di Francesco Greco. LECCE - I Calignano sono stati i primi a portare il verbo anglo-americano del rock in Terra d’Otranto, una terra dove dall’alba dei tempi la creatività è stratificata e diffusa e c’è un melting-pot culturale di straordinario pathos. È l’ipotesi – documenti alla mano – di Giuseppe Calignano, giovane (30 anni) musicista (suo il book trailer del romanzo di Colleen Hoover Tutto ciò che sappiamo dell’amore, Rizzoli) e critico musicale.
Lo afferma mentre dagli archivi della “cantina” di Montesardo (città dove nacque, intorno al 1580, il grande musicista Girolamo Melcarne, detto “il Montesardo”, a cui si deve la rivoluzionaria invenzione della prima intavolatura alfabetica per chitarra pubblicata a stampa che ci è pervenuta) riaffiorano loro vecchie registrazioni, dal vivo e in studio, risalenti agli anni Settanta: splendide, inedite incisioni.
La band, già “Triangolo Rovente”, “Colon”, “Corpo”, “Tracheion Oros”, a fine 2013 è uscita con un album intrigante già nel titolo: Due Sicilie. Il lavoro è stato presentato a Lecce il 23 febbraio scorso e sarà riproposto a Tricase, nel contesto degli appuntamenti culturali dell’estate, con un concerto che si annuncia un evento (grazie al loro essere innovativi, i “Calignano” sono da sempre considerati un gruppo-cult con un pubblico trasversale alle generazioni): in contemporanea una mostra di Francesco, grande pure come pittore.
«È un’operazione discografica di straordinario interesse, un lavoro pulito, vero, sentito»: così la professoressa Elsa Martinelli, illustre musicologa e docente al Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce nel corso della presentazione al Museo della Stampa “Martano”. Che ha aggiunto: «Nelle musiche dei Calignano c’è sentimento e una dimestichezza con un modo di fare musica tecnicamente studiato e accattivante. Il disco è capace di catturare e tenere sempre desta l’attenzione grazie all’estrema gradevolezza prodotta dall’ascolto dei vari brani vocali e strumentali. Due Sicilie è la migliore dimostrazione di come un prodotto ben fatto e curato nei dettagli sia capace di arrivare subito al cuore e alla mente».
Gli elogi di una studiosa autorevolissima (è ispettore onorario per la tutela e la vigilanza degli organi storici del Salento, argomento che indaga da anni con vari saggi e volumi, tra i quali spicca il catalogo Gli antichi organi di Terra d’Otranto, ha tra l’altro riscosso ammirazione a Venezia, a un recente convegno della prestigiosa Fondazione Cini, con la sua relazione Nei panni dell’eroe: costumi e protagonisti di due drammi per musica dati a Firenze nel 1760 e ha collaborato con l’organista olandese Liuwe Tamminga alla redazione del booklet del cd La Tarantella nel Salento, per l’etichetta Accent), così proseguono: «In questo lavoro ho trovato un bel pensiero organico, un’ottima esecuzione, un mix interessante, degli arrangiamenti non scontati o banali, ma ben costruiti e cangianti, un continuo passaggio stilistico fra un brano e l’altro e all’interno dei brani stessi. Mi piacciono i fraseggi e la costruzione narrativa dell’intero album. I testi sono solo apparentemente lineari, ma ad una loro attenta lettura si rivelano volutamente e sottilmente disambigui. Possono, infatti, essere interpretati in più modi: quando i Calignano parlano di amore, sembra facciano riferimento tanto al sentimento che provano per la propria terra natia quanto a un amore più generico, come può essere quello che si prova nei confronti di una donna. Questo e i tanti altri spostamenti di significato che si riscontrano nei testi sono molto interessanti».
Un elogio a tutto tondo, che così prosegue: «Mi piace – osserva ancora la ricercatrice – questo vitalismo ritmico, orgiastico, quasi ditirambico. Le percussioni sono pirotecniche: sembrano fuochi d’artificio che ricordano le feste e i cerimoniali di corte con i colpi a salve di cannone di saluto e omaggio alle alte autorità. Il suono è potente, le soluzioni strumentali ricercate. Gli incipit e gli explicit dei vari brani presentano soluzioni sempre originali e indubbiamente innovative. Si sente che i Calignano sono dei virtuosi, c’è molta tecnica e ricerca nelle loro composizioni».
La musicologa scende poi nello specifico, nell’analisi di alcuni brani: «Due Sicilie è bellissimo, con l’inno di Paisiello quasi nascosto, in lontananza. La versione originale dell’inno è solenne, ma è spettacolare il modo in cui qui è stato rivisitato e modernizzato. Nell’ultimo brano, Klaohi Zis, trovo molto bella e simbolica la chiusa finale, quasi fosse il sigillo del Salento, con la sonagliera del tamburello di Dioniso in dissolvenza che racchiude il tutto. I concetti che esprime l’album sono forti: dalla prima all’ultima nota, l’intero lavoro è pervaso da una filosofia e da un rigoroso pensiero di fondo. Bello, davvero molto bello…».
I “Calignano” hanno rimesso mano ai loro archivi e sono molte le “gemme” che a breve vedranno la luce, in forma restaurata, completamente rimasterizzata. Un lavoro di scavo e di ricostruzione filologica meticoloso, laborioso. Sostiene Giuseppe Calignano: «È stata una sorpresa incredibile ascoltare in anteprima questi nastri degli anni Settanta. La prof. Martinelli ha parlato di commistione di generi: proprio questo faceva il gruppo quando ancora si chiamava “Corpo”, negli anni dal ’71 al ’79. Non appena i loro primi lavori vedranno la luce credo che saremo costretti a riscrivere molte antologie».
Innovatori, dunque, i Calignano, ricercatori, sperimentatori, precursori, autori di un art-rock seducente e avveniristico. Prosegue il critico: «Francesco (chitarre), Biagio (tastiere e percussioni) e Mario (il terzo fratello, virtuoso bassista all’epoca dei “Corpo”, n.d.r.) in quegli anni sono stati pura avanguardia: suonavano qualcosa di molto simile al post-punk prima ancora che esplodesse il fenomeno del punk. Nelle loro musiche si avverte il fervore delle avanguardie del tempo e si sentono le influenze di La Monte Young e Terry Riley. Bordoni elettronici, musica cosmica che pare quasi provenire dall’Oriente. Piani elettrici che girano in loop, sui quali Francesco improvvisa ‘rumorose’ partiture di chitarra. Nei nastri che ho ascoltato c’è tutto quello che sarebbe arrivato 25/30 anni più tardi, come il post-rock di Slint e Tortoise. E poi c’è il krautrock: tanta, tantissima musica di matrice teutonica. I Calignano degli anni Settanta suonavano avanguardia allo stato puro: partivano dal jazz-rock, da elementi zappiani, da un blues psicotico (si può apprezzare soprattutto nelle primissime incisioni) per giungere in seguito al pop degli anni Ottanta, in cui si avvertono gli echi di Cure e Talk Talk. Già, i Talk Talk: Francesco e Biagio sembrano aver fatto un po’ il percorso inverso rispetto a quello di Mark Hollis e soci…».
Secondo Giuseppe Calignano, dunque, «Francesco e Biagio sono il tesoro più intrigante e meglio nascosto della musica italiana. Quando il loro scrigno ricolmo di composizioni senza tempo sarà aperto, tutti potranno finalmente apprezzare la freschezza e il talento di questi ragazzi che a metà anni ’70 portavano in giro per l’Europa una musica elettrizzante, dal profilo nazionale e dal respiro indubbiamente internazionale. I Calignano hanno introdotto il rock in Salento, ma sono stati anche tra i primi a suonare rock in Italia in un “certo” modo: lo ho affermato io per primo; poi lo hanno confermato gli appassionati e gli addetti ai lavori che hanno avuto nel frattempo il privilegio di ascoltare i loro brani».
Alla presentazione di Due Sicilie è intervenuto anche Giuseppe Marcocchi Montani, critico d’arte e gran conoscitore della cultura mitteleuropea: «Porrei l’attenzione sul brano Berlin, quello che esplicita maggiormente il rapporto dei Calignano con la cultura mitteleuropea. Fin da piccoli – spiega – il padre di Francesco e Biagio, Giuseppe (persona di cultura vasta e libera), spingeva i figli ad ascoltare compositori allora poco conosciuti: Mahler, Schönberg, Hindemith. Le lande di lingua tedesca sembrano essere nel loro destino: essi, infatti, alcuni anni più tardi, benché ancora giovanissimi, ebbero modo di confrontarsi con un pubblico colto ed esigente proprio in quell’area. I loro concerti in Svizzera e Germania furono un autentico successo».
Con gli anni, il gruppo ha coltivato diverse conoscenze influenti nel campo della musica. Anche in questo caso non appare del tutto casuale il collegamento con la cultura dell’Europa Centrale. Aggiunge Marcocchi Montani: «Nelle biografie di Francesco e Biagio c’è un continuo rimando a questa attrazione verso la cultura mitteleuropea che si è trasformata in un’autentica passione suggellata dalla loro intensa amicizia con la nipote del compositore Gustav Mahler. Sono stato io a farli incontrare. Marina Mahler è stata subito colpita dalla loro professionalità e dal trasporto delle loro melodie nonostante i suoi ascolti avessero un retroterra classico e il pop non fosse propriamente nelle sue corde. Marina inoltre ammira lo stile pittorico di Francesco e adora i suoi dipinti, fra cui quello che è stato riprodotto sulla copertina di Due Sicilie».
L’intervento di Francesco Calignano, al Museo “Martano”, chiuse la presentazione e sintetizzò i principali temi del cd: «Il brano iniziale del lavoro, Tutti gli amori di Lecce, è dedicato a questa meravigliosa città che, in diverse fasi storiche del Regno delle Due Sicilie, è stata seconda per importanza soltanto alla Capitale, Napoli. Una città dal respiro europeo, celebrata per la sua bellezza e raffinatezza fin dall’epoca normanna». Un atto d’amore totale – appassionato e competente – nei confronti di Lecce. «Con ogni probabilità – spiega il musicista – il grande filosofo George Berkeley, uno dei padri dell’empirismo britannico, è la personalità che meglio di ogni altra ha saputo coglierne l’essenza. Durante una sua visita all’inizio del Settecento, si espresse così “Non ho mai visto una città così fastosa come Lecce, si ha l’impressione che gli architetti e gli scultori abbiano ereditato lo spirito e l’ingegno delicato dei Greci che anticamente hanno abitato queste zone”».
All’interno del brano in questione è contenuta una parte di testo che riproduce fedelmente un proclama di Re Carlo III di Borbone del Settecento, attraverso il quale il regnante ringrazia i leccesi per la loro fedeltà. Un testo che è stato scolpito e può essere ancora ammirato su una parete del “Sedile” (in Piazza Sant’Oronzo, cuore della città, n.d.r.). «È ormai documentato – aggiunge Francesco – che durante il Regno di Carlo III e oltre, Lecce e tutto il Sud raggiunsero primati economici e sociali inimmaginabili oggi. Mi piacerebbe che questo glorioso passato fosse motivo d’orgoglio per i giovani meridionali e creasse una consapevolezza che li porti a non sentirsi secondi a nessuno. Esattamente nello stesso modo in cui non fu seconda a nessuno la straordinaria Scuola musicale napoletana, all’interno della quale annoveriamo non solo il genio di Paisiello, compositore conteso da tutte le corti europee, ma anche personalità di spicco come Pergolesi, Traetta, Scarlatti, Leo e Giordano, musicista particolarmente amato da Mahler. Ed è una lista parziale…».
Il musicista chiude con la dedica dell’album «ad Alfredo Pucci, un ragazzo di Tricase, poco più che ventenne, che per forza, carattere, intelligenza e umanità può essere accostato agli eroi omerici. Un nuovo Achille in lotta col fato e con una situazione che avrebbe minato l’equilibrio di qualunque persona comune. Ma, Alfredo, comune non è».
Lo afferma mentre dagli archivi della “cantina” di Montesardo (città dove nacque, intorno al 1580, il grande musicista Girolamo Melcarne, detto “il Montesardo”, a cui si deve la rivoluzionaria invenzione della prima intavolatura alfabetica per chitarra pubblicata a stampa che ci è pervenuta) riaffiorano loro vecchie registrazioni, dal vivo e in studio, risalenti agli anni Settanta: splendide, inedite incisioni.
La band, già “Triangolo Rovente”, “Colon”, “Corpo”, “Tracheion Oros”, a fine 2013 è uscita con un album intrigante già nel titolo: Due Sicilie. Il lavoro è stato presentato a Lecce il 23 febbraio scorso e sarà riproposto a Tricase, nel contesto degli appuntamenti culturali dell’estate, con un concerto che si annuncia un evento (grazie al loro essere innovativi, i “Calignano” sono da sempre considerati un gruppo-cult con un pubblico trasversale alle generazioni): in contemporanea una mostra di Francesco, grande pure come pittore.
«È un’operazione discografica di straordinario interesse, un lavoro pulito, vero, sentito»: così la professoressa Elsa Martinelli, illustre musicologa e docente al Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce nel corso della presentazione al Museo della Stampa “Martano”. Che ha aggiunto: «Nelle musiche dei Calignano c’è sentimento e una dimestichezza con un modo di fare musica tecnicamente studiato e accattivante. Il disco è capace di catturare e tenere sempre desta l’attenzione grazie all’estrema gradevolezza prodotta dall’ascolto dei vari brani vocali e strumentali. Due Sicilie è la migliore dimostrazione di come un prodotto ben fatto e curato nei dettagli sia capace di arrivare subito al cuore e alla mente».
Gli elogi di una studiosa autorevolissima (è ispettore onorario per la tutela e la vigilanza degli organi storici del Salento, argomento che indaga da anni con vari saggi e volumi, tra i quali spicca il catalogo Gli antichi organi di Terra d’Otranto, ha tra l’altro riscosso ammirazione a Venezia, a un recente convegno della prestigiosa Fondazione Cini, con la sua relazione Nei panni dell’eroe: costumi e protagonisti di due drammi per musica dati a Firenze nel 1760 e ha collaborato con l’organista olandese Liuwe Tamminga alla redazione del booklet del cd La Tarantella nel Salento, per l’etichetta Accent), così proseguono: «In questo lavoro ho trovato un bel pensiero organico, un’ottima esecuzione, un mix interessante, degli arrangiamenti non scontati o banali, ma ben costruiti e cangianti, un continuo passaggio stilistico fra un brano e l’altro e all’interno dei brani stessi. Mi piacciono i fraseggi e la costruzione narrativa dell’intero album. I testi sono solo apparentemente lineari, ma ad una loro attenta lettura si rivelano volutamente e sottilmente disambigui. Possono, infatti, essere interpretati in più modi: quando i Calignano parlano di amore, sembra facciano riferimento tanto al sentimento che provano per la propria terra natia quanto a un amore più generico, come può essere quello che si prova nei confronti di una donna. Questo e i tanti altri spostamenti di significato che si riscontrano nei testi sono molto interessanti».
Un elogio a tutto tondo, che così prosegue: «Mi piace – osserva ancora la ricercatrice – questo vitalismo ritmico, orgiastico, quasi ditirambico. Le percussioni sono pirotecniche: sembrano fuochi d’artificio che ricordano le feste e i cerimoniali di corte con i colpi a salve di cannone di saluto e omaggio alle alte autorità. Il suono è potente, le soluzioni strumentali ricercate. Gli incipit e gli explicit dei vari brani presentano soluzioni sempre originali e indubbiamente innovative. Si sente che i Calignano sono dei virtuosi, c’è molta tecnica e ricerca nelle loro composizioni».
La musicologa scende poi nello specifico, nell’analisi di alcuni brani: «Due Sicilie è bellissimo, con l’inno di Paisiello quasi nascosto, in lontananza. La versione originale dell’inno è solenne, ma è spettacolare il modo in cui qui è stato rivisitato e modernizzato. Nell’ultimo brano, Klaohi Zis, trovo molto bella e simbolica la chiusa finale, quasi fosse il sigillo del Salento, con la sonagliera del tamburello di Dioniso in dissolvenza che racchiude il tutto. I concetti che esprime l’album sono forti: dalla prima all’ultima nota, l’intero lavoro è pervaso da una filosofia e da un rigoroso pensiero di fondo. Bello, davvero molto bello…».
I “Calignano” hanno rimesso mano ai loro archivi e sono molte le “gemme” che a breve vedranno la luce, in forma restaurata, completamente rimasterizzata. Un lavoro di scavo e di ricostruzione filologica meticoloso, laborioso. Sostiene Giuseppe Calignano: «È stata una sorpresa incredibile ascoltare in anteprima questi nastri degli anni Settanta. La prof. Martinelli ha parlato di commistione di generi: proprio questo faceva il gruppo quando ancora si chiamava “Corpo”, negli anni dal ’71 al ’79. Non appena i loro primi lavori vedranno la luce credo che saremo costretti a riscrivere molte antologie».
Innovatori, dunque, i Calignano, ricercatori, sperimentatori, precursori, autori di un art-rock seducente e avveniristico. Prosegue il critico: «Francesco (chitarre), Biagio (tastiere e percussioni) e Mario (il terzo fratello, virtuoso bassista all’epoca dei “Corpo”, n.d.r.) in quegli anni sono stati pura avanguardia: suonavano qualcosa di molto simile al post-punk prima ancora che esplodesse il fenomeno del punk. Nelle loro musiche si avverte il fervore delle avanguardie del tempo e si sentono le influenze di La Monte Young e Terry Riley. Bordoni elettronici, musica cosmica che pare quasi provenire dall’Oriente. Piani elettrici che girano in loop, sui quali Francesco improvvisa ‘rumorose’ partiture di chitarra. Nei nastri che ho ascoltato c’è tutto quello che sarebbe arrivato 25/30 anni più tardi, come il post-rock di Slint e Tortoise. E poi c’è il krautrock: tanta, tantissima musica di matrice teutonica. I Calignano degli anni Settanta suonavano avanguardia allo stato puro: partivano dal jazz-rock, da elementi zappiani, da un blues psicotico (si può apprezzare soprattutto nelle primissime incisioni) per giungere in seguito al pop degli anni Ottanta, in cui si avvertono gli echi di Cure e Talk Talk. Già, i Talk Talk: Francesco e Biagio sembrano aver fatto un po’ il percorso inverso rispetto a quello di Mark Hollis e soci…».
Secondo Giuseppe Calignano, dunque, «Francesco e Biagio sono il tesoro più intrigante e meglio nascosto della musica italiana. Quando il loro scrigno ricolmo di composizioni senza tempo sarà aperto, tutti potranno finalmente apprezzare la freschezza e il talento di questi ragazzi che a metà anni ’70 portavano in giro per l’Europa una musica elettrizzante, dal profilo nazionale e dal respiro indubbiamente internazionale. I Calignano hanno introdotto il rock in Salento, ma sono stati anche tra i primi a suonare rock in Italia in un “certo” modo: lo ho affermato io per primo; poi lo hanno confermato gli appassionati e gli addetti ai lavori che hanno avuto nel frattempo il privilegio di ascoltare i loro brani».
Alla presentazione di Due Sicilie è intervenuto anche Giuseppe Marcocchi Montani, critico d’arte e gran conoscitore della cultura mitteleuropea: «Porrei l’attenzione sul brano Berlin, quello che esplicita maggiormente il rapporto dei Calignano con la cultura mitteleuropea. Fin da piccoli – spiega – il padre di Francesco e Biagio, Giuseppe (persona di cultura vasta e libera), spingeva i figli ad ascoltare compositori allora poco conosciuti: Mahler, Schönberg, Hindemith. Le lande di lingua tedesca sembrano essere nel loro destino: essi, infatti, alcuni anni più tardi, benché ancora giovanissimi, ebbero modo di confrontarsi con un pubblico colto ed esigente proprio in quell’area. I loro concerti in Svizzera e Germania furono un autentico successo».
Con gli anni, il gruppo ha coltivato diverse conoscenze influenti nel campo della musica. Anche in questo caso non appare del tutto casuale il collegamento con la cultura dell’Europa Centrale. Aggiunge Marcocchi Montani: «Nelle biografie di Francesco e Biagio c’è un continuo rimando a questa attrazione verso la cultura mitteleuropea che si è trasformata in un’autentica passione suggellata dalla loro intensa amicizia con la nipote del compositore Gustav Mahler. Sono stato io a farli incontrare. Marina Mahler è stata subito colpita dalla loro professionalità e dal trasporto delle loro melodie nonostante i suoi ascolti avessero un retroterra classico e il pop non fosse propriamente nelle sue corde. Marina inoltre ammira lo stile pittorico di Francesco e adora i suoi dipinti, fra cui quello che è stato riprodotto sulla copertina di Due Sicilie».
L’intervento di Francesco Calignano, al Museo “Martano”, chiuse la presentazione e sintetizzò i principali temi del cd: «Il brano iniziale del lavoro, Tutti gli amori di Lecce, è dedicato a questa meravigliosa città che, in diverse fasi storiche del Regno delle Due Sicilie, è stata seconda per importanza soltanto alla Capitale, Napoli. Una città dal respiro europeo, celebrata per la sua bellezza e raffinatezza fin dall’epoca normanna». Un atto d’amore totale – appassionato e competente – nei confronti di Lecce. «Con ogni probabilità – spiega il musicista – il grande filosofo George Berkeley, uno dei padri dell’empirismo britannico, è la personalità che meglio di ogni altra ha saputo coglierne l’essenza. Durante una sua visita all’inizio del Settecento, si espresse così “Non ho mai visto una città così fastosa come Lecce, si ha l’impressione che gli architetti e gli scultori abbiano ereditato lo spirito e l’ingegno delicato dei Greci che anticamente hanno abitato queste zone”».
All’interno del brano in questione è contenuta una parte di testo che riproduce fedelmente un proclama di Re Carlo III di Borbone del Settecento, attraverso il quale il regnante ringrazia i leccesi per la loro fedeltà. Un testo che è stato scolpito e può essere ancora ammirato su una parete del “Sedile” (in Piazza Sant’Oronzo, cuore della città, n.d.r.). «È ormai documentato – aggiunge Francesco – che durante il Regno di Carlo III e oltre, Lecce e tutto il Sud raggiunsero primati economici e sociali inimmaginabili oggi. Mi piacerebbe che questo glorioso passato fosse motivo d’orgoglio per i giovani meridionali e creasse una consapevolezza che li porti a non sentirsi secondi a nessuno. Esattamente nello stesso modo in cui non fu seconda a nessuno la straordinaria Scuola musicale napoletana, all’interno della quale annoveriamo non solo il genio di Paisiello, compositore conteso da tutte le corti europee, ma anche personalità di spicco come Pergolesi, Traetta, Scarlatti, Leo e Giordano, musicista particolarmente amato da Mahler. Ed è una lista parziale…».
Il musicista chiude con la dedica dell’album «ad Alfredo Pucci, un ragazzo di Tricase, poco più che ventenne, che per forza, carattere, intelligenza e umanità può essere accostato agli eroi omerici. Un nuovo Achille in lotta col fato e con una situazione che avrebbe minato l’equilibrio di qualunque persona comune. Ma, Alfredo, comune non è».