di Nicola Zuccaro - Bari 2 dicembre 1943. Erano da circa passate le 19.30, quando improvvisamente la città fu illuminata a giorno per l'imperversare di 105 aerei della Luftwaffe (l'aviazione militare tedesca) dai quali furono sganciate numerose bombe. Gran parte di esse, colpirono il porto ed in particolare 17 navi fra cui il mercantile statunitense "John Harvey". Quest'ultimo perché contenente 2000 ordigni carichi di iprite, probabilmente, risultò essere il principale bersaglio dell'efferato attacco da parte degli ex alleati tedeschi. Sullo scalo portuale, sulla Città Vecchia, sui Quartieri Murat e Libertà si abbatté un attacco infernale. Migliaia furono le vittime, non solo italiane, tra militari e civili. Da quella tragedia - definita dagli storici, la Pearl Harbour italiana - sono passati 71 anni e con il superamento del settantesimo anniversario, celebrato lo scorso anno, il ricordo di una delle pagine più drammatiche della storia contemporanea della Città di Bari, non è stato cancellato; anzi, intensificato con una serie di iniziative, svoltesi nell'odierna giornata. Dopo la deposizione di una corona ai piedi della lapide commemorativa, posizionata all'ingresso del Porto di Bari, è seguita, a Palazzo di Città , l'incontro tra il Sindaco di Bari, Antonio De Caro e Giuseppe Morea. Di quella data, l'ultimo dei sopravvissuti ricorda la dinamica rapida e fulminea che caratterizzò quel bombardamento. Nell'odierno pomeriggio, presso la Mediateca Regionale, la proiezione di un documentario a tema ha rafforzato ulteriormente la memoria di uno dei pochi episodi di guerra chimica risalenti al Secondo Conflitto Mondiale e che ebbe, presso il Porto di Bari, come bersaglio, diretto e principale, la flotta anglo-americana.