“Nessuno tocchi la Puglia Migliore”, per la continuità

di Francesco Greco - Non si può negare che la Puglia rappresenti un “unicum” dal dna profondamente diverso rispetto al resto del Mezzogiorno italiano. Ciò è dovuto alla sua storia, passata e anche recente, alla conformazione geografica, ai naturali contatti con i tanti popoli qui sbarcati e a noi mescolati, al dialogo incessante col forestiero, al confronto continuo e aperto, e anche ai commerci, al patrimonio di valori messo in campo, all’arricchimento reciproco, alla contaminazione vissuta senza remore, pregiudizi, fondamentaliste.
 
Tutto ciò ha avuto un riflesso anche sulla composizione della nostra identità, ha marcato la sedimentazione antropologica e anche politica. E sotto questo aspetto – e anche questo è un dato oggettivo - la nostra regione è stata intesa, almeno dal dopoguerra all’età del pixel, anche come un “laboratorio” appunto politico, dove sono stati messi a dimora i virus di strade nuove che alla lunga hanno dato vita al “caso” Puglia, osservata dall’esterno come un esempio di buone pratiche dispiegate nel sociale, di meccanismi virtuosi avanzati in ogni scomparto, tanto che oggi i dati registrati sono in controtendenza rispetto a quelli denunciati periodicamente da Istat e Svimez.

In Puglia, per citarne solo due, aumenta la superficie della terra coltivata e quindi essa ha un appeal evidente evidenziato da nuove start-up, i giovani non sono afferrati dalla neghittosità, come direbbe Thomas Mann, a volte dalla disperazione com’è in altre regioni del Sud, a volte a disfare il trolley rinunciando a partire per darsi una mission esistenziale intra moenia.
 
Una “rivoluzione culturale” iniziata nel 2005, che, in nome della modernizzazione, dell’innovazione, della ricerca  continua di nuovi orizzonti e inedite koinè colte dai territori, ha dato una buona visibilità e un’immagine appetibile, vincente al logo Puglia (basti dire del pregevole lavoro di Apulia Film Commission), pur con le tante contraddizioni dovute anche a pesanti eredità in termini di tare culturali e anche di finanza allegra, creativa e clientelare: zavorre di cui disfarsi non è mai facile, come a vincoli contingenti in termini di spending review imposti da patti di stabilità e rigore  a gogò (da Berlusconi a Monti e Letta sino a Renzi).

Che ora - è il pensiero di Leonardo Palmisano (1974) - non può essere interrotta per tornare a un passato, alla Puglia vista come “territorio da predare e spogliare: come avvenuto nei decenni procedenti e segnatamente sotto il governo Fitto” (magari per accreditarsi come viceré presso i sovrani a Roma). E alla vigilia delle primarie del centrosinistra, che preparano le elezioni di primavera, Leonardo Palmisano riflette brevemente in un saggio esile ma ricco di spunti e di idee: “Nessuno tocchi la Puglia migliore” (5 riflessioni e 8 suggerimenti dopo 10 anni di governo del cambiamento), “Il Grillo Editore, Bari 2014, pp. 38. € 5, 00 (appena presentato alla libreria “Universal” di Maglie).
 
Sapide riflessioni cui fa eco Dario Stefano (candidato con Michele Emiliano e Guglielmo Minervini, alle primarie del 23 novembre) in prefazione quando parla di “lavoro importane”, di “patrimonio di buone pratiche”, di “politiche innovative”, di “cantieri aperti e percorsi avviati”, di “risposte date e obiettivi raggiunti che deve rappresentare la traccia da seguire per chi sarà impegnato a governare nei prossimi anni”. Palmisano ha un background culturale autorevole: spin-doctor gettonato, think-thank emergente (giornalista e scrittore, è docente di Sociologia Urbana al Politecnico barese) anche per solidità e onestà intellettuale, merci rare di questi tempi.
 
“Nel 2005 – scrive – mentre il mercato finanziario globale continuava  divorare le economie pubbliche a detrimento dell’economia reale e dell’occupazione, preparando il terreno per la crisi che da lì a un triennio sarebbe scoppiata, in una regione del Mediterraneo, fino ad allora considerata una Provincia dell’Impero, si determinava una vittoria elettorale che avrebbe portato al governo della Puglia un esempio alternativo a quello berlusconiano e a quello prodiano”.
 
Questa ormai è Storia. Ma la politica si nutre di visioni, di “dream”, per dirla con Jhon Kennedy. Infatti Palmisano, scrutando l’orizzonte, aggiunge subito: “Dobbiamo tutti ammettere di non sapere, di non essere individualmente all’altezza della nuova era, perché lo esige la nuova era. Si aprono davanti a noi scenari inediti, possibilità inesplorate, ma pure voragini risucchianti che rischiano di farci torcere il capo verso il passato”. Servizi, persone, cultura, scuola, lavoro, paesaggi, brand del futuro e quant’altro: il saggio si concentra su questi “scenari inediti” scagliandoli in un futuro che bussa già alla nostra porta in un tempo improvvisamente concentrato, essenziale, virale. E, soprattutto, che assegna a ognuno di noi una responsabilità: individuale, collettiva, storica.

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