Grazia Di Michele presenta Il Mio Blu: Viviamo in una società incattivita

di Marco Masciopinto / Pierpaolo De Natale - Dopo la partecipazione alla 65^ Edizione del Festival di Sanremo con l’amico e compagno di viaggio Mauro Coruzzi (Platinette, ndr), che ha scritto per lui il brano ‘Io sono una finestra’, Grazia Di Michele pubblica il nuovo album ‘Il mio blu’. Il progetto, il quindicesimo della sua carriera, è un percorso originale e suggestivo tra musica e pittura. Prodotto da Grazia Di Michele e Paolo Di Sabatino, il nuovo progetto contiene anche un duetto con Mario Venuti, “L'amore è uno sbaglio”.


Con "Io sono una finestra" tu e Mauro vi fate portatori di un messaggio profondo, quello della lotta contro il pregiudizio. Pensate che il pubblico italiano abbia colto il significato del vostro brano?
Direi proprio di sì, se pensi che a portarci in finale a Sanremo è stato proprio il pubblico più che la giuria di “esperti”. Il video su youtube ha centinaia di migliaia di visualizzioni e i miei collaboratori mi dicono che è così anche per i video delle esibizioni al Festival. E' apprezzato il contenuto, ma anche come è presentato e questo per me è doppiamente positivo perché vuol dire che esiste un'affinità non solo intellettuale, ma anche "artistica" con chi l'ha ascoltata. Tra le migliaia di messaggi che sto ricevendo una madre mi ha scritto “la ringrazio per averci ritenuto all'altezza di capire questo testo". Il pubblico è troppo sottovalutato.

Quando è nata l'idea di scrivere questo brano? 
Con Mauro ci siamo scambiati mille confidenze, e per me è stato naturale cercare di interpretare attraverso la musica una parte del suo percorso umano. Ho scritto il brano poco più di due anni fa, insieme a Raffaele Petrangeli, poi l'ho incisa in duetto con Mauro e avevo già in programma di inserita nel CD che sarebbe uscito. Alla fine è arrivata la straordinaria opportunità di farla sentire a un pubblico così ampio come quello di Sanremo.

Perchè vi hanno considerato 'la coppia insolita' del Festival?
Perché sembriamo diversi: io più riservata, lui più esibizionista. Perché veniamo da mondi diversi: lui la radio e il mondo queer, io la musica e il canto. Perché lui è grande e grosso e io minuta, o perché lui tende a farsi notare (nel personaggio di Platinette), io tendo a farmi sentire in maniera non eclatante. Non so. Comunque per motivi esteriori, per differenze che sono ininfluenti quando invece c'è un'affinità elettiva.

Parlando del suo ultimo album, intitolato "Il mio blu". La cover del disco contiene un emblematico richiamo all'arte: quanto hanno in comune musica e pittura?
 Musica e pittura, come tutte le arti, hanno in comune di essere strumenti di "narrazione" dell'uomo. Pensa che nelle canzoni di questo nuovo disco il fil rouge è l'analfabetismo emotivo, il rischio, cioè, di non riconoscere le proprie emozioni. E ho usato proprio i colori come espediente narrativo per esprimere emozioni e sentimenti. Ecco perché si intitola "Il mio blu".
Nel disco sottolinea il tema dell'analfabetismo emotivo. Si ha ancora paura di vivere le proprie emozioni in piena libertà? 
Viviamo in una società che si è incattivita e le emozioni più pure vengono rimosse perché -a torto - si pensa che ci indeboliscano. Pensiamo alla pietà, che è un sentimento nobilissimo, che ci avvicina al dolore degli altri e ci aiuta a entrare in empatia con chi soffre e in generale col genere umano e col circostante. Ebbene quanta pietà si scorge nei racconti delle tragedie umanitarie che colpiscono gli immigrati o in quelli di cronaca nera? Nessuna. Anzi, quelle notizie spesso alimentano il sospetto nei confronti degli immigrati o nei confronti del vicino di casa. Allora l'emozione per i 300  morti al largo di Lampedusa o quella per la bambina uccisa nella periferia della città la rimuoviamo subito, o meglio la trasformiamo in paura, uno strumento difensivo delle nostre certezze, della nostra stabilità economica e affettiva.

Un altro ostacolo è il pregiudizio…
Se il pregiudizio “scortica cattivo”, diventa difficile vivere la propria vita e se ne assume una di convenienza, una maschera buona per tutti, quando va bene, oppure -come spesso purtroppo capita- si rinuncia alla vita stessa, come hanno fatto quei ragazzini vittime di pregiudizi omofobi che si sono tolti la vita. E invece bisognerebbe evitare di causare dolore, e se ci trovassimo di fronte a un dolore inevitabile, bisognerebbe che quel dolore silenzioso e personale diventasse dolore di tutti, diventasse compassione. Bisogna mettersi in testa che il dolore di un singolo essere umano è dolore dell'umanità intera.

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