Giorgio Panzera, il Brassens di Terra d’Otranto
di Francesco Greco. ROMA – “Mangia beddhra mia / Nun ci pensare / Nu ttieni parole / Nu pueti cuntare / Idi quantu tira jentu / Ce nni nuce lu mare…” (“L’Africa d’Italia”). Vive a Roma da ormai 30 anni Giorgio Panzera (è nato a San Cesario, a due passi da Lecce), ma la sua terra tumara, la salsedine portata dal vento, quelle opere barocche scolpite dalla natura che sono gli ulivi monumentali, i muretti di pietre che stanno in piedi da secoli sfidando le leggi della fisica se li porta dentro, nella pelle, nel dna. E inconsciamente finiscono nelle canzoni, nelle parole e nella musica, con la fisarmonica a sottolineare la nostalgia (“Il treno di notte”), ma anche la comune appartenenza agli chansonnier francesi, menestrelli di quelle caves dove ogni sera dopo la guerra George Brassens, Edith Piaf, Juliette Greco, e più tardi Aznavour, Moustaki, Ives Montand e Leo Ferrè misero in scena la vita che possente voleva continuare a scorrere. Mentre Jacques Prevèrt cantava il desiderio e la passione e Sartre e Simone de Beauvoir la teorizzavano diversa davanti a un borboun a Montparnasse. Esistenzialismo, maglioni neri, poesia, amori disperati, speranza senza ragione.
“Tu che hai capito l’amore”, primo lavoro di Giorgio Panzera, cantautore, è dunque sospeso fra i topoi del Mediterraneo e la canzone d’autore d’Oltralpe, fra due idee di Europa: viscere e ragione, pancia e lumi, ragione e passione. Nella sua musica convivono queste due spinte all’apparenza contrapposte, ma di fatto complementari. Un disco lungamente pensato, undici brani che scansionano un mondo interiore ricco di sentimento, un mood pregno di pathos, di amore per l’esistenza, per l’avventura umana, nonostante tutto.
Panzera presta la sua voce calda, confidenziale come quella di un crooner, lungamente modulata nei piano-bar. E con una sua via, e vis, poetica, che a tratti fa pensare a un Paolo Conte con meno spleen, ci parla di un mondo crepuscolare, intimista, il suo, fatto di piccole realtà quotidiane, amori irrisolti (“Tu che hai capito l’amore”), l’urgenza di vivere e contaminarsi della bellezza intorno perché la vita scorre in fretta e brucia le illusioni come stoppie (“E’ tornata l’estate”).
In un panorama di cantautori autoreferenziali o prodotti dal marketing, che cantano le loro paranoie e la demenzialità, Panzera si distingue per originalità e freschezza, autenticità e pathos facilmente condivisibili, anche per il coraggio di parlare una lingua antica: quella della sua terra, che eleva al rango di grammatica espressiva da usare come password per accedere a un mondo di sentimenti, passioni, incanti, tenerezze, gioie, dolore. Teniamolo d’occhio per il futuro.
“Tu che hai capito l’amore”, primo lavoro di Giorgio Panzera, cantautore, è dunque sospeso fra i topoi del Mediterraneo e la canzone d’autore d’Oltralpe, fra due idee di Europa: viscere e ragione, pancia e lumi, ragione e passione. Nella sua musica convivono queste due spinte all’apparenza contrapposte, ma di fatto complementari. Un disco lungamente pensato, undici brani che scansionano un mondo interiore ricco di sentimento, un mood pregno di pathos, di amore per l’esistenza, per l’avventura umana, nonostante tutto.
Panzera presta la sua voce calda, confidenziale come quella di un crooner, lungamente modulata nei piano-bar. E con una sua via, e vis, poetica, che a tratti fa pensare a un Paolo Conte con meno spleen, ci parla di un mondo crepuscolare, intimista, il suo, fatto di piccole realtà quotidiane, amori irrisolti (“Tu che hai capito l’amore”), l’urgenza di vivere e contaminarsi della bellezza intorno perché la vita scorre in fretta e brucia le illusioni come stoppie (“E’ tornata l’estate”).
In un panorama di cantautori autoreferenziali o prodotti dal marketing, che cantano le loro paranoie e la demenzialità, Panzera si distingue per originalità e freschezza, autenticità e pathos facilmente condivisibili, anche per il coraggio di parlare una lingua antica: quella della sua terra, che eleva al rango di grammatica espressiva da usare come password per accedere a un mondo di sentimenti, passioni, incanti, tenerezze, gioie, dolore. Teniamolo d’occhio per il futuro.