Femminicidio, da Ipazia a Marie e Artemisia: “Ferite a morte”

Giustina De Iaco
di Francesco Greco. SALVE (Le) – Ipazia di Alessandria (fine IV - inizio V secolo) era così bella da oscurare il sole. Fu scorticata viva: i carnefici usarono cocci aguzzi di terracotta (altre ipotesi: lapidata o spellata con le conchiglie). Vollero umiliare il suo genio, il suo spirito libero. Donna di scienza: filosofa, matematica, astronoma. Per i successivi mille anni l’umanità visse delle sue teorie.

   Anche Artemisia Gentileschi (Roma, 1597-Napoli, 1652) era bellissima, di un’intelligenza viva, scintillante. Visse al tempo di Caravaggio, con cui gareggiò nel catturare la luce violenta per imprigionarla sulla tela. Un damerino ben nato si invaghì di lei e la possedette con la forza. La pittrice lo denunciò, ci fu un processo. Alla fine Artemisia sposò un vecchio: un archetipo per le donne chiacchierate, fino a non molto tempo fa (o un vecchio o un invalido). Andò a vivere a Firenze, dove incontrò un suo coetaneo, Francesco Mario, e con lui si riprese la sua gioventù rubata, l’amore, il piacere.

   L’attrice Marie Trintignant (1962-2003) era la figlia del grande Jean-Louis (“Il sorpasso”, Dino Risi). 41 anni, 3 mariti, 4 figli, fu uccisa a Vilnius a botte da Bertrand Cantat, leader/voce dei “Noir Desir”. Sono solo tre delle storie raccontate dallo spettacolo teatrale “Femminicidio”, ideato dalla regista pugliese Antonella Oceano e andato in scena con successo a Salve (nell’incantevole location di Palazzo Ramirez).

Una serata intensa di riflessione su un fenomeno del nostro tempo (ma diffuso anche nell’antica Roma). L’imperativo della regista era di volare alto, senza alcun riferimento a fatti avvenuti nel presente o nel passato prossimo e che tanto hanno colpito, sconvolto l’opinione pubblica. E ci è riuscita assemblando storie di donne di ogni tempo, latitudine, estrazione sociale e culturale: unite però da un denominatore comune: le protagoniste hanno subìto la violenza dell’uomo, che pure le aveva amate, ma anche di suggestioni culturali (in Africa, per esempio) dettate da una tradizione ormai destrutturata, negando la loro identità, il loro essere donna. Alcuni dei brani proposti sono stati ripresi, adattati e modificati dal libro di Serena Dandini “Ferite a morte”.

   Lo spettacolo (che forse sarà replicato al Tribunale di Lecce e all’Unione dei Comuni “Terra di Leuca”), si è aperto con un’intervista a chi scrive di Giustina De Iaco sul femminicidio e dintorni (leggi, dati, ecc.). Una poesia di Santella Villanova ha introdotto le storie delle donne ferire a morte: “Ni Una Màs” (Ada Orlando), “Cara Luisella” (Lucia Negro, la ragazzina con la valigia che vive in Italia ma è originaria del Mali e torna al villaggio natìo per essere infibulata dalla nonna perché così vuole la tradizione), “Fiore di Loto” (Francesca Coppola), “Amour Fou” (Giustina De Iaco, la storia di Maria Trintignant che parla al suo assassino con parole lacerate: l’attrice è così entrata nel personaggio che è tornata nel backstage in lacrime).

Elisa Maggio
   E poi “K2” (Lorena Pispero), “Artemisia” (una diafana Elisa Maggio che ha dato al personaggio seicentesco forza e lucidità, il testo è della stessa regista), Renato Lecci che ha recitato una poesia di Pier Paolo Pasolini (adattata alla tematica), il prof. Vito Russo, scultore, che ha illustrato “La Scuola di Atene” con riferimento a Ipazia e un dipinto di Artemisia Gentileschi, “Giuditta che uccide Oloferne”.

Il sedicenne prodigio Luca Raone ha eseguito Chopin (Notturno) e brani di Ennio Morricone, mentre il tenore ventenne Simon Dongiovanni ha chiuso lo spettacolo con “Malìa” di Francesco Paolo Tosti. Sipario e commozione generale. La bravura degli interpreti, la delicatezza del tema e la leggerezza con cui il tutto è stato decodificato hanno toccato il cuore e la mente degli spettatori. Meritata la standing ovation.

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