Lucugnano, 'Dal Paleolitico all’età dei metalli': mostra

di Francesco Greco.
LUCUGNANO DI TRICASE (Le) – Respiri il tempo che fu, ritrovi il passato che impregna la memoria, inciso nel profondo del dna. C’è il bucùne (il salvadanaio di terracotta che usavamo da bambini) e il trùfulu (bottiglia, sempre di creta, per mettere il vino). La tajèdda (teglia)per cucinare i cibi sul fuoco e il cistìzzu (contenitore di fibra naturale) per il grano. I padàli per i fichi secchi, le ulive, i legumi, ecc. Il munciatùru che usavamo da bambini mungendo la capretta. L’ummile, recipiente usato dai contadini per tener l’acqua al fresco durante il lavoro nei campi. Il maju, attrezzo con cui i maestri vasai battevano l’argilla, il tornio di legno per lavorarla e la pignàta per cuocere fagioli, fave, ceci, piselli. Un curioso ursùlu (usato per mescere il vino) con buchi laterali, da cui era impossibile bere.

   La cultura contadina era pregna di ironia, oltre che di sudore, lavoro, fierezza: che sopravvive, nonostante gli attacchi di relativismo, nella quotidianità, nel linguaggio, nella vita con i suoi riti, credenze, superstizioni: anche al tempo dei social network e dell’hashtag. Non poteva che essere suggerito dall’argilla, materiale con cui qui hanno vissuto in stretta simbiosi, il tenero, commuovente “tribute” di Lucugnano, che è anche del Salento, alle sue radici, alla memoria. In mostra nelle sale di Palazzo Comi (il grande poeta simbolista che vi nacque, visse e morì) gli oggetti usati appena ieri, affollati di semantica e di dolcezza, di estrema forza dialettica, di calore e di energia, di umanità, silenti testimoni di un tempo quando l’uomo viveva di una socialità gratificante, condivideva la vita e il poco che riusciva a strappare alla terra tumara (che non era la sua), rispettava l’universo e le pietre non per superstizione ma perché reggevano il mondo e il suo equilibrio interiore.

   E’ stata un successo la presentazione della mostra “dal Paleolitico all’età dei metalli” organizzata dall’associazione culturale “Archès”: (con Cavalera collaborano Francesca Nuzzo, Anna Rita Pantaleo, Lorianna Zocco) nonostante la pioggia ispida le sale del vecchio palazzo fine Ottocento si sono riempite di ragazzi, adulti e vecchi ansiosi di ascoltare le storie evocate da questi oggetti modesti recuperati da un tempo che non passa e di cui, in questa modernità volgare e straniante, cresce la nostalgia.

   E tutti avevano una luce di tenerezza nello sguardo: come chi si riappropria della sua identità ritrovando le tessere del puzzle, si rappacifica col suo passato remoto, rimette a luce nobili radici. Dopo l’introduzione di Marco Cavalera, presidente dell’associazione e archeologo con alcune preziose pubblicazioni nel c.v. e il saluto della psicologa e poetessa Elena Tagliaferro, presidente della LUPSSU (Libera Università Popolare Sud Salento Unito), il sindaco di Tricase, Antonio Coppola (nella foto a sinistra, accanto Cavalera), ha sostenuto la necessità di fare rete per musei, biblioteche, parchi letterari per affacciarsi con successo sul mercato del turismo globale. E inoltre la necessità per i volontari che sinora si sono impegnati nella promozione della propria terra e le sue bellezze, di farlo in futuro in maniera organica e sistemica. Ciò fa pensare a eventuali finanziamenti da intercettare affinchè si esca dal precariato e dallo spontaneismo per premiare l’impegno generoso di tanti giovani laureati ina archeologia, conservazione dei beni culturali e quant’altro che sinora si sono spesi, a costo zero per la comunità, nel lavoro di studio, ricerca e promozione del Salento. Se sono slogan magari elettorali o ciò accadrà davvero sarà il futuro a dirlo.  

   E’ seguito l’intervento assai apprezzato dell’archeologo Antonio Mangia, che con il supporto di bellissime slide ha illustrato le origini del Salento e delle sue raffinate civiltà da 700mila anni fa sino ai giorni nostri, tra la necropoli di Serra Cicora (Nardò), quella dell’Aparo Valentini (Salve) e l’affascinante “santuario” del Mediterraneo di Porto Badisco con le sue intriganti pitture. Quindi un emozionante documentario firmato da Gianluca Tonti sullo stesso tema che ha proposto squarci del Salento arcaico e infine tavolate con i prodotti eno-gastronomici a km. zero (olio, vino, frise, pìttele, il dolce carnevalesco detto “cartellate”).

    L’evento ha avuto la collaborazione della Biblioteca Comi (staff coordinato da Gloria Fuortes), Regione Puglia, Provincia di Lecce, i Comuni di Tricase e Salve e LIPSSU. La mostra resterà aperta sino a fine di febbraio. Le scuole della zona già premono per visitarla. Le nuove generazioni sono ansiose di conoscere le tracce del passato che si portano nel dna, di relazionarsi con un epos che scorre nella memoria popolare. Un modo intelligente per attrezzarsi e affrontare il futuro con più forza dialettica e coscienza delle proprie possibilità.

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