di Pierpaolo De Natale - Impiccata nella mezzanotte di ieri Reyhaneh Jabbari. Il patibolo, questa la condanna per la 26enne che uccise l'uomo che tentò di stuprarla. Secondo fonti locali, a togliere lo sgabello da sotto i piedi della ragazza sarebbe stato proprio il figlio della vittima.
A dare la notizia della morte della giovane iraniana è stata la sua famiglia, alla quale si è unita in cordoglio una nutrita folla accorsa all'esterno del carcere di Gohardasht, a Karaj, luogo dell'esecuzione.
Il fatto per cui Reyhaneh è stata condannata risale al 2007. Appena 18enne, per difendersi da un tentato stupro, la ragazza accoltellò Morteza Abdolali Sarbandi, uomo che cercò di violentarla. Secondo quanto stabilito dalla legge dell' "occhio per occhio", unica via di scampo per Rayhaneh sarebbe stata negare l'accaduto. Solo in questo modo, infatti, la ragazza avrebbe potuto ottenere il perdono ed evitare la condanna a morte. Nonostante avesse dichiarato di aver agito per autodifesa, avendo confessato l'omicidio subito dopo l'arresto, non le fu consentito di avvalersi di un avvocato. Ecco, dunque, l'arrivo della condanna a morte da una corte penale nel 2009, confermata pochi mesi dopo dalla Corte Suprema.
"Mia figlia con la febbre ha ballato sulla forca", questo è quanto pubblicato su Facebook da Shole Pakravan – madre della vittima che, mesi fa, lanciò una campagna per salvare la vita di Reyhaneh.
Attimi prima dell'impiccagione, la madre della vittima ha lanciato un ultimo appello. "L’ho abbracciata per l’ultima volta, bisogna intervenire al più presto, fate qualcosa per salvare la vita di mia figlia". Queste le disperate parole della donna, alle quali si sono aggiunte le dichiarazioni di Hassiba Hadj Sahraoui – vicedirettore di Amnesty International per Africa e Medio Oriente – il quale ha detto: "Il tempo sta per scadere per Reyhaneh Jabbari. Le autorità devono agire adesso per fermare l’esecuzione. Una simile punizione in qualsiasi circostanza rappresenta un affronto alla giustizia, ma eseguirla dopo un processo imperfetto che lascia grandi punti interrogativi sul caso rende la cosa più tragica".
La risposta derivata dalla mobilitazione internazionale, però, non è bastata a fermare la condanna. Amnesty International, Iran Human Rights e altre organizzazioni internazionali in campo per la difesa dei diritti umani sono risultate impotenti, dinanzi alla forza dei solidi retaggi culturali dell'Iran.
A dare la notizia della morte della giovane iraniana è stata la sua famiglia, alla quale si è unita in cordoglio una nutrita folla accorsa all'esterno del carcere di Gohardasht, a Karaj, luogo dell'esecuzione.
Il fatto per cui Reyhaneh è stata condannata risale al 2007. Appena 18enne, per difendersi da un tentato stupro, la ragazza accoltellò Morteza Abdolali Sarbandi, uomo che cercò di violentarla. Secondo quanto stabilito dalla legge dell' "occhio per occhio", unica via di scampo per Rayhaneh sarebbe stata negare l'accaduto. Solo in questo modo, infatti, la ragazza avrebbe potuto ottenere il perdono ed evitare la condanna a morte. Nonostante avesse dichiarato di aver agito per autodifesa, avendo confessato l'omicidio subito dopo l'arresto, non le fu consentito di avvalersi di un avvocato. Ecco, dunque, l'arrivo della condanna a morte da una corte penale nel 2009, confermata pochi mesi dopo dalla Corte Suprema.
"Mia figlia con la febbre ha ballato sulla forca", questo è quanto pubblicato su Facebook da Shole Pakravan – madre della vittima che, mesi fa, lanciò una campagna per salvare la vita di Reyhaneh.
Attimi prima dell'impiccagione, la madre della vittima ha lanciato un ultimo appello. "L’ho abbracciata per l’ultima volta, bisogna intervenire al più presto, fate qualcosa per salvare la vita di mia figlia". Queste le disperate parole della donna, alle quali si sono aggiunte le dichiarazioni di Hassiba Hadj Sahraoui – vicedirettore di Amnesty International per Africa e Medio Oriente – il quale ha detto: "Il tempo sta per scadere per Reyhaneh Jabbari. Le autorità devono agire adesso per fermare l’esecuzione. Una simile punizione in qualsiasi circostanza rappresenta un affronto alla giustizia, ma eseguirla dopo un processo imperfetto che lascia grandi punti interrogativi sul caso rende la cosa più tragica".
La risposta derivata dalla mobilitazione internazionale, però, non è bastata a fermare la condanna. Amnesty International, Iran Human Rights e altre organizzazioni internazionali in campo per la difesa dei diritti umani sono risultate impotenti, dinanzi alla forza dei solidi retaggi culturali dell'Iran.