BOLOGNA - Arriva l'ok all'impianto in una donna di embrioni congelati 19 anni fa, anche se il marito è deceduto nel 2011. E' la decisione del tribunale civile di Bologna: accogliendo il reclamo di una 50enne del Ferrarese, dopo che il suo ricorso era stato rigettato in primo grado, i giudici ora ordinano al policlinico Sant'Orsola di provvedere immediatamente all'impianto degli embrioni prodotti con fecondazione assistita nel '96, prima della legge 40, e da quel momento crioconservati.
Tale conseguenza è dovuta al fatto che le linee guida sulle fecondazioni assistite anteriori alla legge 40 consentono sussiste il diritto a ottenere il trasferimento intrauterino se è escluso lo stato di abbandono.E ciò perché la donna ha sempre diritto all’impianto quando lo stato di abbandono degli embrioni crioconservati risulta escluso.La vicenda ha inizio nel 1996, quando la coppia si era rivolta al centro di fecondazione assistita dell’ospedale per un intervento, ma l’impianto non aveva avuto buon fine. Otto embrioni non impiantati erano stati però congelati con il consenso dei due. In seguito l’uomo si era ammalato e i coniugi non avevano più ritentato la procreazione medicalmente assistita con la tecnica della fecondazione in vitro (Fivet). Gli embrioni erano così rimasti crioconservati e fino al 2010 la coppia aveva confermato la volontà di mantenerli.
A seguito della morte del marito accaduta nel 201, la donna si era nuovamente rivolta all'azienda ospedaliera ma si era vista opporre il rifiuto al trasferimento intrauterino nonostante il nulla osta del comitato di bioetica dell’Università : ciò in virtù dell’interpretazione della legge 40 secondo cui dovrebbe sussistere la permanenza in vita di entrambi i coniugi.A febbraio 2012 era stato proposto ricorso d’urgenza secondo l'articolo 700 Cpc, rigettato dal giudice. Ma il successivo reclamo è stato accolto dal Tribunale, anche se la dichiarazione sottoscritta nel luglio 2010 non si può considerare un valido consenso: «Manca, infatti, ictu oculi, un’espressa, inequivoca ed attuale dichiarazione di volontà dei coniugi volta ad ottenere il trasferimento degli embrioni prodotti». Per il Tribunale rileva però il fatto che l’atto sottoscritto sul modulo fornito dall’ospedale serve a escludere che quegli embrioni crioconservati siano in stato di abbandono.
Decisive risultano le linee guida della legge 40/2004 che servono proprio a dettare norme transitorie per le fecondazioni assistite avvenute prima della sua entrata in vigore e che devono essere considerate normativa di rango primario, in quanto fatte proprie dalla stessa fonte legislativa tramite la tecnica del rinvio, grazie al richiamo contenuto all’articolo 7. Lo stato di non abbandono si presume, scrivono i giudici: la normativa vigente richiede un’esplicita volontà dei coniugi di senso contrario. In conclusione i giudici scrivono che, vista l’età della donna, l’aleatorietà dei risultati della fecondazione assistita e le maggiori difficoltà proporzionate al progredire dell’età , è necessario provvedere in via d’urgenza, non potendo la cinquantenne «attendere il normale esito di un procedimento civile ordinario, stante la sua lunga durata».
Tale conseguenza è dovuta al fatto che le linee guida sulle fecondazioni assistite anteriori alla legge 40 consentono sussiste il diritto a ottenere il trasferimento intrauterino se è escluso lo stato di abbandono.E ciò perché la donna ha sempre diritto all’impianto quando lo stato di abbandono degli embrioni crioconservati risulta escluso.La vicenda ha inizio nel 1996, quando la coppia si era rivolta al centro di fecondazione assistita dell’ospedale per un intervento, ma l’impianto non aveva avuto buon fine. Otto embrioni non impiantati erano stati però congelati con il consenso dei due. In seguito l’uomo si era ammalato e i coniugi non avevano più ritentato la procreazione medicalmente assistita con la tecnica della fecondazione in vitro (Fivet). Gli embrioni erano così rimasti crioconservati e fino al 2010 la coppia aveva confermato la volontà di mantenerli.
A seguito della morte del marito accaduta nel 201, la donna si era nuovamente rivolta all'azienda ospedaliera ma si era vista opporre il rifiuto al trasferimento intrauterino nonostante il nulla osta del comitato di bioetica dell’Università : ciò in virtù dell’interpretazione della legge 40 secondo cui dovrebbe sussistere la permanenza in vita di entrambi i coniugi.A febbraio 2012 era stato proposto ricorso d’urgenza secondo l'articolo 700 Cpc, rigettato dal giudice. Ma il successivo reclamo è stato accolto dal Tribunale, anche se la dichiarazione sottoscritta nel luglio 2010 non si può considerare un valido consenso: «Manca, infatti, ictu oculi, un’espressa, inequivoca ed attuale dichiarazione di volontà dei coniugi volta ad ottenere il trasferimento degli embrioni prodotti». Per il Tribunale rileva però il fatto che l’atto sottoscritto sul modulo fornito dall’ospedale serve a escludere che quegli embrioni crioconservati siano in stato di abbandono.
Decisive risultano le linee guida della legge 40/2004 che servono proprio a dettare norme transitorie per le fecondazioni assistite avvenute prima della sua entrata in vigore e che devono essere considerate normativa di rango primario, in quanto fatte proprie dalla stessa fonte legislativa tramite la tecnica del rinvio, grazie al richiamo contenuto all’articolo 7. Lo stato di non abbandono si presume, scrivono i giudici: la normativa vigente richiede un’esplicita volontà dei coniugi di senso contrario. In conclusione i giudici scrivono che, vista l’età della donna, l’aleatorietà dei risultati della fecondazione assistita e le maggiori difficoltà proporzionate al progredire dell’età , è necessario provvedere in via d’urgenza, non potendo la cinquantenne «attendere il normale esito di un procedimento civile ordinario, stante la sua lunga durata».