Venezia 71: pensieri e parole sulla modernità

dal nostro inviato Francesco Greco. VENEZIA - Era passato quasi inosservato il piccione filosofo di Roy Andersson (71 anni), regista e produttore svedese. Appollaiato su un ramo, riflette sul mondo contemporaneo: sogni, ironie, la caducità della vita, l’illanguidirsi delle passioni. Accolto con indifferenza da critica e pubblico, era stato letto come un’ipertrofia intellettuale modulata sull’autorialità. Non sappiamo i retroscena dell’innamoramento della giuria presieduta da Carlo Verdone, che ha assegnato a “A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence” il Leone d’Oro. “Non sarei un regista senza il cinema italiano e in particolare Vittorio De Sica”, si è sdebitato l’autore citando “Ladri di biciclette”.

Non aveva entusiasmato neanche “The Postman’s White Nights”, sorta di favola bucolico-antropologica del russo Andrey Konchalovskij, una comunità ai confini del mondo in lotta per avere l’acqua (“il diritto primario dell’essere umano è l’acqua: sarà la ragione scatenante delle future guerre”). Si ignora anche qui quale corto circuito sia scattato per far vincere al regista 77enne per l’assegnazione del Leone d’argento (ma i rumors lo davano per vincente assoluto). A mani vuote “Birdman”, pure accreditato della vittoria dai rumors evidentemente messi in giro ad arte per tutti i dieci giorni della 71ma edizione della Mostra Internazionale del Cinema.

Per il resto, la nota positiva è la “resurrezione” del cinema italiano: dopo il premio di Cannes a maggio, Coppa Volpi ad Alba Rohrwacher per “Hungry Hearts”, opera minimalista di Saverio Costanzo), che così continua sulla via intrapresa rimarcata da vigore, freschezza e attualità delle storie e dalla loro interpretazione. Adesso il salto di qualità tocca alle produzioni, con un intervento pubblico più mirato e meno dispersivo.

“Belluscone”, del siciliano Francesco Maresco, si è aggiudicato il premio speciale della giuria (dedicato a Palermo, “la città della mia vita: quella con la luce più bella del mondo”) nella rassegna “Orizzonti”. Dalla speculazione filosofica ai diritti inalienabili degli uomini (l’acqua), ecco la virata politica tanto temuta dal direttore artistico Alberto Barbera. C’è chi “teme” che ora il film aprirà una discussione sul berlusconismo. Teme? Oddio! E’ doverosa, anzi, salutare per tutti. “La trattativa”, di Sabina Guzzanti, altra opera essenzialmente politica, era fuori concorso: e magari si parlasse anche della problematica che Sabina affronta, carte alla mano. Il Paese è stanco di silenzi, pudori, omissioni che ci fanno una democrazia dimezzata, con gli equivoci che ci trasciniamo per decenni, senza mai scannerizzarli con decisione, col fuoco della dialettica, chiarirli a noi stessi una volta per tutte come in una seduta psicoanalitica per lasciarci il Medioevo alle spalle.

Ignorati stranamente anche altri due bellissimi film italiani, pure in concorso: “Pasolini” di Abel Ferrara, con un commovente Willem Defoe e “Il giovane favoloso” con un superlativo Elio Germano, e qui francamente facciamo fatica a capire, anche se Verdone dice che la giuria (con lui l’attore Tim Roth, il regista tedesco Philip Gröning, l’autrice austriaca Jessica Hausner, la scrittrice Usa Jhumpa Lahiri) si è subito innamorata del film di Costanzo.

Due personaggi complessi, barocchi, sfaccettati: uno nato nel Settecento (il poeta di Recanati), che con le sue riflessioni sospese fra poesia e filosofia marca il suo tempo indelebilmente e un altro pregno di carisma e che fece nell’ultimo scorcio del Novecento della provocazione intellettuale e politica il suo “credo laico”.

Ma dopo i piccioni moralisti e i postini ecologisti, sullo sfondo del radicalismo vegano e le paranoie della coppia del XXI secolo, forse sarebbe stato pretendere troppo. Scommettiamo però che le opere di Ferrara e Martone avranno successo in sala e si prenderanno la rivincita?


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