di Alessandro Nardelli - Oggi la Chiesa intera è in festa per la canonizzazione in San Pietro di due grandi uomini, Angelo Giuseppe Roncalli e Karol Jozef Wojtyla, entrambi portano nel nome il ricordo del papà putativo di Gesù, entrambi papi del XX secolo.
Giovanni XXIII, figlio di umili mezzadri della bergamasca, è il pontefice che non può essere rinchiuso semplicemente con l’etichetta di Papa “buono”, come tiene a sottolineare il suo storico segretario, il neo-cardinale Loris Francesco Capovilla (classe 1915): se è vero che la bontà è una virtù cristiana, l’aggettivo è, però, troppo limitato per catalogare la santità dell’uomo. Per dire: Roncalli è il vescovo di Roma che già prima di essere eletto al soglio pontificio si adoperò nel concreto del dialogo ecumenico ed interreligioso in Bulgaria ed in Turchia, e dell’impegno per salvare gli ebrei durante la guerra; è colui che, considerato papa di transizione, sorprese tutti convocando ed organizzando il Concilio Vaticano II, aprendo le finestre della Chiesa cattolica alla fresca brezza della profezia e dei segni dei tempi; è il papa della ricerca insaziabile della pace, che pubblicò a meno di due mesi dalla morte l’enciclica “Pacem in Terris”, un appello rivolto al mondo intero, “a tutti gli uomini di buona volontà”… Sì, è santo, non (solo) perché buono, ma perché è un papa del Vangelo. Proprio come Wojtyla. Karol, appassionato di filosofia e di teatro, è il giovane che lavorò come operaio per guadagnarsi il pane in una cava e in un’azienda chimica prima di sentire la chiamata al sacerdozio, una chiamata ricevuta non su quiete bambagie di salotti intellettuali, ma negli anni dell’occupazione tedesca, frequentando un seminario clandestino.
Il suo pontificato, lunghissimo (1978-2005), si caratterizzò per la lotta agli aspetti negativi del comunismo (e della cortina di ferro) da lui vissuti così come del capitalismo. Ma non solo. Amato dai giovani si lanciò, come apostolo del duemila, in una grande maratona, con più di cento tappe nei diversi Stati, per annunciare Cristo letteralmente ai quattro angoli della Terra, per proporre agli uomini di non avere paura e di aprirgli le porte.
Perdoneranno allora i turisti il caos e i disagi della Roma di questi giorni: era doveroso canonizzare insieme queste due figure che, seppur diverse per molti aspetti, furono accomunate dalla priorità del guidare con l’esempio la Chiesa lungo le vie della radicalità evangelica.
Giovanni XXIII, figlio di umili mezzadri della bergamasca, è il pontefice che non può essere rinchiuso semplicemente con l’etichetta di Papa “buono”, come tiene a sottolineare il suo storico segretario, il neo-cardinale Loris Francesco Capovilla (classe 1915): se è vero che la bontà è una virtù cristiana, l’aggettivo è, però, troppo limitato per catalogare la santità dell’uomo. Per dire: Roncalli è il vescovo di Roma che già prima di essere eletto al soglio pontificio si adoperò nel concreto del dialogo ecumenico ed interreligioso in Bulgaria ed in Turchia, e dell’impegno per salvare gli ebrei durante la guerra; è colui che, considerato papa di transizione, sorprese tutti convocando ed organizzando il Concilio Vaticano II, aprendo le finestre della Chiesa cattolica alla fresca brezza della profezia e dei segni dei tempi; è il papa della ricerca insaziabile della pace, che pubblicò a meno di due mesi dalla morte l’enciclica “Pacem in Terris”, un appello rivolto al mondo intero, “a tutti gli uomini di buona volontà”… Sì, è santo, non (solo) perché buono, ma perché è un papa del Vangelo. Proprio come Wojtyla. Karol, appassionato di filosofia e di teatro, è il giovane che lavorò come operaio per guadagnarsi il pane in una cava e in un’azienda chimica prima di sentire la chiamata al sacerdozio, una chiamata ricevuta non su quiete bambagie di salotti intellettuali, ma negli anni dell’occupazione tedesca, frequentando un seminario clandestino.
Il suo pontificato, lunghissimo (1978-2005), si caratterizzò per la lotta agli aspetti negativi del comunismo (e della cortina di ferro) da lui vissuti così come del capitalismo. Ma non solo. Amato dai giovani si lanciò, come apostolo del duemila, in una grande maratona, con più di cento tappe nei diversi Stati, per annunciare Cristo letteralmente ai quattro angoli della Terra, per proporre agli uomini di non avere paura e di aprirgli le porte.
Perdoneranno allora i turisti il caos e i disagi della Roma di questi giorni: era doveroso canonizzare insieme queste due figure che, seppur diverse per molti aspetti, furono accomunate dalla priorità del guidare con l’esempio la Chiesa lungo le vie della radicalità evangelica.
ottimo articolo complimenti ad Alessandro Nardelli, Leo
RispondiEliminabuona capacità di sintesi e di presentazione semplice ed efficace delle due figure, un collega che se ne intende!
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