di Vittorio Polito - Tutti mangiamo la pizza, ma pochi sanno della sua storia. Pare che la pizza abbia origini antichissime, qualcuno ne parla nell’era degli Etruschi. Ovviamente era qualcosa che solo vagamente assomigliava a quella dei giorni nostri. Della pizza più recente, se ne parla fra il 500 e il 600 e si ricorda quella denominata ‘mastunicola’, ossia pizza al basilico, preparata mettendo sul disco di pasta, strutto, formaggio, foglie di basilico e pepe.
Intorno al 1700 la pizza, che già aveva acquisito una sua tradizione nella cucina napoletana, veniva cotta in forni che potevano essere a legna o a paglia e poi messi in contenitori chiamati ‘stufe’ con cui venivano trasportate per essere vendute per strada. Alla stessa epoca risalgono le notizie sulle prime pizze “al pomodoro”, un alimento esotico importato dal Perù, dopo la scoperta dell’America, dapprima usato in cucina come salsa cotta con un po’ di sale e basilico, e solo più tardi, a qualcuno venne l’idea di metterlo sulla pizza. Inventando così, senza volerlo, la vera pizza.
La coltivazione della pianta del pomodoro, diffusa già in epoca precolombiana in Messico e Perù, fu poi introdotta in Europa dagli Spagnoli nel XVI secolo, ma non come ortaggio commestibile, bensì come pianta ornamentale, ritenuta addirittura velenosa per il suo alto contenuto di ‘solanina’, sostanza considerata a quell’epoca dannosa per l’uomo. Infatti, nel 1544 l’erborista italiano Pietro Andrea Mattioli (1501-1578) classificò la pianta del pomodoro fra le specie velenose, anche se ammise di aver sentito voci secondo le quali in alcune regioni il suo frutto veniva mangiato fritto nell’olio.
Negli Stati Uniti il pomodoro, come ortaggio commestibile, trovò molte più difficoltà per la diffusa convinzione dei suoi poteri tossici. Nel 1820 il colonnello statunitense Robert Gibbon Johnson decise di mangiare, provocatoriamente, davanti ad una folla prevenuta e sorpresa, un pomodoro senza per questo morirne. Addirittura, si narra, che alcuni avversari politici del Presidente americano Abraham Lincoln convinsero il cuoco della Casa Bianca a preparare una pietanza a base di pomodoro per avvelenarlo. Ovviamente, dopo la cena, la congiura fu scoperta, anzi l’episodio contribuì a rendere popolare il pomodoro, poiché lo stesso Lincoln ne divenne un appassionato consumatore.
Le pizzerie moderne hanno una storia relativamente recente: la comparsa della prima pizzeria nell’accezione moderna è datata tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800. La pizza in origine veniva venduta per strada dai garzoni dei fornai o su banchetti dove i pizzaioli le friggevano direttamente in strada. Infatti, la tradizione più antica è quella delle friggitorie, in cui oltre alla pizza si preparavano fritture tipiche napoletane come crocchette di patate, arancini di riso, ecc.
La pizza napoletana verace si riconosce in quella cosiddetta “marinara”, una pizza popolare, frugale, senza mozzarella, con pomodoro, aglio, origano e/o basilico e olio. Tipici erano altri due tipi di pizza, oggi rari da trovare: la pizza con le alici fresche e quella con i “cicinielli” (novellame di pesce) sempre con aggiunta di olio, aglio, origano, basilico. La pizza non è fatta, come molti credono, con l’impasto del pane, bensì con uno specifico impasto. Si parte dalla farina: l’ideale è mescolare farina “00” con la “0” e con un'altra derivata da un frumento americano che conferisce una qualità apprezzabile, la friabilità. Sbaglia, infatti, chi pensa che la pizza sia una moderna alternativa al pane. A ciò si aggiunge la manualità e il “sapere” del pizzaiolo: quanto sale, quanto lievito, quanta acqua mettere. Quest’ultima va addirittura rapportata alle condizioni atmosferiche.
L’uso della mozzarella sulla pizza napoletana è recente. Il “matrimonio storico” della pizza tradizionale con la mozzarella avviene per iniziativa di un pizzaiolo napoletano, tale Raffaele Esposito, che insieme a sua moglie la prepararono in onore della regina Margherita, moglie di Umberto I re d’Italia. Infatti, i regnanti, che si trovavano alla reggia di Capodimonte a Napoli, sentendo parlare della pizza, convocarono a corte il pizzaiolo e la moglie per farsela preparare. Il pizzaiolo e la consorte si recarono nelle cucine reali e prepararono tre pizze: una alla “mastunicola”, una alla marinara e una pizza con il pomodoro, la mozzarella e il basilico, pensando al tricolore italiano. Alla regina piacque quest’ultima ed il pizzaiolo per questo motivo la chiamò con il nome della regina. Da allora la pizza “Margherita” si impose ovunque nel mondo. È considerata, infatti, la pizza classica per eccellenza.
Ai primi del Novecento la pizza esce dai confini di Napoli e sbarca in grande stile in America, conquistando l’intero continente, espandendosi pure nel meridione d’Italia. La seconda espansione invece, avviene dopo la seconda guerra mondiale. In questo periodo la pizza esce dai confini del meridione d’Italia attraverso le migliaia di emigranti che si spostano con le loro famiglie al Nord con i modi, gli usi e i costumi dei loro paesi. Incominciano pian piano a fare le prime pizze per i compaesani e via via, con il successo ottenuto, anche per la gente del posto. Con la caduta del muro di Berlino, si assiste ad una nuova migrazione della pizza verso i paesi dell’Est, quindi in Medio Oriente, Giappone e persino in Cina.
Ma quante e quali sono le varietà della pizza? Oggi si contano a migliaia con tutte le varietà possibili e immaginabili, le invenzioni dei pizzaioli e le richieste dei clienti: si va dalla classica margherita, a quella alla romana, ai formaggi, al prosciutto, al salmone e rucola, ai frutti di mare, ai funghi, alla “crudaiola”, alla messicana (pomodoro, mozzarella, melanzane e peperoni tagliati a “julienne”, salamino piccante, cipolla, origano), a quella taxi (mozzarella, pomodoro e 7 tipi di funghi), casereccia (con pomodoro, olive greche snocciolate, cipolla rossa imbiondita in padella ed a fine cottura condita con fettine di salame dolce e scaglie di grana), alla diavola (pomodoro, mozzarella, salame piccante, peperoncino, basilico, olio), e così per un lunghissimo e vario assortimento. Insomma oggi la pizza non è più napoletana ma è diventata mondiale e perché no, a modo tuo, dal momento che oggi tutto è permesso e tutti si possono inventare un condimento secondo le proprie preferenze.
Intorno al 1700 la pizza, che già aveva acquisito una sua tradizione nella cucina napoletana, veniva cotta in forni che potevano essere a legna o a paglia e poi messi in contenitori chiamati ‘stufe’ con cui venivano trasportate per essere vendute per strada. Alla stessa epoca risalgono le notizie sulle prime pizze “al pomodoro”, un alimento esotico importato dal Perù, dopo la scoperta dell’America, dapprima usato in cucina come salsa cotta con un po’ di sale e basilico, e solo più tardi, a qualcuno venne l’idea di metterlo sulla pizza. Inventando così, senza volerlo, la vera pizza.
La coltivazione della pianta del pomodoro, diffusa già in epoca precolombiana in Messico e Perù, fu poi introdotta in Europa dagli Spagnoli nel XVI secolo, ma non come ortaggio commestibile, bensì come pianta ornamentale, ritenuta addirittura velenosa per il suo alto contenuto di ‘solanina’, sostanza considerata a quell’epoca dannosa per l’uomo. Infatti, nel 1544 l’erborista italiano Pietro Andrea Mattioli (1501-1578) classificò la pianta del pomodoro fra le specie velenose, anche se ammise di aver sentito voci secondo le quali in alcune regioni il suo frutto veniva mangiato fritto nell’olio.
Negli Stati Uniti il pomodoro, come ortaggio commestibile, trovò molte più difficoltà per la diffusa convinzione dei suoi poteri tossici. Nel 1820 il colonnello statunitense Robert Gibbon Johnson decise di mangiare, provocatoriamente, davanti ad una folla prevenuta e sorpresa, un pomodoro senza per questo morirne. Addirittura, si narra, che alcuni avversari politici del Presidente americano Abraham Lincoln convinsero il cuoco della Casa Bianca a preparare una pietanza a base di pomodoro per avvelenarlo. Ovviamente, dopo la cena, la congiura fu scoperta, anzi l’episodio contribuì a rendere popolare il pomodoro, poiché lo stesso Lincoln ne divenne un appassionato consumatore.
Le pizzerie moderne hanno una storia relativamente recente: la comparsa della prima pizzeria nell’accezione moderna è datata tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800. La pizza in origine veniva venduta per strada dai garzoni dei fornai o su banchetti dove i pizzaioli le friggevano direttamente in strada. Infatti, la tradizione più antica è quella delle friggitorie, in cui oltre alla pizza si preparavano fritture tipiche napoletane come crocchette di patate, arancini di riso, ecc.
La pizza napoletana verace si riconosce in quella cosiddetta “marinara”, una pizza popolare, frugale, senza mozzarella, con pomodoro, aglio, origano e/o basilico e olio. Tipici erano altri due tipi di pizza, oggi rari da trovare: la pizza con le alici fresche e quella con i “cicinielli” (novellame di pesce) sempre con aggiunta di olio, aglio, origano, basilico. La pizza non è fatta, come molti credono, con l’impasto del pane, bensì con uno specifico impasto. Si parte dalla farina: l’ideale è mescolare farina “00” con la “0” e con un'altra derivata da un frumento americano che conferisce una qualità apprezzabile, la friabilità. Sbaglia, infatti, chi pensa che la pizza sia una moderna alternativa al pane. A ciò si aggiunge la manualità e il “sapere” del pizzaiolo: quanto sale, quanto lievito, quanta acqua mettere. Quest’ultima va addirittura rapportata alle condizioni atmosferiche.
L’uso della mozzarella sulla pizza napoletana è recente. Il “matrimonio storico” della pizza tradizionale con la mozzarella avviene per iniziativa di un pizzaiolo napoletano, tale Raffaele Esposito, che insieme a sua moglie la prepararono in onore della regina Margherita, moglie di Umberto I re d’Italia. Infatti, i regnanti, che si trovavano alla reggia di Capodimonte a Napoli, sentendo parlare della pizza, convocarono a corte il pizzaiolo e la moglie per farsela preparare. Il pizzaiolo e la consorte si recarono nelle cucine reali e prepararono tre pizze: una alla “mastunicola”, una alla marinara e una pizza con il pomodoro, la mozzarella e il basilico, pensando al tricolore italiano. Alla regina piacque quest’ultima ed il pizzaiolo per questo motivo la chiamò con il nome della regina. Da allora la pizza “Margherita” si impose ovunque nel mondo. È considerata, infatti, la pizza classica per eccellenza.
Ai primi del Novecento la pizza esce dai confini di Napoli e sbarca in grande stile in America, conquistando l’intero continente, espandendosi pure nel meridione d’Italia. La seconda espansione invece, avviene dopo la seconda guerra mondiale. In questo periodo la pizza esce dai confini del meridione d’Italia attraverso le migliaia di emigranti che si spostano con le loro famiglie al Nord con i modi, gli usi e i costumi dei loro paesi. Incominciano pian piano a fare le prime pizze per i compaesani e via via, con il successo ottenuto, anche per la gente del posto. Con la caduta del muro di Berlino, si assiste ad una nuova migrazione della pizza verso i paesi dell’Est, quindi in Medio Oriente, Giappone e persino in Cina.
Ma quante e quali sono le varietà della pizza? Oggi si contano a migliaia con tutte le varietà possibili e immaginabili, le invenzioni dei pizzaioli e le richieste dei clienti: si va dalla classica margherita, a quella alla romana, ai formaggi, al prosciutto, al salmone e rucola, ai frutti di mare, ai funghi, alla “crudaiola”, alla messicana (pomodoro, mozzarella, melanzane e peperoni tagliati a “julienne”, salamino piccante, cipolla, origano), a quella taxi (mozzarella, pomodoro e 7 tipi di funghi), casereccia (con pomodoro, olive greche snocciolate, cipolla rossa imbiondita in padella ed a fine cottura condita con fettine di salame dolce e scaglie di grana), alla diavola (pomodoro, mozzarella, salame piccante, peperoncino, basilico, olio), e così per un lunghissimo e vario assortimento. Insomma oggi la pizza non è più napoletana ma è diventata mondiale e perché no, a modo tuo, dal momento che oggi tutto è permesso e tutti si possono inventare un condimento secondo le proprie preferenze.