Specchia, “Le vittime del silenzio”: parliamo di femminicidio

SPECCHIA (LE) - L’Associazione culturale “e20cult”, con il convegno che ha il patrocinio del Comune di Specchia, di domenica 9 marzo 2014 (alle ore 17.30 nella sala di Palazzo Risolo), intende sensibilizzare l’opinione pubblica in merito alla drammatica questione della violenza sulle donne e il femminicidio, in un’occasione che vuole essere di riflessione e confronto attraverso la partecipazione non solo degli esperti.

Ecco il programma della giornata.

Interventi
- Giampiero Pizza Assessore alla Cultura del Comune di Specchia
- Isabella De Nicola, Assessore Pari Opportunità e Famiglia
- Cristina Baldassarre, psicologa, Centro Antiviolenza di Specchia – “La buona prassi dei Centri Antiviolenza Sanfra”
- Francesca Pastore, assistente sociale e giornalista – “Amori… malati: la
   violenza sulle donne”
- Maria Rosaria Scarcia, avvocato – “Legislazione: l’importanza della tutela”
- coordina: Federica Murgia, associazione “e20cult”, Specchia
- performance: Domenico Arces - Lucia Macrì
- L’evento sarà arricchito da un contributo della professoressa Lorenza Marra, nonché da poesie, riflessioni e disegni di adolescenti.
- Raccolta fondi in favore del Centro Antiviolenza di Specchia
  comune.specchia.lecce.it  - e20cult.it –
info: 329.2370646 associazione culturale.

“Sarà una giornata di analisi del femminicidio – spiega l’ideatrice del convegno Federica Murgia - che comprenda gli aspetti psicologici, sociologici, ambientali, culturali e di diritto. Da donna occidentale mi parrebbe un evento anacronistico.
   Leggendo le cronache, purtroppo, mi rendo conto che ben poco è cambiato rispetto agli anni Settanta, quando le donne della mia età osavano pensare, dopo aver gridato a gran voce, d’aver, non solo, conquistato i diritti, ma anche la dignità d’essere persona, la libertà e la serenità di non aver paura d’avere un lavoro che le affrancasse dalla dipendenza economica, fattore, questo, che le portava ad accettare angherie e violenze sino a essere merce di scambio oppure cornice, per dimostrare il potere economico e sociale del maschio.

   Oggi mi pare che ben poco sia cambiato. Le donne mamme, sorelle, figlie e fidanzate, ma anche amiche, si sono rintanate, almeno come pensieri, molte forzatamente anche a causa delle difficoltà economiche e sociali, tornando, metaforicamente, nelle cucine e a fare la calza, piene d’ansia e timorose di poter affrontare, con coraggio e senza paura, le battaglie in seno alla propria famiglia e alla società.

   Mi sembra si sia fatto un salto indietro o un trasferimento in quelle società dove nascere donna è solamente una sventura per se stessa e merce di scambio per la famiglia che la terrà sempre sotto tutela sino a quando non ci sarà il trasferimento di proprietà e di tutela.

   Riguardo all’Italia e al perpetrarsi della situazione di diseguaglianza fra i sessi la domanda che mi viene spontanea è: chi ha la maggiore responsabilità dell’educazione delle donne e dei maschi?

   La risposta è sconsolante perché nelle famiglie italiane l’impronta educativa è affidata, per la maggior parte, alle madri, che oggi sono, spesso, madri che hanno combattuto per l’emancipazione della donna; che sono andate nelle piazze a rivendicare l’essere soggetto e non oggetto sia all’interno della coppia e della famiglia, sia nella società, dimostrando d’essere preparate ad assolvere tutti i lavori, tenuto conto che anche negli studi le donne dimostrano maggiore successo.

   Parlo di donne che hanno dimostrato la capacità di lavorare fuori di casa, riuscendo nello stesso tempo a essere perfette casalinghe. Ai figli, molto spesso, non sono state capaci di inculcare il valore dell’uguaglianza, di far perdere il senso di sudditanza che porta le figlie ad accettare prepotenze da compagni che non hanno recepito il valore del rispetto fra i sessi non solo davanti alla legge ma soprattutto davanti a loro stessi.

   Anche la scuola, sotto questo aspetto, non riesce a essere incisiva: stante le numerose aggressioni che devono subire, soprattutto, le studentesse spesso in nome di un amore che motiva la violenza con giustificazioni, che per i tempi in cui viviamo hanno dell’inverosimile.

   È l’amore malsano che ancora porta, la donna, all’accettazione di quella subalternità che le rovinerà l’esistenza o le negherà la vita. Nel sociale è sconsolante vedere che, spesso, gli stipendi dei maschi, per lo svolgimento delle stesse mansioni, sono più alti, che il risultato delle elezioni, nonostante le italiane siano molto più numerose dei maschi, è sempre a sfavore delle donne che riescono a eleggere pochissime rappresentanti.
   Com’è possibile tutto questo?

La risposta che mi sono data è semplice: le donne si fanno condizionare dai maschi anche in questo e non hanno fiducia nelle loro potenzialità.

   Ecco allora tingersi di rosso sangue le prospettive di molte che in silenzio non affrontano il terrore e finiscono per essere uccise: centoventotto nel 2013 di cui quindici minori. Il rosso sangue è interpretato da un simbolo, bracciali rossi, che alcune hanno voluto preparare per questa giornata, che ascoltando le cronache, che ogni giorno raccontano di femminicidi, sembra una commemorazione funebre.                                  

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