Il ragazzo invisibile: la recensione

di Frédéric Pascali - Un’idea ambiziosa merita sempre di essere realizzata al meglio delle sue possibilità. Una simile coerenza d’intenti ci si aspettava dalla pellicola diretta da Gabriele Salvatores e coprodotta dalla Indigo Film, con la francese “Babe”, con Rai Cinema e la “Element Pictures”. Invece “Il ragazzo invisibile”, nel suo ricco e complesso dispiegarsi di significati, a partire proprio dal richiamo metaforico dell’invisibilità adolescenziale, presenta delle evidenti discrasie a livello di dialoghi e di recitazione. Fatte salve le interpretazioni di Valeria Golino, la madre del giovane protagonista, e Fabrizio Bentivoglio, il Dott. Basili, il resto del cast è totalmente disomogeneo con una qualità media che non supera di molto la soglia della mediocrità.
Michele, un tredicenne introverso e timido,oggetto di scherno da parte dei compagni di classe, vive a Trieste con la madre poliziotta e la compagnia di Candela, la figlioletta della domestica. E’ molto attratto da una sua vicina di banco, Stella, ma non ha il coraggio di dichiararsi. Un giorno, per una festa in maschera, indossa un vestito da supereroe cinese. È il punto di svolta della sua vita. Scopre di avere il potere dell’invisibilità, incontra un misterioso uomo, Andreij, che gli narra la storia della sua famiglia d’origine, spariscono due suoi talentuosi compagni di classe e Stella stessa viene rapita. L’avventura è cominciata. Nonostante tutto “Il ragazzo invisibile” rappresenta in sé un’operazione culturale inusuale e coraggiosa per il mercato italiano.
Incentrata sulla crossmedialità, consta anche di una Graphic Novel prodotta dalla Panini Comics, con testi di Diego Cajelli, già autore della Sergio Bonelli Editore, e un romanzo scritto da Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, i tre sceneggiatori del film. Tuttavia, le innumerevoli citazioni presenti,da “Spiderman” a “Superman”, da “Shinning” a “Il sesto senso”, la linea narrativa in continuo difficile equilibrio tra realtà e fumetto,la frequente sensazione di dèjà vu, finiscono per consolidare l’impressione di una scommessa mal riuscita.

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