Tumori: 'Centri in rete per curare meglio e spendere meno ma le terapie oncologiche non possono essere centralizzate'

ROMA – “I risultati del ‘Rapporto nazionale esiti’ non ci stupiscono. Sappiamo da tempo che uno dei problemi oncologici è legato allo scarso numero di interventi chirurgici in alcuni centri. Solo il 20% delle strutture rispetta gli standard minimi di volume. Preoccupa che questo dato si riferisca a tumori molto frequenti come quelli del seno, del colon, del polmone e dello stomaco. Questo vale per la chirurgia, ma non è trasferibile alle terapie mediche, che non possono essere centralizzate. Altrimenti i pazienti sarebbero costretti a spostarsi frequentemente per lunghe distanze. La soluzione è rappresentata dalle reti oncologiche. In questo modo gli ospedali possono ‘parlare fra loro’ permettendo la circolazione delle esperienze e un risparmio di risorse. Finora però ha visto la luce solo il 5% dei progetti iniziali per la costruzione di questi network. La responsabilità deve essere ricondotta alle scelte delle Istituzioni, a livello nazionale e regionale”.

Il prof. Stefano Cascinu, presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), di fronte ai dati del Programma nazionale esiti (Pne) 2014 sviluppato dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari (Agenas) per conto del Ministero della Salute, sottolinea la necessità di distinguere le criticità rappresentate dalla chirurgia dalle terapie mediche e ribadisce l’assoluta necessità delle reti oncologiche. “È necessario realizzare una vera integrazione fra le varie discipline, che deve diventare lo standard di riferimento nella cura di una malattia che nel 2013 in Italia ha fatto registrare 366mila nuovi casi e 173mila decessi – continua il prof. Cascinu -. Vogliamo procedere ad una revisione critica delle strutture esistenti sul territorio nazionale.

Solo così potremo risparmiare e garantire alti standard qualitativi. Il problema della realizzazione di questi network è stato affrontato nel precedente piano oncologico, ma è rimasto lettera morta. Le reti sono fondamentali ed è necessario definire regole uniformi che possano essere seguite da tutte le Regioni, cui spetta l’organizzazione sanitaria, al fine di dotarsi di network omogenei sul territorio nazionale. È chiaro che le realtà locali sono diverse, ma bisogna evitare discrepanze eccessive, altrimenti rischiamo di aggiungere disparità e iniquità nell’accesso alle cure. Se non garantiamo un’assistenza omogenea su tutto il territorio, i pazienti sono costretti a migrare. A cercare soluzioni altrove. E questo rappresenta una sconfitta del sistema”.

“Alla definizione delle reti oncologiche – conclude il prof. Cascinu - si deve accompagnare un nuovo modello di assistenza, meno centrato sull’ospedale e più orientato a forme alternative. Il 30% dei pazienti con cancro muore in strutture ospedaliere destinate al contrasto di patologie acute, generando gravi sofferenze umane e familiari. È chiara l’inappropriatezza di questi ricoveri. Vanno poi considerati gli alti costi pro-die delle degenze in centri complessi e ad alto tasso tecnologico, con il rischio aggiuntivo di sottrarre posti letto a malati oncologici in fase acuta, sicuramente recuperabili con interventi tempestivi ed appropriati, rispetto a quelli, notevolmente minori, dell’assistenza domiciliare e dell’accoglienza negli hospice. Per cercare di superare questi problemi, è in corso un progetto che vede coinvolti Agenas, AIOM e CIPOMO (Collegio Italiano dei Primari Oncologi Ospedalieri) che permetterà di definire un modello di rete”.

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