di Francesco Greco.
LUCUGNANO DI TRICASE (Le) – “L’infinitamente lontano è il ritorno”. La massima del filosofo cinese Lao-Tzu è rimasta sospesa nell’aria per tutta la durata del seminario di etnobotanica fra le segrete stanze di Palazzo Comi (foto di Barbara Ferocino) a Lucugnano (dopo Taurisano). Un paio d’ore, ma poteva andare avanti fino a notte. A grande richiesta, gli organizzatori (Associazione Archès, Libera Università Popolare Sud Salento Unito, Città di Tricase, Biblioteca Provinciale “Comi”) lavorano alla replica: in tanti son rimasti fuori al freddo in una serata intensa, magica, a tratti lirica, in cui il Salento s’è riappropriato della sua anima più profonda e antica, delle radici, l’identità , la memoria.
Perché qualcosa che sfugge ai media (infatti non c’erano giornalisti), gli opinion-maker, la politica (“I politici che abbiamo eletto non hanno un po’ d’amore per il Salento”, Roberto Gennaio, tecnico per la tutela dell’ambiente Arpa Puglia, naturalista) sta succedendo. Qualcosa sino a ieri “di nicchia” e che adesso invece dilaga coinvolgendo persone, associazioni, realtà diversificate sul territorio, trasfigurandosi in un fenomeno da leggere in chiave ermeneutica, che mette a dimora un cambiamento culturale, forse una svolta epocale: una rimarginazione della cicatrice provocata da un violento e lungo esproprio culturale per riassimilare i topoi identitari dei padri, del loro rapporto intimo con la terra, affinché si ricomponga la ferita nella memoria dopo tutto quel che abbiamo distrutto, l’affollamento semantico, le storie e fluisca il passaggio orale dei suoi archetipi alle nuove generazioni.
Se la modernità è confusa, alienante, massificante, non c’è che da ripensare il passato, i suoi aspetti dialettici, socializzanti, umanizzanti, rimodularli aggiornandoli al Terzo Millennio e scagliarli nel futuro in una sfida possibile, vitale. In fondo le erbe che ci sfamano da secoli (“Riscoprire, riconoscere e degustare le erbe spontanee del Salento” il titolo del seminario coordinato da Maria Rosaria Angelè) erano solo un pretesto per assemblare percezioni e sensibilità , protagonismi e culture anche distanti: si poteva parlare di vecchie pietre, affreschi bizantini, di Ciolo, di 4 corsie (follie) della SS 275 Maglie-Leuca, taranta, pelagia noctiluca o Bodini e Comi: a Lucugnano sarebbe accorsa la stessa popolosa community trasversale per età (dai 10 ai 90), provenienza (Sara di Venezia, “Il mare è tante onde ma un’onda è il mare”: con Angelita lavora al progetto “Giardino di Zoe”, erbe aromatiche per le donne alla masseria “Patasani”, agro di Corsano; una svizzera, un’austriaca, due inglesi), ceto sociale (insegnanti, pensionati, precari, disoccupati), grado di cultura (contadini sapienti e docenti universitari ansiosi di imparare i loro segreti millenari) unita dagli stessi valori, con l’identica luce di gioia nello sguardo, felice di esserci, ascoltare, dialogare, riprendere col tablet i crespini, scambiarsi e-mail per gli appuntamenti futuri.
E dunque, i segni del ritorno alla terra, ai suoi miti e riti, al suo epos ed etos. Perché da lì, dal passato verrà la salvezza, la salute, la lunga vita, la socialità (esorcizzando la volgarità della tv scema), il reddito per i disoccupati del XXI secolo se solo adottassimo comportamenti virtuosi: basta olio lampante da 1 € al litro ma l’extravergine biologico che ha mercato e poi tutti i “cultivar” che piacciono al mondo ma di cui ci stiamo sbarazzando (inclusi i frutti minori: corbezzoli, medde, sulvie, mele selvatiche) perché digiuni di marketing, e proprio mentre ”resuscitano” piante millenarie: la fava viola di Taurisano, il pomodoro racalino; sapevate che i semi del carrubo si chiamano carati e hanno tutti lo stesso peso e che l’antenato del Pachino è il pomodoro primaticcio di Morciano? In una terra dove la ricchezza della biodiversità (edule, alimurgiche, farmacopee: 1400 quelle spontanee, 560 generi, 115 famiglie: le mangerecce circa 50) è un atout affascinante: Terra d’Otranto scrigno del Mediterraneo.
Apre Gennaio, esperto di flora e fauna, autorità in materia (ogni sera in Salento è sold out), deliziose pubblicazioni (orchidee selvagge) nel cv. “Ricostituire il patto uomo-natura” è il suo “manifesto”, tornare a quando gli uliveti erano “arche di Noè”. Con l’aiuto di slide ci insegna a distinguere la malasocra dalla lattusedda, il cardune dal pane e casu, la marivala dal caffè americano, i sanapuddi dai critimi, la cicuredda dalla fritta (“A paparina ci ne la la fazzu / ci no tegnu lu lapazzu?”) e ricompone così il nostro dna, il puzzle delle piante spontanee che a noi, popoli del Mediterraneo (alcune comuni a Grecia e Albania), ci hanno sfamati per secoli e adesso, con l’invasività della chimica, rischiano l’estinzione: un suicidio annunciato. La ricognizione (nome comune, scientifico, specie d’appartenenza, piatti possibili che potrebbero essere proposti nei ristoranti: l’insalata di brucacchia, i ravioli ripieni all’ortica, la farina di carrube, il dolce alla pestanà ca di Tiggiano che piace anche a Putignano, le zavirne adorate dai Romani, la spurchia fritta amata dai putignanesi, ecc.) prende corpo un silenzio sacro.
Che si dilata con Roberto Malerba: pochi lo sanno ma il 12 dicembre è nata la “Banca dei Semi”. Obiettivo: “La ricognizione dei semi per ricostruire la memoria storica e far circolare la conoscenza di quelli a rischio”. Come il rilancio di “cultivar” di ieri (incluse antiche ricette) anche per contrastare le piante che non danno seme che le multinazionali mettono sul mercato a kit completo: un fetido colonialismo polisemico: economico, politico, culturale, genetico, ecc. Da stato etico, autoritario.
Vito Lisi ha da una decina d’anni ha riconvertito i suoi uliveti al biologico: ha trovato nicchie di mercato appetibili, l’azienda fa reddito. Ha dichiarato guerra alla chimica, ne è contento, spiega come fa, mostra i “nemici”: il piombo delle cartucce, i flaconi di plastica appesi come deliranti trofei alle fronde degli ulivi: “Abbiamo violentato la terra… L’humus è cosa viva…”. I diserbanti invece distruggono la microfauna che fertilizza il terreno, lo desertifica, lo fa sterile: “Fra 20 anni si scoprirà che sono cancerogeni, mutagenici e c’è chi li collega all’aumento del morbo di Parkinson…”. Urge sovesciu. Standing-ovation anche per lui.
E infine per Nicolas Grey: con la moglie, la giornalista Maggie Armstrong, vivono alla masseria “Spigolizzi” (fra Presicce e Salve) ereditata dal grande scultore Norman Mommens (“Coppula Tisa”) e la scrittrice Patience Grey, che qui visse dal 1970 al 2005 (“Honey from a Weed”, 1986: un classico), ripreso un anno fa dalla scrittrice londinese Jojo Tulloh in “The Modern Peasent”. Nic estrae da un cesto – finalmente un vaso di Pandora di cose belle - i testi della sua libreria che parlano di erbe mangerecce e ricette (cooking) in Francia, Gran Bretagna, ecc. Conclude: “Sono nato sotto la guerra, le erbe spontanee mi hanno sfamato…”. L’infinitamente lontano…
LUCUGNANO DI TRICASE (Le) – “L’infinitamente lontano è il ritorno”. La massima del filosofo cinese Lao-Tzu è rimasta sospesa nell’aria per tutta la durata del seminario di etnobotanica fra le segrete stanze di Palazzo Comi (foto di Barbara Ferocino) a Lucugnano (dopo Taurisano). Un paio d’ore, ma poteva andare avanti fino a notte. A grande richiesta, gli organizzatori (Associazione Archès, Libera Università Popolare Sud Salento Unito, Città di Tricase, Biblioteca Provinciale “Comi”) lavorano alla replica: in tanti son rimasti fuori al freddo in una serata intensa, magica, a tratti lirica, in cui il Salento s’è riappropriato della sua anima più profonda e antica, delle radici, l’identità , la memoria.
Perché qualcosa che sfugge ai media (infatti non c’erano giornalisti), gli opinion-maker, la politica (“I politici che abbiamo eletto non hanno un po’ d’amore per il Salento”, Roberto Gennaio, tecnico per la tutela dell’ambiente Arpa Puglia, naturalista) sta succedendo. Qualcosa sino a ieri “di nicchia” e che adesso invece dilaga coinvolgendo persone, associazioni, realtà diversificate sul territorio, trasfigurandosi in un fenomeno da leggere in chiave ermeneutica, che mette a dimora un cambiamento culturale, forse una svolta epocale: una rimarginazione della cicatrice provocata da un violento e lungo esproprio culturale per riassimilare i topoi identitari dei padri, del loro rapporto intimo con la terra, affinché si ricomponga la ferita nella memoria dopo tutto quel che abbiamo distrutto, l’affollamento semantico, le storie e fluisca il passaggio orale dei suoi archetipi alle nuove generazioni.
Se la modernità è confusa, alienante, massificante, non c’è che da ripensare il passato, i suoi aspetti dialettici, socializzanti, umanizzanti, rimodularli aggiornandoli al Terzo Millennio e scagliarli nel futuro in una sfida possibile, vitale. In fondo le erbe che ci sfamano da secoli (“Riscoprire, riconoscere e degustare le erbe spontanee del Salento” il titolo del seminario coordinato da Maria Rosaria Angelè) erano solo un pretesto per assemblare percezioni e sensibilità , protagonismi e culture anche distanti: si poteva parlare di vecchie pietre, affreschi bizantini, di Ciolo, di 4 corsie (follie) della SS 275 Maglie-Leuca, taranta, pelagia noctiluca o Bodini e Comi: a Lucugnano sarebbe accorsa la stessa popolosa community trasversale per età (dai 10 ai 90), provenienza (Sara di Venezia, “Il mare è tante onde ma un’onda è il mare”: con Angelita lavora al progetto “Giardino di Zoe”, erbe aromatiche per le donne alla masseria “Patasani”, agro di Corsano; una svizzera, un’austriaca, due inglesi), ceto sociale (insegnanti, pensionati, precari, disoccupati), grado di cultura (contadini sapienti e docenti universitari ansiosi di imparare i loro segreti millenari) unita dagli stessi valori, con l’identica luce di gioia nello sguardo, felice di esserci, ascoltare, dialogare, riprendere col tablet i crespini, scambiarsi e-mail per gli appuntamenti futuri.
E dunque, i segni del ritorno alla terra, ai suoi miti e riti, al suo epos ed etos. Perché da lì, dal passato verrà la salvezza, la salute, la lunga vita, la socialità (esorcizzando la volgarità della tv scema), il reddito per i disoccupati del XXI secolo se solo adottassimo comportamenti virtuosi: basta olio lampante da 1 € al litro ma l’extravergine biologico che ha mercato e poi tutti i “cultivar” che piacciono al mondo ma di cui ci stiamo sbarazzando (inclusi i frutti minori: corbezzoli, medde, sulvie, mele selvatiche) perché digiuni di marketing, e proprio mentre ”resuscitano” piante millenarie: la fava viola di Taurisano, il pomodoro racalino; sapevate che i semi del carrubo si chiamano carati e hanno tutti lo stesso peso e che l’antenato del Pachino è il pomodoro primaticcio di Morciano? In una terra dove la ricchezza della biodiversità (edule, alimurgiche, farmacopee: 1400 quelle spontanee, 560 generi, 115 famiglie: le mangerecce circa 50) è un atout affascinante: Terra d’Otranto scrigno del Mediterraneo.
Apre Gennaio, esperto di flora e fauna, autorità in materia (ogni sera in Salento è sold out), deliziose pubblicazioni (orchidee selvagge) nel cv. “Ricostituire il patto uomo-natura” è il suo “manifesto”, tornare a quando gli uliveti erano “arche di Noè”. Con l’aiuto di slide ci insegna a distinguere la malasocra dalla lattusedda, il cardune dal pane e casu, la marivala dal caffè americano, i sanapuddi dai critimi, la cicuredda dalla fritta (“A paparina ci ne la la fazzu / ci no tegnu lu lapazzu?”) e ricompone così il nostro dna, il puzzle delle piante spontanee che a noi, popoli del Mediterraneo (alcune comuni a Grecia e Albania), ci hanno sfamati per secoli e adesso, con l’invasività della chimica, rischiano l’estinzione: un suicidio annunciato. La ricognizione (nome comune, scientifico, specie d’appartenenza, piatti possibili che potrebbero essere proposti nei ristoranti: l’insalata di brucacchia, i ravioli ripieni all’ortica, la farina di carrube, il dolce alla pestanà ca di Tiggiano che piace anche a Putignano, le zavirne adorate dai Romani, la spurchia fritta amata dai putignanesi, ecc.) prende corpo un silenzio sacro.
Che si dilata con Roberto Malerba: pochi lo sanno ma il 12 dicembre è nata la “Banca dei Semi”. Obiettivo: “La ricognizione dei semi per ricostruire la memoria storica e far circolare la conoscenza di quelli a rischio”. Come il rilancio di “cultivar” di ieri (incluse antiche ricette) anche per contrastare le piante che non danno seme che le multinazionali mettono sul mercato a kit completo: un fetido colonialismo polisemico: economico, politico, culturale, genetico, ecc. Da stato etico, autoritario.
Vito Lisi ha da una decina d’anni ha riconvertito i suoi uliveti al biologico: ha trovato nicchie di mercato appetibili, l’azienda fa reddito. Ha dichiarato guerra alla chimica, ne è contento, spiega come fa, mostra i “nemici”: il piombo delle cartucce, i flaconi di plastica appesi come deliranti trofei alle fronde degli ulivi: “Abbiamo violentato la terra… L’humus è cosa viva…”. I diserbanti invece distruggono la microfauna che fertilizza il terreno, lo desertifica, lo fa sterile: “Fra 20 anni si scoprirà che sono cancerogeni, mutagenici e c’è chi li collega all’aumento del morbo di Parkinson…”. Urge sovesciu. Standing-ovation anche per lui.
E infine per Nicolas Grey: con la moglie, la giornalista Maggie Armstrong, vivono alla masseria “Spigolizzi” (fra Presicce e Salve) ereditata dal grande scultore Norman Mommens (“Coppula Tisa”) e la scrittrice Patience Grey, che qui visse dal 1970 al 2005 (“Honey from a Weed”, 1986: un classico), ripreso un anno fa dalla scrittrice londinese Jojo Tulloh in “The Modern Peasent”. Nic estrae da un cesto – finalmente un vaso di Pandora di cose belle - i testi della sua libreria che parlano di erbe mangerecce e ricette (cooking) in Francia, Gran Bretagna, ecc. Conclude: “Sono nato sotto la guerra, le erbe spontanee mi hanno sfamato…”. L’infinitamente lontano…