'Due giorni, una notte': la recensione

di Frédéric Pascali - Mille euro valgono la dignità di un essere umano? È il quesito a cui cercano di dare una risposta i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne in una delicata, essenziale e dolorosa narrazione della quotidiana lotta di sopravvivenza della condizione umana.
I due registi di punta del cinema belga realizzano una pellicola di struggente emotività sulla tenacia e la disperazione di una donna, alla ricerca di se stessa e del proprio diritto ad autodeterminarsi. Sandra è una giovane moglie e madre che, dopo un periodo passato a curarsi la depressione, prova a riappropriarsi della sua vita e del suo lavoro. Ma il tentativo appare già segnato in partenza. L’azienda dei pannelli solari dov’è impiegata pone i dipendenti davanti a una scelta crudele: intascare un bonus di mille euro o reintegrarla a pieno titolo. La prima votazione, fortemente influenzata dal capo reparto, porta a una schiacciante vittoria per il bonus. Sospinta dalla sua amica e collega Juliette, Sandra ottiene di far ripetere la votazione. Ha un week end, due giorni e una notte, per convincere la maggioranza dei 16 votanti. Sostenuta dal marito Manu comincia una via crucis che diventa un guardarsi dentro e un mettersi in gioco fino in fondo.

In concorso all’ultima edizione del Festival di Cannes,nomination alla “Palma d’oro”, ”Due giorni, una notte” (“Deux jours, une nuit”) è magistralmente interpretato da Marion Cotillard, “Sandra”, che ben ne caratterizza ogni inquadratura. È lei la chiave di volta di un film dalle sfumature neorealiste, girato con la semplicità del cinema francese classico, con la macchina da presa che predilige i piani sequenza, i movimenti a spalla e il defluire lento del pensiero. Dunque elogi per tutti, dalla fotografia di Alain Marcoen che interpreta mirabilmente le esigenze di scrittura dei Dardenne esaltandone la forza narrativa, al montaggio di Marie-Hélène Dozo e a tutti gli altri interpreti, davvero abili nell’amalgamare un contesto recitativo senza pecche

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