di Nicola Ricchitelli - Tutto ha avuto inizio circa una settimana, da quella messa celebrata su Ponte Sant’Angelo a Roma, nel luogo, così come ha raccontato il suo legale, in cui il capitano Erich Priebke amava fare lunghe passeggiate.
Tra polemiche e clamore vi riportiamo testimonianza circa la chiacchierata avuta con l’Avvocato Paolo Giachini.
D: Avvocato Giachini, nell’iniziativa dello scorso 11 ottobre dove inizia e finisce la provocazione?
R:«Non capisco di quale provocazione si possa parlare. L’11 ottobre a Roma sul Ponte Sant’Angelo è stata celebrata una cerimonia religiosa per un defunto, ciò che l’art. 19 della nostra Costituzione garantisce come diritto assoluto di tutti».
D: Perché ha sentito il bisogno di ricordare il capitano Priekbe?
R:«Erich Priebke è stata una persona che ha trovato a Roma, durante la sua ingiusta detenzione, tanti amici che ora sentono il bisogno di coltivare la sua memoria ed avere la possibilità di rendergli omaggio».
D: Perché lo si doveva ricordare?
R:«Erich Priebke è stato un perseguitato, la sua vicenda giudiziaria va ricordata. Non si deve dimenticare che l’ordine di rappresaglia delle Ardeatine prevedeva la esecuzione di soli uomini, mentre gli alleati con l’aviazione massacravano regolarmente civili indifesi, volutamente donne e bambini radendo volutamente al suolo città come Amburgo, Dresda fino a Hiroshima. Quello che ancora fanno primi fra tutti gli israeliani, recentemente in Libano oltre che in Palestina».
D: Il vostro, quindi, può dirsi un rapporto andato oltre quello professionale?
R:«Certo! Erich Priebke ha vissuto per più di quindici anni nella mia casa in detenzione domiciliare».
D: La sua per Erich Priekbe era ammirazione, affetto o cosa?
R:«Grande “rispetto” per una persona che con coraggio e forza d’animo ha affrontato il suo destino di perseguitato: l’unico vegliardo, divenuto poi centenario, tenuto in restrizione nel mondo civile; per un reato dal quale i suoi colleghi e superiori erano già stati assolti nel 1948».
D: Quale la sua personalissima vicenda circa i fatti susseguitosi dopo quella famosa intervista del giornalista dell’ABC nell’aprile del 1994?
R:«Vista la ipocrisia con la quale si infieriva contro questo anziano ho deciso di difenderlo: per 60 anni ci hanno raccontato che Hitler era una belva assetata di sangue e poi un bel giorno ci vengono a raccontare che un SS, Erich Priebke, poteva tranquillamente disubbidire ai suoi ordini; pur di condannare all’ergastolo l’ultimo soldato tedesco Hitler era diventato un pacioccone».
D: L’uomo Paolo Giachini – e dunque non l’avvocato – ha assolto il capitano Priekbe?
R:«Non ho mai pensato di doverlo assolverlo da nulla: come ho detto Priebke era un soldato a cui è stato dato un ordine di rappresaglia, come in tanti altri casi al quale non era dato rifiutarsi».
D: Avvocato, che ricordo ha lei del capitano Priebke? Vi è un aneddoto particolare che ci può raccontare?
R:«Priebke diceva che certi giornalisti sono come i pescecani che si mettono a seguire le navi per fagocitare i rifiuti lasciati nella loro scia».
D: Lei diede lavoro al capitano. Di cosa si occupava nel suo ufficio?
R:«Erich conosceva 4 lingue, era un ottimo traduttore».
D: Nella storia del capitano importante fu l’apporto della Chiesa nel favorirne la fuga – ricordiamo infatti che grazie all'assistenza di alcuni preti altoatesini, quali Johann Corradini parroco di Vipiteno e Franz Pobitzer di Bolzano, ma anche dal vicario generale della diocesi di Bressanone, Alois Pompanin, ricevette il battesimo cattolico, ma non solo quest’ultimo: attraverso le sue conoscenze all'interno degli uffici del comune di Termeno e nella Croce Rossa Internazionale, poté aiutare alcuni gerarchi tedeschi in fuga verso il Sud America, procurando loro documenti di identità falsi – si sarebbe aspettato dalla stessa un peso maggiore nel momento in cui si dovevano celebrare le esequie?
R:«Premetto che tutte queste storie sulla fuga di gerarchi nazionalsocialisti con l’aiuto della Chiesa sono roba da romanzo fantasy. Erich Priebke ha spiegato nella sua autobiografia Vae Victis tutto quello che aveva da dire a riguardo. Ciò detto la Chiesa di oggi è molto degradata e lo ha dimostrato negando un funerale ad un credente. Hanno tradito il loro dovere pastorale per paura di non essere politicamente corretti: una vergogna! Ora gli si vorrebbe negare persino un posto al cimitero e si definisce provocazione l’aver trovato un luogo ideale come ponte Sant’Angelo a Roma dove le persone possano andare a dire una preghiera o rivolgere un pensiero!».
D: Avvocato, visto quanto accaduto dopo la morte del capitano, possiamo dire con certezza che lo spirito di piazzale Loreto ancora alberga nell’animo degli italiani?
R:«Solo ancora nell’animo di pochi squilibrati, per il resto c’è solo stupidità, conformismo e ipocrisia».
D: Il capitano Priekbe è morto da cristiano?
R:«Si».
D: Ma soprattutto, è morto?
R:«E’ morto da quello che era: un prussiano che non ha mai rinnegato il suo passato e che non recitava ipocriti show di pentimento per paura degli assetati di vendetta».
D: Lei sa dove è sepolto il capitano?
R:«Certo! …e non intendo per ora rivelarlo».
D: Avvocato Giachini, nell’iniziativa dello scorso 11 ottobre dove inizia e finisce la provocazione?
R:«Non capisco di quale provocazione si possa parlare. L’11 ottobre a Roma sul Ponte Sant’Angelo è stata celebrata una cerimonia religiosa per un defunto, ciò che l’art. 19 della nostra Costituzione garantisce come diritto assoluto di tutti».
D: Perché ha sentito il bisogno di ricordare il capitano Priekbe?
R:«Erich Priebke è stata una persona che ha trovato a Roma, durante la sua ingiusta detenzione, tanti amici che ora sentono il bisogno di coltivare la sua memoria ed avere la possibilità di rendergli omaggio».
D: Perché lo si doveva ricordare?
R:«Erich Priebke è stato un perseguitato, la sua vicenda giudiziaria va ricordata. Non si deve dimenticare che l’ordine di rappresaglia delle Ardeatine prevedeva la esecuzione di soli uomini, mentre gli alleati con l’aviazione massacravano regolarmente civili indifesi, volutamente donne e bambini radendo volutamente al suolo città come Amburgo, Dresda fino a Hiroshima. Quello che ancora fanno primi fra tutti gli israeliani, recentemente in Libano oltre che in Palestina».
D: Il vostro, quindi, può dirsi un rapporto andato oltre quello professionale?
R:«Certo! Erich Priebke ha vissuto per più di quindici anni nella mia casa in detenzione domiciliare».
D: La sua per Erich Priekbe era ammirazione, affetto o cosa?
R:«Grande “rispetto” per una persona che con coraggio e forza d’animo ha affrontato il suo destino di perseguitato: l’unico vegliardo, divenuto poi centenario, tenuto in restrizione nel mondo civile; per un reato dal quale i suoi colleghi e superiori erano già stati assolti nel 1948».
D: Quale la sua personalissima vicenda circa i fatti susseguitosi dopo quella famosa intervista del giornalista dell’ABC nell’aprile del 1994?
R:«Vista la ipocrisia con la quale si infieriva contro questo anziano ho deciso di difenderlo: per 60 anni ci hanno raccontato che Hitler era una belva assetata di sangue e poi un bel giorno ci vengono a raccontare che un SS, Erich Priebke, poteva tranquillamente disubbidire ai suoi ordini; pur di condannare all’ergastolo l’ultimo soldato tedesco Hitler era diventato un pacioccone».
D: L’uomo Paolo Giachini – e dunque non l’avvocato – ha assolto il capitano Priekbe?
R:«Non ho mai pensato di doverlo assolverlo da nulla: come ho detto Priebke era un soldato a cui è stato dato un ordine di rappresaglia, come in tanti altri casi al quale non era dato rifiutarsi».
D: Avvocato, che ricordo ha lei del capitano Priebke? Vi è un aneddoto particolare che ci può raccontare?
R:«Priebke diceva che certi giornalisti sono come i pescecani che si mettono a seguire le navi per fagocitare i rifiuti lasciati nella loro scia».
D: Lei diede lavoro al capitano. Di cosa si occupava nel suo ufficio?
R:«Erich conosceva 4 lingue, era un ottimo traduttore».
D: Nella storia del capitano importante fu l’apporto della Chiesa nel favorirne la fuga – ricordiamo infatti che grazie all'assistenza di alcuni preti altoatesini, quali Johann Corradini parroco di Vipiteno e Franz Pobitzer di Bolzano, ma anche dal vicario generale della diocesi di Bressanone, Alois Pompanin, ricevette il battesimo cattolico, ma non solo quest’ultimo: attraverso le sue conoscenze all'interno degli uffici del comune di Termeno e nella Croce Rossa Internazionale, poté aiutare alcuni gerarchi tedeschi in fuga verso il Sud America, procurando loro documenti di identità falsi – si sarebbe aspettato dalla stessa un peso maggiore nel momento in cui si dovevano celebrare le esequie?
R:«Premetto che tutte queste storie sulla fuga di gerarchi nazionalsocialisti con l’aiuto della Chiesa sono roba da romanzo fantasy. Erich Priebke ha spiegato nella sua autobiografia Vae Victis tutto quello che aveva da dire a riguardo. Ciò detto la Chiesa di oggi è molto degradata e lo ha dimostrato negando un funerale ad un credente. Hanno tradito il loro dovere pastorale per paura di non essere politicamente corretti: una vergogna! Ora gli si vorrebbe negare persino un posto al cimitero e si definisce provocazione l’aver trovato un luogo ideale come ponte Sant’Angelo a Roma dove le persone possano andare a dire una preghiera o rivolgere un pensiero!».
D: Avvocato, visto quanto accaduto dopo la morte del capitano, possiamo dire con certezza che lo spirito di piazzale Loreto ancora alberga nell’animo degli italiani?
R:«Solo ancora nell’animo di pochi squilibrati, per il resto c’è solo stupidità, conformismo e ipocrisia».
D: Il capitano Priekbe è morto da cristiano?
R:«Si».
D: Ma soprattutto, è morto?
R:«E’ morto da quello che era: un prussiano che non ha mai rinnegato il suo passato e che non recitava ipocriti show di pentimento per paura degli assetati di vendetta».
D: Lei sa dove è sepolto il capitano?
R:«Certo! …e non intendo per ora rivelarlo».