dal nostro inviato Francesco Greco. ROMA – “Matteo stai sereno”: la sinistra Pd ha elaborato il lutto. Nessun Vietnam a sinistra, niente scissioni. Né cupio dissolvi, masochismo, sconfittismo, “facciamoci del male”. Il teatro “Ghione” non è stato la Livorno del 1921 né Rimini 1991 (Rifondazione): la sinistra combina sempre i suoi pasticci davanti all’acqua: Freud avrebbe un sacco da dire. “Responsabilità ” e “lealtà ” (ma anche autonomia) le parole più dette. La “nouvelle vogue”, il cerchio magico di Renzi alla “Tutti da Fulvia sabato sera” non avrà ostacoli gonfi di pregiudizio nonostante una lettura alternativa del reale, anzi, gli sconfitti (18%) dell’Immacolata (da Bersani e D’Alema, leader amati, sintonizzati col sottosuolo oscuro del popolo di sinistra, mummificati in icone da padri della patria, in stand-by per un’altra giovinezza) promettono d’incalzare il conducator plebiscitato col 70% sulla via del riformismo (“Renzi va aiutato a fare le riforme. La ricostruzione non si fa se non si dà il potere al popolo”, Cuperlo, “Noi contro le riforme? Di più e meglio”, D’Alema).
Niente sindrome di Stoccolma ma neanche di Stendhal. E’ il messaggio in bottiglia del “cantiere aperto” mentre a Torino il futurista Renzi lanciava Sergio Chiamparino alla Regione e si cesellavano le candidature per le Europee (Roberto Gualtieri: “Non vagheggiamo un’altra Europa, vogliamo cambiarla”). Mare calmo, dunque, lezioso grecale. Una giornata in cui il popolo della sinistra ha riscoperto la l’orgoglio, il fuoco greco, il dialogo anche aspro (disincagliato da virtualità e sondaggi), ma ricco di contaminazioni. Stefano Fassina ha parlato di “deriva antropologica”, “leggi dello spettacolo”, “dignità della persona che lavora”, “ricostruzione organizzativa e morale del partito” con uno “spirito unitario e plurale” (Cuperlo); (“Dovevo venire qui per sentirmi a casa mia!”, Jessica Canton, Padova).
E tuttavia carsicamente qualcosa balugina: non un banale spirito di rivincita o un aventinismo datato, ma qualcosa di semanticamente più intrigante: pixel che nei prossimi mesi si decodificheranno nei due forum annunciati sul mondo che cambia e sulla radiografia del partito. “Il congresso – ha sorriso sibillino Cuperlo – lo abbiamo perso, ma anche no… La minoranza non siamo noi…”. Prima aveva detto D’Alema: “Una minoranza deve aspirare a essere maggioranza, ma sarebbe troppo facile diventarlo col pensiero degli altri… Renzi incarna una speranza per il Paese, se il suo sforzo fallisse non ne avremmo un vantaggio”.
Intensa come un brainstorming, in cerca del Graal: una giornata di passione, da “grande bellezza”, di riappropriazione orizzontale, sentimentale della politica per “un nuovo inizio” negli interventi di Gessica Allegni, Massimo Mapelli, Mario Crosta, Eleonora Cardogna, Davide Imola, Giacomo Galiazzo, Filippo Del Corno, Susanna Cenni, Luca Fantacci, Micol Tuzi, Anna Rossomando, Aurelio Mancuso, Francesco Laforgia, Barbara Pollastrini, Roberto Serra (Pd Lussemburgo), Davide Ferrari, Leandro Limoccia, Stefano Fancelli, Claudio Bazzocchi, Maria Josè Mendez Evora, Angelica Lubrano, Chiara Innocenti, Andrea De Maria, Giusy Versace, Franco Lotito, Valeria Valente, Alessandro La Noce.
Peccato però che a tanta voglia di protagonismo non ha fatto eco una critica più cool: opzioni da scagliare in avanti. Forse era nella logica delle cose: il renzismo è in fase embrionale, un’ambigua bolla semantica, ma sono le idee forti che scaldano i cuori, illuminano le menti. E invece, affacciandosi “sulla porta del giardino”, direbbe Borges, il deserto, una piazza metafisica alla De Chirico. “Se un tempo nuovo incalza”, quello “delle riforme e un programma d’urto contro la crisi” (sempre Cuperlo), e se si vuol essere “più riformisti di Renzi” (D’Alema), è stato un “cantiere” di amnesie, vaghezze: più sociologico che politico, da seduta psicanalitica di chi si ritrova da proprietario a inquilino, quasi allo stato di paria, o di alieno.
Non si è udita una parola sul conflitto di interessi. Con “l’astuzia dell’intelligenza” (Hegel) un soggetto politico possiede un impero mediatico che usa per lavare i cervelli, tanto che, ancora Cuperlo “milioni di persone hanno una percezione del mondo sbagliata”.
Ma forse la sinistra s’è abbioccata al mantra di B. e l’anomalia è stata metabolizzata, è parte del paesaggio: come il Vesuvio fumante e la Torre di Pisa. Silenzio sulla giustizia da riformare. Su come combattere le mafie 2.0 (giro d’affari 200 mld). La corruzione (60) più forte che prima (Tangentopoli), l’evasione fiscale (120). O come far tornare a casa chi s’è parcheggiato nell’antipolitica. Come riformulare la Questione Meridionale. Creare lavoro vero: da 7 anni aumenta l’insicurezza, la precarietà , “la solitudine, cifra della modernità ” (Goffredo Bettini).
La playstation renziana si argina col populismo degli 80 € (è come l’Imu del Caimano: quasi voto di scambio) mentre ne levano 64 al coniuge a carico (smentita)? Con le donne capilista e ai vertici del pubblico? “C’è differenza fra scegliere ed essere scelte” (Susanna Lembi).
Accenni di autocritica (dalla carica dei 101 un anno fa alla legge elettorale, Bersani; critiche all’Italicum, al Porcellum “che noi abbiamo utilizzato”, all’entrata nel Pse), citazioni alte: Gramsci, Pertini, don Tonino Bello, ma laboratorio zero, o quasi. Accademia, salotto, melina. Tanto che qualcuno ha arruolato il Papa, altri invocato le toghe. Per Bersani “le riforme devono andare avanti, la sinistra deve reinventarsi”: belle parole, ma come? Eppure il Renzi marinettiano, illusionista da luna nel pozzo, allo snodo fra Bene e Male, civiltà e barbarie, giocatore delle 3 carte (“energia, dinamismo, velocità ” ma anche “stili e pratiche che non ci appartengono”, ancora Cuperlo), decisionista, paragonato a Mussolini e Craxi, oltre che a B., che bypassa i sindacati formattando la concertazione (Carla Cantone, Spi-Cgil) e ironizza sui “professori”, assiso sulla nuvoletta iperuranica a dire cos’è progresso e conservazione, inseguendo l’eterogenesi dei fini, che ha ridato linfa a un fenomeno deteriore, il berlusconismo, offre un’ontologia quotidiana per una visione “altra”, “un’idea nuova, una sinistra diversa”.
Accanto al parterre: Reichlin, Speranza, Staino, Epifani, Miguel Gotor (“Serve unità fra di noi… Siamo dentro un tempo incerto... I cicli politici si sono accorciati… Chiediamoci perché Renzi è entrato nel cuore dei nostri elettori”), il guardasigilli Orlando (“La crisi sociale diventa crisi democratica… Il fallimento del progetto di Renzi non ridarebbe a noi la palla”), una delegazione di operai Ilva: “Siamo qui – afferma Carmelo Derchia – per continuare la battaglia sull’ambiente cominciata con Bersani: Taranto non è più rappresentata, ma la mostra lotta continua nel segno di ieri”. Un altro punto per l’agenda della “nuova sinistra” in fieri. La classe operaia sbattuta all’inferno tra veleni e ricatti. La globalizzazione senza etica, il mercato regola tutto, “la povertà non è una colpa” (Charles Dickens, “Oliver Twist”), “serve un patto sociale fra Nord e Sud… Lo sguardo di chi soffre è più importante dello spread” (Cuperlo). E se l’uomo, con la sua complessità , tornasse al centro dell’Universo?
Niente sindrome di Stoccolma ma neanche di Stendhal. E’ il messaggio in bottiglia del “cantiere aperto” mentre a Torino il futurista Renzi lanciava Sergio Chiamparino alla Regione e si cesellavano le candidature per le Europee (Roberto Gualtieri: “Non vagheggiamo un’altra Europa, vogliamo cambiarla”). Mare calmo, dunque, lezioso grecale. Una giornata in cui il popolo della sinistra ha riscoperto la l’orgoglio, il fuoco greco, il dialogo anche aspro (disincagliato da virtualità e sondaggi), ma ricco di contaminazioni. Stefano Fassina ha parlato di “deriva antropologica”, “leggi dello spettacolo”, “dignità della persona che lavora”, “ricostruzione organizzativa e morale del partito” con uno “spirito unitario e plurale” (Cuperlo); (“Dovevo venire qui per sentirmi a casa mia!”, Jessica Canton, Padova).
E tuttavia carsicamente qualcosa balugina: non un banale spirito di rivincita o un aventinismo datato, ma qualcosa di semanticamente più intrigante: pixel che nei prossimi mesi si decodificheranno nei due forum annunciati sul mondo che cambia e sulla radiografia del partito. “Il congresso – ha sorriso sibillino Cuperlo – lo abbiamo perso, ma anche no… La minoranza non siamo noi…”. Prima aveva detto D’Alema: “Una minoranza deve aspirare a essere maggioranza, ma sarebbe troppo facile diventarlo col pensiero degli altri… Renzi incarna una speranza per il Paese, se il suo sforzo fallisse non ne avremmo un vantaggio”.
Intensa come un brainstorming, in cerca del Graal: una giornata di passione, da “grande bellezza”, di riappropriazione orizzontale, sentimentale della politica per “un nuovo inizio” negli interventi di Gessica Allegni, Massimo Mapelli, Mario Crosta, Eleonora Cardogna, Davide Imola, Giacomo Galiazzo, Filippo Del Corno, Susanna Cenni, Luca Fantacci, Micol Tuzi, Anna Rossomando, Aurelio Mancuso, Francesco Laforgia, Barbara Pollastrini, Roberto Serra (Pd Lussemburgo), Davide Ferrari, Leandro Limoccia, Stefano Fancelli, Claudio Bazzocchi, Maria Josè Mendez Evora, Angelica Lubrano, Chiara Innocenti, Andrea De Maria, Giusy Versace, Franco Lotito, Valeria Valente, Alessandro La Noce.
Peccato però che a tanta voglia di protagonismo non ha fatto eco una critica più cool: opzioni da scagliare in avanti. Forse era nella logica delle cose: il renzismo è in fase embrionale, un’ambigua bolla semantica, ma sono le idee forti che scaldano i cuori, illuminano le menti. E invece, affacciandosi “sulla porta del giardino”, direbbe Borges, il deserto, una piazza metafisica alla De Chirico. “Se un tempo nuovo incalza”, quello “delle riforme e un programma d’urto contro la crisi” (sempre Cuperlo), e se si vuol essere “più riformisti di Renzi” (D’Alema), è stato un “cantiere” di amnesie, vaghezze: più sociologico che politico, da seduta psicanalitica di chi si ritrova da proprietario a inquilino, quasi allo stato di paria, o di alieno.
Non si è udita una parola sul conflitto di interessi. Con “l’astuzia dell’intelligenza” (Hegel) un soggetto politico possiede un impero mediatico che usa per lavare i cervelli, tanto che, ancora Cuperlo “milioni di persone hanno una percezione del mondo sbagliata”.
Ma forse la sinistra s’è abbioccata al mantra di B. e l’anomalia è stata metabolizzata, è parte del paesaggio: come il Vesuvio fumante e la Torre di Pisa. Silenzio sulla giustizia da riformare. Su come combattere le mafie 2.0 (giro d’affari 200 mld). La corruzione (60) più forte che prima (Tangentopoli), l’evasione fiscale (120). O come far tornare a casa chi s’è parcheggiato nell’antipolitica. Come riformulare la Questione Meridionale. Creare lavoro vero: da 7 anni aumenta l’insicurezza, la precarietà , “la solitudine, cifra della modernità ” (Goffredo Bettini).
La playstation renziana si argina col populismo degli 80 € (è come l’Imu del Caimano: quasi voto di scambio) mentre ne levano 64 al coniuge a carico (smentita)? Con le donne capilista e ai vertici del pubblico? “C’è differenza fra scegliere ed essere scelte” (Susanna Lembi).
Accenni di autocritica (dalla carica dei 101 un anno fa alla legge elettorale, Bersani; critiche all’Italicum, al Porcellum “che noi abbiamo utilizzato”, all’entrata nel Pse), citazioni alte: Gramsci, Pertini, don Tonino Bello, ma laboratorio zero, o quasi. Accademia, salotto, melina. Tanto che qualcuno ha arruolato il Papa, altri invocato le toghe. Per Bersani “le riforme devono andare avanti, la sinistra deve reinventarsi”: belle parole, ma come? Eppure il Renzi marinettiano, illusionista da luna nel pozzo, allo snodo fra Bene e Male, civiltà e barbarie, giocatore delle 3 carte (“energia, dinamismo, velocità ” ma anche “stili e pratiche che non ci appartengono”, ancora Cuperlo), decisionista, paragonato a Mussolini e Craxi, oltre che a B., che bypassa i sindacati formattando la concertazione (Carla Cantone, Spi-Cgil) e ironizza sui “professori”, assiso sulla nuvoletta iperuranica a dire cos’è progresso e conservazione, inseguendo l’eterogenesi dei fini, che ha ridato linfa a un fenomeno deteriore, il berlusconismo, offre un’ontologia quotidiana per una visione “altra”, “un’idea nuova, una sinistra diversa”.
Accanto al parterre: Reichlin, Speranza, Staino, Epifani, Miguel Gotor (“Serve unità fra di noi… Siamo dentro un tempo incerto... I cicli politici si sono accorciati… Chiediamoci perché Renzi è entrato nel cuore dei nostri elettori”), il guardasigilli Orlando (“La crisi sociale diventa crisi democratica… Il fallimento del progetto di Renzi non ridarebbe a noi la palla”), una delegazione di operai Ilva: “Siamo qui – afferma Carmelo Derchia – per continuare la battaglia sull’ambiente cominciata con Bersani: Taranto non è più rappresentata, ma la mostra lotta continua nel segno di ieri”. Un altro punto per l’agenda della “nuova sinistra” in fieri. La classe operaia sbattuta all’inferno tra veleni e ricatti. La globalizzazione senza etica, il mercato regola tutto, “la povertà non è una colpa” (Charles Dickens, “Oliver Twist”), “serve un patto sociale fra Nord e Sud… Lo sguardo di chi soffre è più importante dello spread” (Cuperlo). E se l’uomo, con la sua complessità , tornasse al centro dell’Universo?