Storia di Davide, 'Il postino supplente'

di Francesco Greco - Davide Remondini (Dodi) è un Peter Pan discolo e impertinente, “ramoscello nato, per così dire, un po’ storto… dono un po’ bizzarro che la sorte aveva voluto fare alla famiglia…”, ha due passioni: il gelato al kiwi, di cui è ghiottissimo, e la mania di scrivere lettere alle persone che entrano, anche accidentalmente, nel suo orizzonte. Ma ha anche un amore sofferto: Meri. Oltre a due genitori ansiosi per lui: Adele e Aldo e due fratelli, Massimo (“il professore”), in carriera, cinico quanto dettano le regole del nostro tempo intriso di volgare darvinismo e Andrea (“il filosofo”), che forse per non accettarle si rifugia nei paradisi artificiali.

   Sono alcuni dei protagonisti de “Il postino supplente”, romanzo opera prima dello scrittore pugliese Roberto Russo (Edinsieme di Terlizzi, 2013, pp. 203, € 10.00). Russo possiede un eclettismo non raro nel panorama dei creativi di cui il Sud è tracciato e segnato in profondo: nasce come pittore (studi all’Accademia di Belle Arti di Lecce, si è proposto con successo di critica e pubblico in Germania, Danimarca, ecc.) e passa dalla poesia (il delizioso “Nuvole”, sempre con la casa editrice barese, del 2000, è stato tradotto in Germania, nel 2001, col titolo “Wolken”, mentre nel 2008 aveva proposto versi di una delicatezza e una sensibilità estrema con “D’amore e d’ombra”) alla prosa (questo è il primo romanzo, nel 2005, stesso editore, aveva mandato in libreria “Ritratti diversi”, una serie di racconti sul mondo della disabilità intesa nel senso più largo) con una padronanza dell’estro che a ogni performance lascia emozionati e coinvolti.

   E lo è anche questo curioso personaggio, un “postino” particolare – che ha costruito contaminandosi col lavoro quotidiano in un istituto di riabilitazione di Gagliano nel Leccese - che vaga per la città armato di infantile curiosità nonostante abbia ormai vent’anni: una forma di auto-iniziazione alla vita che incontra nei suoi aspetti più autentici, umani, violenti. Il suo modo di dire al mondo che c’è anche lui Davide lo estrinseca scarabocchiando lettere e infilandole di nascosto nelle buche dei destinatari. Scrive ai vicini, gli Stenti, che hanno noie con l’acqua, agli ultrà che hanno assassinato un poliziotto in una domenica di tifo violento, al nonno che non c’è più, a una signora sfuggente con cui sorseggia un cioccolato, ecc.

   Novello Candido, Davide non aspetta risposta, cerca solo un interlocutore per mostrare al mondo che esiste. Che è sintonizzato col respiro dell’universo, come se possedesse il segreto del tempo, l’aleph borgesiano, il vello d’oro. Intriga e tanto il suo punto d’osservazione del mondo e delle cose, il suo sguardo innocente, il cuore puro, l’audacia con cui chiede amore. Affollato semanticamente di valori non soggetti a relativismo, Dodi è quel che noi vorremmo essere ma che non riusciamo a essere, sprofondati come siamo in un mondo dove tutto è apparenza, finzione, ambiguità, indecente pantomina di cui sono espressione il fratello Massimo, l’amante Giulia (che comunque è colta in un momento di fragilità: deve elaborare un lutto che non sveliamo), il marito Norberto, ma anche il giudice Goffredi. Che incarnano il tradimento del senso, degli affetti, del prossimo, anche se in certi snodi solo vagheggiati.

   Dotato di una sensibilità e una percezione della realtà senza alcuna contaminazione, istinto puro, quasi sospeso in una dimensione olistica, Davide è a disagio nel mondo dei grandi, da cui forse vuole fuggire, evadere il giorno in cui, desiderando un paio di ali, sale sul campanile del duomo e…

   Commuove il suo bisogno di sincerità, che lo scrittore riesce a far intravedere con infinita tenerezza, con pennellate sapide e struggenti. Ma anche, come si diceva, l’estremo bisogno di comunicare che lo rende un postino speciale. Che comunque è di tutti noi in un transfert disperato. Russo (a destra nella foto) ci vuol dire, fra l’altro, del paradosso in cui siamo immersi, prigionieri: abbiamo tanti modi per farlo (dal blog diffuso all’hashtag dilagante ai civettuoli twitter) ma alla fin fine siamo sempre più soli e forse, anche con gli strumenti e i mezzi suddetti, parliamo sempre e solo a noi stessi come deliranti ventriloqui.

   Un romanzo commuovente, delicato come un acquerello, che scorre come un ruscello scintillante sotto il sole. Che l’introduzione dell’editore Renato Brucoli impreziosisce ulteriormente. Il libro sarà presentato domani sera alle ore 19.00 al Castello di Tiggiano.  

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