Il 'Don Carlo' di Verdi, una nota d'innovazione a Lecce
di Ilaria Stefanelli - Si è aperta ufficialmente con il “Don Carlo” di Giuseppe Verdi la 45° Stagione Lirica Della Provincia di Lecce.
“Nonostante le difficoltà, i tagli, gli impedimenti a cui la Provincia ha dovuto e deve far fronte negli ultimi periodi, non rinunciamo, ed anzi puntiamo con maggiore fermezza sulla produzione culturale”, così afferma il Presidente della Provincia di Lecce Antonio Gabellone.
E’ il sentimento accorato che lega da sempre la terra salentina all’opera che ha determinato, coraggiosamente, da parte degli amministratori locali il superamento di ostacoli e difficoltà economiche per offrire al pubblico la sua beneamata stagione lirica e di farlo con un incipit d’eccezione, scegliendo, come pezzo d’apertura, proprio un’opera complessa e coraggiosa come il Don Carlo, mai proposto, sin d’ora, al giudizio del pubblico leccese.
Una scelta assai ardita e temeraria, persino, quella del Direttore Artistico Sergio Rendine, che ha inteso collegare questa 45° stagione all’appassionante filo conduttore “Eros e Thanatos”, Amore e Morte, minimo comun denominatore di tutte le opere in cartellone.
Amore e Morte, due connotati fortissimi , nelle accezioni più varie e colorate che permeano il Don Carlo in maniera inconfondibile.
E’, il Don Carlo, una delle opere più belle di Verdi, sicuramente la meno conosciuta, un capolavoro assoluto della maturità, presentato a Lecce nella sua versione italiana in 4 atti, dal libretto di François-Joseph Mèry e Camille Du Locle dal poema drammatico Don Carlos, Infant von Spanien di Friedrich Schiller.
Un soggetto, scelto e voluto da un Verdi ormai autonomo e libero dal condizionamento di impresari, librettisti ed editori, che ha però dato vita a un’opera di maestose dimensioni e di scomoda gestazione: Grand-Opéra in cinque atti nella prima rappresentazione in francese del 1867 a Parigi e in italiano a Londra, in quattro atti e in forma ridotta e riveduta (senza il I atto, i balletti e alcune scene) del 1884 per il Teatro alla Scala.
Ed è con un coraggioso nuovo allestimento, quello di quest’ultima versione ,che venerdì 28 febbraio il Teatro Politeama Greco di Lecce ha ricordato, celebrando questo Verdi della maturità.
Lo ha fatto mettendo in campo con orgoglio tutte le forze del territorio e le eccellenze del settore, come il regista Ludek Golat , che dal 2009 è direttore e consulente artistico dell’Opera dello Stato di Praga; continuando con il Maestro Concertatore e Direttore d’Orchestra Filippo Maria Bressan, considerato uno dei più innovativi e interessanti direttori della nuova “scuola italiana”( maestro dal 2000 al 2002 del coro dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia a Roma);
la “storica” Orchestra Sinfonica di Lecce “Tito Schipa” e il Coro Lirico che hanno “magistralmente” interpretato un’opera tanto complessa e che ha, in alcuni momenti, “ spiazzato” e disorientato il pubblico leccese presente per la prima.
Un libretto complesso, una forma italiana aulica e ricca di preziosismi, lontana da forme più dirette e appassionate tipiche della “trilogia popolare” verdiana così cara ai leccesi.
Dialoghi serrati, una fitta trama “politica”, contenuti e castigati “slanci amorosi” ( che da sempre infiammano il cuore del pubblico favorendo voli pindarici dell’immaginazione) elementi assolutamente innovativi rispetto alle opere precedenti, un “nuovo” Verdi, coraggioso e forte della sua personalità, un Verdi che all’epoca del Don Carlo non doveva dimostrare più nulla a nessuno e che osa lanciandosi nella “sperimentazione”.
La vicenda è ambientata nel 1559, anno del trattato di Cateau-Cambrésis con cui è stata dichiarata la pace tra Spagna e Francia: su questa base storica s’intrecciano i conflitti pubblici e privati: quello tra padre (Filippo II) e figlio (Don Carlo), tra idealismo (Rodrigo) e realismo (Filippo II), tra libertà (Rodrigo e Don Carlo che cercano di liberare le Fiandre) e dispotismo (Filippo II), tra potere spirituale (il Grande Inquisitore) e temporale (Filippo II).
“Nonostante le difficoltà, i tagli, gli impedimenti a cui la Provincia ha dovuto e deve far fronte negli ultimi periodi, non rinunciamo, ed anzi puntiamo con maggiore fermezza sulla produzione culturale”, così afferma il Presidente della Provincia di Lecce Antonio Gabellone.
E’ il sentimento accorato che lega da sempre la terra salentina all’opera che ha determinato, coraggiosamente, da parte degli amministratori locali il superamento di ostacoli e difficoltà economiche per offrire al pubblico la sua beneamata stagione lirica e di farlo con un incipit d’eccezione, scegliendo, come pezzo d’apertura, proprio un’opera complessa e coraggiosa come il Don Carlo, mai proposto, sin d’ora, al giudizio del pubblico leccese.
Una scelta assai ardita e temeraria, persino, quella del Direttore Artistico Sergio Rendine, che ha inteso collegare questa 45° stagione all’appassionante filo conduttore “Eros e Thanatos”, Amore e Morte, minimo comun denominatore di tutte le opere in cartellone.
Amore e Morte, due connotati fortissimi , nelle accezioni più varie e colorate che permeano il Don Carlo in maniera inconfondibile.
E’, il Don Carlo, una delle opere più belle di Verdi, sicuramente la meno conosciuta, un capolavoro assoluto della maturità, presentato a Lecce nella sua versione italiana in 4 atti, dal libretto di François-Joseph Mèry e Camille Du Locle dal poema drammatico Don Carlos, Infant von Spanien di Friedrich Schiller.
Un soggetto, scelto e voluto da un Verdi ormai autonomo e libero dal condizionamento di impresari, librettisti ed editori, che ha però dato vita a un’opera di maestose dimensioni e di scomoda gestazione: Grand-Opéra in cinque atti nella prima rappresentazione in francese del 1867 a Parigi e in italiano a Londra, in quattro atti e in forma ridotta e riveduta (senza il I atto, i balletti e alcune scene) del 1884 per il Teatro alla Scala.
Ed è con un coraggioso nuovo allestimento, quello di quest’ultima versione ,che venerdì 28 febbraio il Teatro Politeama Greco di Lecce ha ricordato, celebrando questo Verdi della maturità.
Lo ha fatto mettendo in campo con orgoglio tutte le forze del territorio e le eccellenze del settore, come il regista Ludek Golat , che dal 2009 è direttore e consulente artistico dell’Opera dello Stato di Praga; continuando con il Maestro Concertatore e Direttore d’Orchestra Filippo Maria Bressan, considerato uno dei più innovativi e interessanti direttori della nuova “scuola italiana”( maestro dal 2000 al 2002 del coro dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia a Roma);
la “storica” Orchestra Sinfonica di Lecce “Tito Schipa” e il Coro Lirico che hanno “magistralmente” interpretato un’opera tanto complessa e che ha, in alcuni momenti, “ spiazzato” e disorientato il pubblico leccese presente per la prima.
Un libretto complesso, una forma italiana aulica e ricca di preziosismi, lontana da forme più dirette e appassionate tipiche della “trilogia popolare” verdiana così cara ai leccesi.
Dialoghi serrati, una fitta trama “politica”, contenuti e castigati “slanci amorosi” ( che da sempre infiammano il cuore del pubblico favorendo voli pindarici dell’immaginazione) elementi assolutamente innovativi rispetto alle opere precedenti, un “nuovo” Verdi, coraggioso e forte della sua personalità, un Verdi che all’epoca del Don Carlo non doveva dimostrare più nulla a nessuno e che osa lanciandosi nella “sperimentazione”.
La vicenda è ambientata nel 1559, anno del trattato di Cateau-Cambrésis con cui è stata dichiarata la pace tra Spagna e Francia: su questa base storica s’intrecciano i conflitti pubblici e privati: quello tra padre (Filippo II) e figlio (Don Carlo), tra idealismo (Rodrigo) e realismo (Filippo II), tra libertà (Rodrigo e Don Carlo che cercano di liberare le Fiandre) e dispotismo (Filippo II), tra potere spirituale (il Grande Inquisitore) e temporale (Filippo II).
Il lavoro di Ludek Golat, a parer mio, molto deve alla regia che fece dell’opera Luchino Visconti (rispettivamente nel ’58 e nel ’65) e mira a evidenziare i sentimenti umani così ben rappresentati da Schiller e da Verdi: libertà, oppressione, amore, ma soprattutto amicizia (il rapporto tra Don Carlo e Rodrigo trionfa fino alla fine). Il pubblico vive gli albori del breve e sfortunato amore tra Don Carlo ed Elisabetta di Valois (promessa, poi, per motivi politici al padre di Don Carlo, il re di Spagna Filippo II) e può ricordare quel momento nel loro duetto del V atto, così’ come il bellissimo duetto “d’amicizia” tra Rodrigo e Don Carlo, una sorta di Leitmotiv che accompagnerà i loro incontri fino alla morte di Rodrigo nel IV atto.
Dura prova, dunque, quella sostenuta dall’Orchestra “Tito Schipa” di Lecce, diretta da un “impareggiabile” Bressan che, tra momenti più o meno felici, svolge, nelle quattro ore di musica, un ruolo fondamentale per tenere unita una struttura dilatata (quasi wagneriana) che si allontana sempre più dalla classica forma d’opera italiana e un dramma ricco di sfaccettature storiche e psicologiche. Un Plauso meritano le scenografie, essenziali e assai poco barocche, di Alessandra Polimeno, che interpretavano degnamente il phatos delle scene con la decisione “ardita”di collocare dei pannelli bianchi su cui comparivano proiezioni che accompagnavano lo spettatore fin dentro al dramma rappresentato, favorendone l’immedesimazione, con la mirabile illuminazione curata da Iuraj Saleri ad esaltarne la particolarità.
Di mirabile fattura i costumi, in particolar modo le vesti ecclesiastiche (ancor più degli opulenti e sfarzosi abiti regali).
Applauditi con calore il basso Carlo Colombara (Filippo II re di Spagna), soprattutto per la toccante interpretazione dell’aria del IV atto Ella giammai m’amò, il baritono Corrado Carmelo Caruso (Rodrigo, Marchese di Posa) per l’aria O Carlo, sempre nel IV atto e il soprano Cellia Costea (Elisabetta di Vallois) per la potente e calda voce nell’aria Tu che le vanità del V atto.
Una nota a parte meritano Michail Ryssov, nel ruolo dell’Inquisitore e Anna Maria Chiuri, nei panni di Eboli che hanno letteralmente “stregato” con una commovente potenza espressiva il pubblico leccese che ha donato loro una vera e propria “ovazione” a scena aperta. Non convince invece particolarmente il tenore Don Carlo, impersonato da Leonardo Caimi, che sembra non riuscire a dare pieno sfogo alla voce e a catturare tutte le sfumature del suo personaggio.
In ultimo, dunque , prova difficile anche quella sostenuta dal pubblico leccese, che si è ritrovato per la prima volta dinanzi a un’opera così innovativa, le reazioni in sala sono state alterne, quasi la folla si trovasse travolta dai “marosi”e in balia dei “flutti”. Disorientamento, circospezione, ma tutto sommato, una curiosità viva e ardita che invita gli organizzatori e la direzione artistica a continuare sulla strada dell’ “innovazione”, per abituare ed educare il pubblico leccese a forme differenti rispetto a quelle, sicuramente mirabili ma tradizionali, alle quali è ormai “assuefatto”,così come fece Verdi col suo Don Carlo.
“Dormirò sol, nel manto mio regal, quando la mia giornata è giunta a sera, dormirò sol ,sotto la volta nera, là nell’avello dell’Escurial” così rimugina, in solitaria, Filippo II, al terzo atto.
Ebbene, non più sonno e panorami consueti per il pubblico leccese, ma innovazione e cambiamento.
Attendiamo con fervore il prossimo appuntamento della Stagione Lirica, che proseguirà con la “Tosca” di Puccini il 14, 15 e 16 marzo.
Chissà non ci attendano altre sorprese.
Dura prova, dunque, quella sostenuta dall’Orchestra “Tito Schipa” di Lecce, diretta da un “impareggiabile” Bressan che, tra momenti più o meno felici, svolge, nelle quattro ore di musica, un ruolo fondamentale per tenere unita una struttura dilatata (quasi wagneriana) che si allontana sempre più dalla classica forma d’opera italiana e un dramma ricco di sfaccettature storiche e psicologiche. Un Plauso meritano le scenografie, essenziali e assai poco barocche, di Alessandra Polimeno, che interpretavano degnamente il phatos delle scene con la decisione “ardita”di collocare dei pannelli bianchi su cui comparivano proiezioni che accompagnavano lo spettatore fin dentro al dramma rappresentato, favorendone l’immedesimazione, con la mirabile illuminazione curata da Iuraj Saleri ad esaltarne la particolarità.
Di mirabile fattura i costumi, in particolar modo le vesti ecclesiastiche (ancor più degli opulenti e sfarzosi abiti regali).
Applauditi con calore il basso Carlo Colombara (Filippo II re di Spagna), soprattutto per la toccante interpretazione dell’aria del IV atto Ella giammai m’amò, il baritono Corrado Carmelo Caruso (Rodrigo, Marchese di Posa) per l’aria O Carlo, sempre nel IV atto e il soprano Cellia Costea (Elisabetta di Vallois) per la potente e calda voce nell’aria Tu che le vanità del V atto.
Una nota a parte meritano Michail Ryssov, nel ruolo dell’Inquisitore e Anna Maria Chiuri, nei panni di Eboli che hanno letteralmente “stregato” con una commovente potenza espressiva il pubblico leccese che ha donato loro una vera e propria “ovazione” a scena aperta. Non convince invece particolarmente il tenore Don Carlo, impersonato da Leonardo Caimi, che sembra non riuscire a dare pieno sfogo alla voce e a catturare tutte le sfumature del suo personaggio.
In ultimo, dunque , prova difficile anche quella sostenuta dal pubblico leccese, che si è ritrovato per la prima volta dinanzi a un’opera così innovativa, le reazioni in sala sono state alterne, quasi la folla si trovasse travolta dai “marosi”e in balia dei “flutti”. Disorientamento, circospezione, ma tutto sommato, una curiosità viva e ardita che invita gli organizzatori e la direzione artistica a continuare sulla strada dell’ “innovazione”, per abituare ed educare il pubblico leccese a forme differenti rispetto a quelle, sicuramente mirabili ma tradizionali, alle quali è ormai “assuefatto”,così come fece Verdi col suo Don Carlo.
“Dormirò sol, nel manto mio regal, quando la mia giornata è giunta a sera, dormirò sol ,sotto la volta nera, là nell’avello dell’Escurial” così rimugina, in solitaria, Filippo II, al terzo atto.
Ebbene, non più sonno e panorami consueti per il pubblico leccese, ma innovazione e cambiamento.
Attendiamo con fervore il prossimo appuntamento della Stagione Lirica, che proseguirà con la “Tosca” di Puccini il 14, 15 e 16 marzo.
Chissà non ci attendano altre sorprese.