di Vittorio Polito - Nel mese di gennaio di quest’anno la città di San Marco in Lamis ha festeggiato il novantesimo compleanno di Joseph Tusiani. Un nostro corregionale emigrato negli Stati Uniti nella prima metà degli anni Cinquanta del secolo scorso. Tusiani è una illustre personalità, nel campo della letteratura in America come in Italia, conosciuta in tutto il mondo per le numerose pubblicazioni prodotte, ivi incluse rilevanti traduzioni italo-inglesi di classici. Parlo di Tusiani perché qualche giorno addietro ho ripreso fra le mani un libro di Vincenzo D’Acquaviva, Il Mondo Nuovo, edito da Levante nel 2010, che parla di emigrazione: della nostra (quasi sempre dimenticata) e di quella attuale, sulle coste della Sicilia, che tanto fa discutere per i suoi risvolti socio-culturali ed economici e, perché no, di solidarietà nei riguardi di gente che cerca di fuggire da terre martoriate dalla guerra. Incuriosito ho cominciato a sfogliare il volume che si apre proprio con una poesia di Tusiani, ripresa dal secondo sonetto della mini collezione New York Revisited, uscita in Forum Italicum nel 1999. Una lirica in lingua inglese dedicata alla città di Manhattan che si chiude con questi versi: “Verticale beltà, malia degli occhi, sei il Nuovo Mondo o una sorpresa nuova?” (Questa traduzione si deve al prof. Cosma Siani, autore di numerose pubblicazioni su Tusiani, che all’uscita del testo di D’Acquaviva segnalò all’editore Levante che la poesia riportata nel libro avevo un titolo ‘A garland for Manhattan’ errato. Per cui, io consultatomi con l’anima ‘errante’ di casa Levante, ho potuto ripristinare la verità storica. Mi avvalgo di questa circostanza per fare pubblica ammenda e precisare che quando ho letto per la prima volta il volume di D’Acquaviva non ero in grado di valutare il rilievo della personalità, Tusiani, in cui mi ero imbattuto). Nella quarta di copertina del volume ancora una sorpresa. Il compianto Antonio Rossano, decano del giornalismo pugliese e che mi onorava della sua amicizia, così delinea sinteticamente i contenuti del libro: «Un racconto particolareggiato, una sorta di biografia mai compiaciuta, però; anzi, densa di annotazioni sulla realtà non solo statunitense, soprattutto per quel che riguarda temi come l’immigrazione, la sanità, il lavoro. Le pagine più ricche di umanità sono, non a caso, quelle che raccontano senza retorica ma con struggente realismo l’esperienza di chi lascia la sua terra “alla ricerca della felicità”: la partenza dalla piccola stazione di Mola, con il rito dell'accompagnamento da parte di chi resta...”. Si, perché l’autore è originario di Mola di Bari. Una cittadina che conta, nella sola Brooklyn, un numero di Molesi superiore agli stessi residenti che la abitano attualmente. Dimenticavo mi ha precisato Gianni Cavalli, l’anima errante di cui sopra, che aveva richiesto l’intervento dell’amico Rossano perché il giornalista aveva vinto il premio Saint-Vincent nel 1975 per un’inchiesta sull’emigrazione pubblicata da ‘La Gazzetta del Mezzogiorno’. Il volume ha un sottotitolo che è tutto un programma: «Una testimonianza e un viaggio controcorrente attraverso storie di ordinaria migrazione: tra speranze, conflitti politico-sociali e delusioni», e proprio per questo merita di essere conosciuto, letto e meditato. Nel merito, l’autore parla di angoscia, di dolore, di fatica, di umiliazione, di sopportazione, di speranza, di nostalgia, di paura e di ribellione solitaria. Questi i fantasmi sentimentali che passano incessantemente sullo schermo dell’anima di ogni emigrato italiano, meridionale, negli Stati Uniti di ieri e nei vari stati europei, oggi come cinquant'anni fa. Come forse anche un secolo fa, e anche più. Vincenzo D'Acquaviva, che ne è stato protagonista e vittima, ne segue i tracciati sociali ed economici; ne rileva le variazioni con un’attenzione quasi scientifica; informa gli ignari, spiega a chi si lascia ingannare dalle apparenze. Ma, prima di tutto, racconta. Il suo libro scorre fra autobiografia e riflessione critica, fra esperienza personale e notazione storica. Passa dalla narrazione della vicenda particolare alla rappresentazione scenografica dell'insieme, dalla vita del singolo alla visione del collettivo, dal dire io a dire essi. Il fascino della lettura di questo volume consiste proprio in questo: conoscere meglio il fenomeno storico scoprendone i riflessi nella vita del protagonista, della sua famiglia, dei suoi componenti, dei suoi amici. Degli emigrati italiani in America e in ogni dove! È un testo destinato a suscitare grande interesse in chi non è personalmente investito dal fenomeno, ma vorrebbe saperne di più. E in chi nell’emigrazione vive o ha vissuto, a cui il libro presta elementi di autocoscienza. E li indica nella verità della loro esperienza, nella loro sofferenza, nella loro discreta, celata, grandezza d’animo, nella loro autenticità. Joseph Tusiani, dopo avere ricevuto copia del volume dall’editore, ha trasmesso una nota autografa all’autore esprimendo la sua condivisione circa i contenuti con parole che vale la pena riportare: «...non poteva arrivarmi strenna natalizia migliore per questo anno che volge alla fine. Il Suo volume Il Mondo Nuovo. E non trovo, perciò, parole adeguate per esprimerLe tutta la mia riconoscenza. Il Suo contributo alla storia della nostra emigrazione è mirabile per sostanza di contenuto, varietà di temi, ricchezza di dettagli e fluidità di stile...». A proposito di varietà di temi, ricchezza di dettagli e fluidità di stile, il volume di D’Acquaviva passa in rassegna alcune pagine storiche: dalla esecuzione di Sacco e Vanzetti, al furto della invenzione del telefono di Antonio Meucci; dall’attentato terroristico dell’11 settembre 2001 all'esportazione della democrazia; dalla mancanza di assistenza sanitaria nel Paese più ricco della terra alla nuova emigrazione con i suoi risvolti di natura politica, economica. In occasione dei frequenti ‘cenacoli’ ai quali ho partecipato organizzati dalla Levante, e che hanno visto Gianni Cavalli, Francesco De Martino, Vinicio Aquaro e altri mettere alle corde D’Acquaviva e ricordargli che lui l’America l’ha trovata da noi, ho sempre appreso notizie che mi hanno portato ad avere limitata considerazione per un Paese che colloca gli ‘affari’ al vertice dell’esistenza. Vincenzo è un fiume in piena quando dice che il suo libro offre uno spaccato più generale dei Molesi (e degli italo-americani) con le loro vicissitudini americane attraverso una osservazione analitica dell’American System posto a confronto con quello nostrano. Le luci e le ombre (nella riflessione dell’autore spesso sono queste a prevalere sui dati positivi, che pure vengono rilevati, di quel sistema) riguardano l’insieme dei rapporti lavorativi, la situazione della sanità, la condizione femminile, la famiglia, eccetera. A proposito di mancanza di assistenza sanitaria, in uno di questi incontri conviviali, Vincenzo, ha ripercorso la vicenda di una signora di Mola, sua compaesana e cittadina americana, la quale si reca a Chicago, nel 2003, in visita ad alcuni familiari. Dopo tre giorni dall'arrivo accusa dolori al petto e senso di affaticamento. Nel pomeriggio, a seguito degli accertamenti presso il Chicago Hospital, viene disposto il ricovero per la notte. In serata le servono una minestrina e una mela. Il mattino seguente, una tazza di tè. Fortunatamente la diagnosi è negativa e la signora viene dimessa in mattinata. In tutto meno di 24 ore di ricovero. Sprovvista di assicurazione, le viene presentato un conto di diecimila dollari che la fa trasalire. Per sapere la conclusione basta andare a pagina 334 del libro e consentitemi un ‘Viva l’Italia’. Il presidente Barack Obama sta cercando inutilmente di riformare un settore, quello sanitario, in mano alle grosse compagnie di assicurazioni, che si traduce in fallimenti familiari per i bisognosi di cure e di profitti miliardari per le multinazionali della sanità statunitense. Passano i decenni, nuove generazioni si avvicendano sulla scena mondiale, ma nulla cambia rispetto alla cultura dominante. La storia del mondo e il fenomeno immutabile dell’emigrazione non sono serviti a nulla. Negli ultimi anni, si contano a migliaia le vittime della disperazione, annegate nel mare nostrum, alla ricerca di migliori condizioni di vita. Già, di migliori condizioni di vita, non di peggiori. Chi fugge da quelle zone martoriate dalla guerra non ha nulla da perdere: gli resta solo la vita da giocarsi alla roulette dei frangenti del mare, prima di approdare sulle nostre coste. Vincenzo D’Acquaviva rientrato in Italia, ha ripreso con tenacia gli studi, si è laureato, ha assunto un ruolo di rilievo ed ha deciso di mettere nero su bianco questa sua intensa esperienza di vita. Da quando ‘gli albanesi eravamo noi’ fino ai provvedimenti comunitari in materia di emigrazione. D'Acquaviva, come i tanti che arrivano da noi, ha inseguito a sua volta il sogno americano come tante decine di migliaia di Molesi, negli otto anni trascorsi a Brooklyn fino al ritorno a Mola nel 1980, ma nella realtà americana di laggiù ha saputo e voluto (o non saputo e non voluto, dipende dai punti di vista) esercitare uno spirito critico d'osservazione e di analisi sulla realtà americana, dall’adesione al rigetto, o quasi.
Vincenzo, negli otto anni “americani”, ha svolto prima lavori occasionali, poi in una banca, poi con il quotidiano in lingua italiana “Il Progresso Italo-Americano” di Fortune Pope, per fondare, insieme ad altri italo-americani, il “Circolo Culturale di Mola” e il periodico “L’Idea”, diventato in seguito un magazine edito ancora attualmente. Ha contribuito ad accogliere a Brooklyn, nel 1977, la tournée della compagnia molese “Teatro Sud” che, per l'occasione, ha portato in scena a New York “L'onorevole” di Sciascia, la “Mandragola” di Machiavelli con Riccardo Cucciolla, regia di Michele Mirabella, e una commedia in vernacolo molese di un suo parente, Nino Acquaviva. Insomma ha cercato di operare laggiù scelte di politica culturale fuori dal “sistema”, nel quale la gran parte dei migranti viene “normalizzata”. La vicenda personale di D’Acquaviva, compreso il matrimonio e i due figli, nel documentato volume si affianca all’analisi sociale, quasi antropologica, della realtà americana, senza da questa escludere la “tribù” molese coi suoi usi e costumi. Il ritorno definitivo rappresenta una scelta consapevole e meditata. «Un testo, conclude Rossano, ricco e coinvolgente, per riflettere su un fenomeno antico e sempre nuovo: quello dei migranti...». Mi piace riportare a questo punto le conclusioni ironiche dell’editore - GioCa per tutti noi - che termina il suo intervento nel libro, in uno scritto intitolato ‘Viva la libertà’, collocato dopo quello di Rossano, stampato con caratteri piccolissimi ma non per questo indulgenti, con questo appello rivolto a Vincenzo D’Acquaviva: «Ebbene proprio perché ti stimo infinitamente, per quello che hai realizzato e tentato di realizzare, caro amico Vincenzo mi permetto di ricordarti, a viva voce e in assoluta libertà, che sei un uomo fortunato: una donna del Sud l’hai sposata, la libertà di crearti un futuro diverso, da quello che si prospettava, l’hai conquistata ed ora ti permetti di attentare alla nostra libertà di lettori prospettandoci addirittura un eventuale nuovo libro… ma questo non è il Mondo Nuovo e la…».
Vincenzo, negli otto anni “americani”, ha svolto prima lavori occasionali, poi in una banca, poi con il quotidiano in lingua italiana “Il Progresso Italo-Americano” di Fortune Pope, per fondare, insieme ad altri italo-americani, il “Circolo Culturale di Mola” e il periodico “L’Idea”, diventato in seguito un magazine edito ancora attualmente. Ha contribuito ad accogliere a Brooklyn, nel 1977, la tournée della compagnia molese “Teatro Sud” che, per l'occasione, ha portato in scena a New York “L'onorevole” di Sciascia, la “Mandragola” di Machiavelli con Riccardo Cucciolla, regia di Michele Mirabella, e una commedia in vernacolo molese di un suo parente, Nino Acquaviva. Insomma ha cercato di operare laggiù scelte di politica culturale fuori dal “sistema”, nel quale la gran parte dei migranti viene “normalizzata”. La vicenda personale di D’Acquaviva, compreso il matrimonio e i due figli, nel documentato volume si affianca all’analisi sociale, quasi antropologica, della realtà americana, senza da questa escludere la “tribù” molese coi suoi usi e costumi. Il ritorno definitivo rappresenta una scelta consapevole e meditata. «Un testo, conclude Rossano, ricco e coinvolgente, per riflettere su un fenomeno antico e sempre nuovo: quello dei migranti...». Mi piace riportare a questo punto le conclusioni ironiche dell’editore - GioCa per tutti noi - che termina il suo intervento nel libro, in uno scritto intitolato ‘Viva la libertà’, collocato dopo quello di Rossano, stampato con caratteri piccolissimi ma non per questo indulgenti, con questo appello rivolto a Vincenzo D’Acquaviva: «Ebbene proprio perché ti stimo infinitamente, per quello che hai realizzato e tentato di realizzare, caro amico Vincenzo mi permetto di ricordarti, a viva voce e in assoluta libertà, che sei un uomo fortunato: una donna del Sud l’hai sposata, la libertà di crearti un futuro diverso, da quello che si prospettava, l’hai conquistata ed ora ti permetti di attentare alla nostra libertà di lettori prospettandoci addirittura un eventuale nuovo libro… ma questo non è il Mondo Nuovo e la…».