Teatro, 'Sombras' sul Rio de la Plata
di Francesco Greco. GALLIPOLI (Le) – Maria (una superba, commuovente Rachele Andrioli) rinasce in una delle infinite vite che ci toccano e partorisce una bambina di nome Maria (cioè se stessa). A quel punto, un neonato che una giovane madre tiene nel passeggino in prima fila comincia a piangere. Il pubblico incredulo trattiene il respiro: l’arte si fonde con la vita come se una regia occulta lo avesse messo sullo story-board. Impossibile distinguere l’una dall’altra: sono una cosa sola, ontologicamente intrecciati, inseparabili. Dal Carro di Tespi a Carmelo Bene, è una magia che accade di rado: stasera è accaduto e noi ne siamo stupefatti testimoni. (Foto: Guglielmo Bianchi)
La standing- ovation è calda, affettuosa, riconoscente. Siamo al Teatro “Italia” di Gallipoli (magnificamente diretto dal dr. Pasquale Petrucelli, un uomo silenzioso che ama profondamente l’arte che dà corpo all’animo umano), colmo di gente: l’arte vera, la poesia con la p maiuscola, quando si materializzano per magia, non conoscono recessione, c’è un riflusso dalla tv spazzatura e le sue dee fintebionde: occorre sacrificare agli dèi. E’ la “prima” nazionale di “Sombras” (tra gli invisibili del Rio de la Plata), musical in due atti con le immortali melodie di Astor Piazzolla, uno studio teatrale curato da Dino Scalabrin (direzione musicale e arrangiamenti), Salvo Ferraro (lavoro sui testi), Chiara Idrusa Scrimieri (ideazione scenica e regia), progetto di Siroco Vo.g.liamo a SudEst, in collaborazione con Shurùq Ensemble e Idrusa Visual Lab.
Un’opera musicale insospettata, di struggente bellezza, capace di ridurre al silenzio il pubblico. Dolce come un frutto selvatico, sfavillante come un corallo. Peraltro, una sorta di laboratorio aperto, che nelle repliche future potrà avere degli innesti sia testuali che coreografici e musicali. Siamo nel barrio di Buenos Aires e da ogni angolo spuntano ombre, spettri ansiosi di raccontarci le storie delle loro vite semanticamente affollate come se avessero deciso di sbarazzarsi di un fardello assai ingombrante. A un certo punto irrompe anche uno psicanalista a cui Maria racconta gli episodi più significativi della sua infanzia. Sacro e profano corrono separati, si intrecciano, si separano con leggerezza e sensualità, milonga (è considerata l’antenato del tango) e tango diventano password, archetipi della narrazione retta da un linguaggio crudo e poetico, neorealista, di didascalica potenza evocatrice.
E dunque, la voce del bandoneòn impregna i vicoli di Buenos Aires, ombre in agguato agli angoli delle strade, entrano ed escono da questo mondo e da quello dei morti con una leggerezza straziante raccontando tristezze, passioni, inquietudini: l’immortalità appare una condanna perché diviene tormento, sofferenza infinita. “Il tango – ha detto Jorge Luis Borges – è ragione e passione: un modo di stare nella vita…”.
Deliziosi i contrappunti scenografici della stessa regista (studi al Dams di Bologna), che sul maxischermo racconta altre storie, suggerisce chiavi di lettura, enfatizza un passaggio, scioglie un mistero, ne affolla semanticamente un altro: grande sensibilità e professionalità (d’altronde la chiamano in tutta Italia). “Tra realtà e metafora – osserva Chiara Idrusa Scrimieri – la maggior parte dei personaggi appartiene al mondo dei morti e degli spiriti e la storia non è altro che uno srotolarsi di ricordi ed evocazioni”. Maria, secondo la tradizione popolare, fu abbandonata ancora bambina sulle rive del Rio de la Plata. Ritrovata da contadini immigrati europei, venne condotta nei sobborghi di Buenos Aires dove divenne velocemente adulta in una vita difficile fra le milonghe argentine, i ritmi afro-americani, l’habanera ispano-cubana e le danze europee. Duende è incaricato di riportare in vita Maria, delle cui vicende prima è perfido testimone, poi accorato e innamorato spettatore. Nel mito, pertanto, Maria personifica il tango, forgiata dalle note dei bandonèon e dalle sofferenze di una condizione comune al cuore autentico della nazione argentina.
”Il progetto - aggiunge spiegando il background produttivo - in continua evoluzione e ricerca, prevede l’ampliamento del cast e soluzioni sceniche ancora più sofisticate ad alto fattore tecnologico per la cui dotazione è necessario disporre di più ricche risorse produttive. Tale traguardo sarà raggiungibile solo col supporto da parte delle Istituzioni”.
Eccellente il livello di professionalità di “Sombras”: l’interpretazione dello Shurhùq Ensemble, il testo, la recitazione, il canto, l’esecuzione dei brani, la regia, la produzione. Lo Shurhùq è così composto: Dino Scalabrin (violino), Mariarita Schirosi (pianoforte), Rocco Nigro (bandonèon e fisarmonica), Gianluca Milanese (flauto), Jacopo Conoci (violoncello), Stefano Rielli (contrabbasso), Alessandro Monteduro (percussioni). Canto: oltre all’Andrioli, Gianluca Carrisi (Payador). Attori: Giovanni Dispenza (Duende), Salvo Ferraro (Uomo tornato dal Mistero), Rosa Greco (Madama), Mauro Martina (Uomo tornato dal Mistero). Danzatori: Annalisa Di Luzio, Marco Girotti. Dopo Gallipoli “Sombras” è andato in scena al “Teatro Paisiello” di Lecce. E altre date incombono.
La standing- ovation è calda, affettuosa, riconoscente. Siamo al Teatro “Italia” di Gallipoli (magnificamente diretto dal dr. Pasquale Petrucelli, un uomo silenzioso che ama profondamente l’arte che dà corpo all’animo umano), colmo di gente: l’arte vera, la poesia con la p maiuscola, quando si materializzano per magia, non conoscono recessione, c’è un riflusso dalla tv spazzatura e le sue dee fintebionde: occorre sacrificare agli dèi. E’ la “prima” nazionale di “Sombras” (tra gli invisibili del Rio de la Plata), musical in due atti con le immortali melodie di Astor Piazzolla, uno studio teatrale curato da Dino Scalabrin (direzione musicale e arrangiamenti), Salvo Ferraro (lavoro sui testi), Chiara Idrusa Scrimieri (ideazione scenica e regia), progetto di Siroco Vo.g.liamo a SudEst, in collaborazione con Shurùq Ensemble e Idrusa Visual Lab.
Un’opera musicale insospettata, di struggente bellezza, capace di ridurre al silenzio il pubblico. Dolce come un frutto selvatico, sfavillante come un corallo. Peraltro, una sorta di laboratorio aperto, che nelle repliche future potrà avere degli innesti sia testuali che coreografici e musicali. Siamo nel barrio di Buenos Aires e da ogni angolo spuntano ombre, spettri ansiosi di raccontarci le storie delle loro vite semanticamente affollate come se avessero deciso di sbarazzarsi di un fardello assai ingombrante. A un certo punto irrompe anche uno psicanalista a cui Maria racconta gli episodi più significativi della sua infanzia. Sacro e profano corrono separati, si intrecciano, si separano con leggerezza e sensualità, milonga (è considerata l’antenato del tango) e tango diventano password, archetipi della narrazione retta da un linguaggio crudo e poetico, neorealista, di didascalica potenza evocatrice.
E dunque, la voce del bandoneòn impregna i vicoli di Buenos Aires, ombre in agguato agli angoli delle strade, entrano ed escono da questo mondo e da quello dei morti con una leggerezza straziante raccontando tristezze, passioni, inquietudini: l’immortalità appare una condanna perché diviene tormento, sofferenza infinita. “Il tango – ha detto Jorge Luis Borges – è ragione e passione: un modo di stare nella vita…”.
Foto: Daniele Corricciati |
Deliziosi i contrappunti scenografici della stessa regista (studi al Dams di Bologna), che sul maxischermo racconta altre storie, suggerisce chiavi di lettura, enfatizza un passaggio, scioglie un mistero, ne affolla semanticamente un altro: grande sensibilità e professionalità (d’altronde la chiamano in tutta Italia). “Tra realtà e metafora – osserva Chiara Idrusa Scrimieri – la maggior parte dei personaggi appartiene al mondo dei morti e degli spiriti e la storia non è altro che uno srotolarsi di ricordi ed evocazioni”. Maria, secondo la tradizione popolare, fu abbandonata ancora bambina sulle rive del Rio de la Plata. Ritrovata da contadini immigrati europei, venne condotta nei sobborghi di Buenos Aires dove divenne velocemente adulta in una vita difficile fra le milonghe argentine, i ritmi afro-americani, l’habanera ispano-cubana e le danze europee. Duende è incaricato di riportare in vita Maria, delle cui vicende prima è perfido testimone, poi accorato e innamorato spettatore. Nel mito, pertanto, Maria personifica il tango, forgiata dalle note dei bandonèon e dalle sofferenze di una condizione comune al cuore autentico della nazione argentina.
”Il progetto - aggiunge spiegando il background produttivo - in continua evoluzione e ricerca, prevede l’ampliamento del cast e soluzioni sceniche ancora più sofisticate ad alto fattore tecnologico per la cui dotazione è necessario disporre di più ricche risorse produttive. Tale traguardo sarà raggiungibile solo col supporto da parte delle Istituzioni”.
Eccellente il livello di professionalità di “Sombras”: l’interpretazione dello Shurhùq Ensemble, il testo, la recitazione, il canto, l’esecuzione dei brani, la regia, la produzione. Lo Shurhùq è così composto: Dino Scalabrin (violino), Mariarita Schirosi (pianoforte), Rocco Nigro (bandonèon e fisarmonica), Gianluca Milanese (flauto), Jacopo Conoci (violoncello), Stefano Rielli (contrabbasso), Alessandro Monteduro (percussioni). Canto: oltre all’Andrioli, Gianluca Carrisi (Payador). Attori: Giovanni Dispenza (Duende), Salvo Ferraro (Uomo tornato dal Mistero), Rosa Greco (Madama), Mauro Martina (Uomo tornato dal Mistero). Danzatori: Annalisa Di Luzio, Marco Girotti. Dopo Gallipoli “Sombras” è andato in scena al “Teatro Paisiello” di Lecce. E altre date incombono.
Tags:
Cultura e Spettacoli