’estero comporta una serie di vantaggi non indifferenti tanto dal punto di vista economico e fiscale, quanto dal punto di vista “disciplinare”. Le auto di lusso con targa non italiana sono esenti dal pagamento della tassa di possesso, godono di premi assicurativi decisamente più bassi rispetto a quelli in vigore nel nostro paese, non sono iscritte al P.R.A. e dribblano con estrema facilità tutte le trappole tese dal “Redditometro”, che comporterebbero ulteriori tassazioni da sommarsi al pagamento del bollo. Per loro non esistono, inoltre, obblighi di revisione o di controllo delle emissioni previste dal “Bollino Blu”. Ciò che le rende ancor più appetibili, poi, è la loro “invisibilità”: a causa delle complessità nel rintracciamento dell’ intestatario della vettura con targa estera e della relativa notificazione della contravvenzione, non si è soggetti alla revoca, alla sospensione o alla decurtazione dei punti della patente, a meno che non si tratti di contestazione immediata dell’infrazione (fenomeno assai raro). Questo comporta la cancellazione dal vocabolario del guidatore di paroline magiche e malefiche come “tutor”, “autovelox”, “t-red” e “videosorveglianza per Z.T.L.”, o qualsiasi altra forma di “terrosimo stradale di matrice istituzionale”. Molteplici sono i canali per poter sfrecciare su queste fuoriserie “fuorilegge”: dal ricorso a prestanome con cittadinanza straniera (il più semplice), alla vendita con la relativa reimmatricolazione in altro paese comunitario di un mezzo precedentemente targato in Italia, al noleggio a lungo termine di auto tramite società di leasing estere che propongono pacchetti all-inclusive, grazie ai quali sono in costante crescita vere e proprie agenzie di intermediazione tra il cliente nostrano e le finanziarie estere. Fatta la legge, dunque, trovato l’inganno: il Fisco è perfettamente aggirato. Oltre al danno per le casse dello Stato, stimato annualmente dalla Guardia di Finanza, nell’ordine delle decine di milioni di euro, si presenta anche il problema per quello arrecato alla collettività in caso di incidente stradale, in quanto non è possibile nel caso di sinistro con veicolo non iscritto nei registri della Motorizzazione Civile, attivare i classici canali assicurativi, tantomeno la Constatazione Amichevole. È ormai un puntare il dito bilaterale per le due controparti: lo Stato contro l’ “evasore” (potenziale o reale?) e il cittadino, al limite della colpevolizzazione per il suo desiderio di possesso. Chi ne uscirà sconfitto?

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