di Frédéric Pascali - Le favole moderne ammaliano e regalano fascinazioni eterne e difficili da smontare. Le stesse del film diretto da Olivier Dahan, francese con un fitto background nel mondo dei videoclip. Il suo “Grace di Monaco”, film d’apertura, fuori concorso, del recente Festival di Cannes, è un “biopic” che, seppur generoso nell’attenzione al dettaglio, soffre di un sovrabbondante strato di patinato compiacimento. Nume ispiratore di cui finisce per patire anche l’interpretazione di Nicole Kidman. Una Principessa fin troppo radicata nel tempo che fu, tale da evocare la presenza di un qualche solerte addetto alle cere del “Madame Tussaud’s” Museum.
La sceneggiatura di Arash Amel alza il sipario nel momento in cui si gira il finale di “High Society” (“Alta società”), l’ultimo film interpretato da Grace Kelly. È il 1956 e la futura Principessa di Monaco ha già al dito l’anello di fidanzamento di Cartier regalatole da Ranieri. Il passo è breve e si è già nel 1962 con Grace, in piena crisi coniugale, che ancora fatica ad accettare le regole di corte ed è addirittura causa di imbarazzi per l’intero piccolo stato monegasco. Hollywood la cerca e Hitchcock in persona la raggiunge per consegnarle il copione del suo ultimo progetto, “Marnie”. Indecisa sul da farsi, Grace si rifugia nei consigli di Padre Trucker, l’assistente spirituale dei Grimaldi, proprio mentre monta la tensione politica con la Francia di De Gaulle. Un periglioso passaggio che mette a rischio la sopravvivenza dell’antica dinastia monegasca e che, paradossalmente, finisce per risolvere i dubbi della bella americana.
Rinuncerà per sempre alla sua carriera e sarà in tutto e per tutto la Principessa di Monaco. È la svolta che decide le sorti stesse del principato, aumentandone il fascino e l’inviolabilità territoriale.
Non sfugge agli elogi la fotografia di Eric Gautier, decisamente appropriata al genere. Si rivela impalpabile il “Ranieri” di Tim Roth, in tema la “Maria Callas” di Paz Vegas così come il “padre Trucker” di Frank Langella. Per il resto a volte si sfiora il caricaturale, alla mercé di caratteristi e passerelle alla Valentino.
La sceneggiatura di Arash Amel alza il sipario nel momento in cui si gira il finale di “High Society” (“Alta società”), l’ultimo film interpretato da Grace Kelly. È il 1956 e la futura Principessa di Monaco ha già al dito l’anello di fidanzamento di Cartier regalatole da Ranieri. Il passo è breve e si è già nel 1962 con Grace, in piena crisi coniugale, che ancora fatica ad accettare le regole di corte ed è addirittura causa di imbarazzi per l’intero piccolo stato monegasco. Hollywood la cerca e Hitchcock in persona la raggiunge per consegnarle il copione del suo ultimo progetto, “Marnie”. Indecisa sul da farsi, Grace si rifugia nei consigli di Padre Trucker, l’assistente spirituale dei Grimaldi, proprio mentre monta la tensione politica con la Francia di De Gaulle. Un periglioso passaggio che mette a rischio la sopravvivenza dell’antica dinastia monegasca e che, paradossalmente, finisce per risolvere i dubbi della bella americana.
Rinuncerà per sempre alla sua carriera e sarà in tutto e per tutto la Principessa di Monaco. È la svolta che decide le sorti stesse del principato, aumentandone il fascino e l’inviolabilità territoriale.
Non sfugge agli elogi la fotografia di Eric Gautier, decisamente appropriata al genere. Si rivela impalpabile il “Ranieri” di Tim Roth, in tema la “Maria Callas” di Paz Vegas così come il “padre Trucker” di Frank Langella. Per il resto a volte si sfiora il caricaturale, alla mercé di caratteristi e passerelle alla Valentino.