Celiachia: colpisce un italiano su 100. Ecco come curarla

di Francesco Greco - Gli ultimi dati disponibili sono allarmanti, perché fotografano una patologia in rapida espansione. Un italiano su 100 è celiaco o lo è e non lo sa. Fra i 400mila e i 600mila i casi. Preoccupa quindi il “sommerso”, tant’è che gli esperti parlano di “fenomeno iceberg”. Quali i sintomi? Come curarla? Ne parliamo con Cinzia Bleve, biologa-nutrizionista.

Domanda: Dottoressa, cos’è esattamente questa malattia? Risposta: La celiachia, chiamata anche morbo celiaco, enteropatia immuno-mediata, è un'intolleranza permanente al glutine, un complesso di sostanze azotate che si forma durante l'impasto con acqua, farina di alcuni cereali come frumento, farro, kamut, orzo, segale, spelta e triticale (pare anche l’avena). E’ una patologia autoimmune e con forti componenti genetiche. Normalmente, l’assorbimento dei nutrienti avviene a livello intestinale, grazie alla presenza della mucosa enterica formata da particolari strutture, i villi intestinali, che aumentano la superficie assorbente.

D. Cosa avviene quando nell’organismo si introduce il glutine? R. Nei soggetti celiaci, quando viene introdotto il glutine e, in particolare, una proteina, la “gliadina”, questa non viene digerita come dovrebbe, ma viene interiorizzata, a livello intestinale, da cellule in grado di attivare il Sistema Immunitario.
Ne consegue uno stato di infiammazione locale a livello della parete intestinale, che viene così danneggiata (atrofizzazione dei villi), e la produzione di una serie di anticorpi (anti-gliadina, anti-endomisio e anti-transglutaminasi).
Il danno a livello della mucosa intestinale è proporzionale alla gravità dell’infiammazione, per cui l’intera superficie d’assorbimento delle sostanze nutritive si riduce o scompare completamente, provocando scompensi e malnutrizione.

D. C’è una base genetica? R. La celiachia insorge soltanto, ma non necessariamente, negli individui geneticamente predisposti. In particolare il complesso HLA-DQ2 e HLA- DQ8 è fortemente associato alla malattia celiaca. Per questo motivo i soggetti che hanno almeno un parente affetto da celiachia presentano un maggior rischio di contrarla.

D. Quali i sintomi? R. Sono tanti e variano a seconda della forma. Distinguiamo: una forma TIPICA, che compare quasi subito dopo lo svezzamento, presenta tipici sintomi del malassorbimento delle sostanze nutritive come dissenteria cronica, disturbi della crescita, inappetenza, nausea e gonfiore addominale; una forma ATIPICA, che si presenta con sintomi prevalentemente extraintestinali come l‘anemia da carenza di ferro, la sindrome dell‘intestino irritabile, l‘intolleranza al lattosio; una forma SILENTE, che viene per lo più scoperta per caso in pazienti apparentemente asintomatici per via della presenza di anticorpi positivi; una forma POTENZIALE, ovvero quando nel sangue vengono rilevati gli anticorpi associati alla malattia ma la biopsia intestinale dà esito negativo. In questo caso possono svilupparsi alterazioni riconoscibili a carico dell‘intestino tenue se non si segue una dieta priva di glutine.

D. E’ un’intolleranza alimentare che si sta allargando? R. Dati recenti hanno dimostrato che la celiachia insorge più spesso di quanto si supponga. Siccome molti soggetti convivono per anni con questa condizione senza accusare disturbi particolarmente gravi, per via dell’alto numero di dati sommersi si parla di "fenomeno dell‘iceberg". Si calcola che per ogni paziente a cui è stata diagnosticata la celiachia ve ne siano da sette a dieci a cui non è stata diagnosticata.

D. Come avviene la diagnosi? R. Con esami del sangue e biopsia intestinale. Quando si sospetta la celiachia, si cerca attraverso le analisi del sangue la presenza di anticorpi anti-transglutaminasi, anticorpi anti-gliadina, anticorpi anti-endomisio. La biopsia intestinale, il secondo passaggio della diagnosi, è però indispensabile per l’accertamento dello stadio della malattia celiaca.

D. C’è una terapia di contrasto adeguata? R. L'unica attualmente valida è quella dietetica. Il celiaco è quindi costretto a eliminare dalla propria tavola tutti quegli alimenti che contengono anche solo piccole quantità di glutine (pasta, dolci, pane, birra, biscotti ecc.).

D. Quindi i popoli ghiotti di questi cibi sono i più a rischio? R. La celiachia colpisce prevalentemente i soggetti di razza caucasica in cui il consumo di cereali contenenti glutine è superiore rispetto ad altre popolazioni come quelle africane o asiatiche. E’ inoltre più frequente nelle donne, tanto che il sesso femminile viene colpito in misura doppia rispetto agli uomini.

D. E’ vero che esiste una celiachia diciamo più lieve? R. Largamente diffusa tra la popolazione è anche la SENSIBILITA’ AL GLUTINE NON CELIACA (SGNC) o Non coeliac Gluten Sensitivity (NCGS): essere sensibili al glutine significa avere sintomi simili a quelli della celiachia e dell’allergia al grano senza essere affetti da nessuna delle due patologie. Si tratta di una situazione che, al contrario della celiachia, sembra essere transitoria e potrebbe risolversi dopo un periodo di alimentazione senza glutine. La sensibilità al glutine è causa di mal di testa, nausea, irritazione intestinale, stanchezza, dolori muscolari e molti altri problemi a cui, se si ignora la propria condizione di sensibilità, non si sa dare spiegazione. A causa dell’elevata variabilità dei sintomi, la sensibilità al glutine spesso viene diagnosticata come la sindrome dell’intestino irritabile.

D. Come si fa a sapere di essere “sensibili al glutine”? R. Attualmente non sono ancora disponibili biomarker in grado di fornire test diagnostici affidabili per la sensibilità al glutine. Pertanto, la diagnosi è di esclusione rispetto a celiachia e allergia al frumento.

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