Nabucco, effetti speciali e messa in scena memorabile
di Ilaria Stefanelli - Sicuramente il Nabucco rappresentato ieri sera al teatro Politeama Greco di Lecce rimarrà nella memoria del nostro pubblico. Anche, se non soprattutto, per una messa in scena davvero particolare, non soltanto ricca di «effetti speciali», ma vitale ed efficace. Certo, non quella messa in scena semplicemente monumentale che per molto tempo l'ispirazione biblica ha suggerito.
LO SPETTACOLO fa tesoro di esperienze precedenti già ammirate al teatro Politeama durante le precedenti stagioni per tenere avvinto il pubblico alla vicenda, con alcuni momenti realmente magici. Come quando, per esempio, le crudeli truppe di Nabucco distruggono il tempio di Gerusalemme e dall'alto del palco un sapiente gioco di luci fredde anticipano la tragedia incombente. Gli elementi che sembrano dunque accanirsi contro gli ebrei inermi, ma anche la furia divina contro l'empio Nabucco, col lampo accecante che arriva puntuale sul capo dello stolto sovrano babilonese che osa proclamarsi dio.
Ma non sono solo questi gli elementi che danno efficacia allo svolgimento dello spettacolo: anzitutto le scene, nella loro essenzialità, non rimangono fisse nel corso dell'opera, ma sanno adeguarsi alle diverse situazioni del dramma verdiano allargando e restringendo lo spazio scenico e concentrando di conseguenza l'attenzione dello spettatore in modo particolarmente efficace ora sui protagonisti ora sul coro.
A proposito del coro: in questa versione è molto ben diretto non soltanto musicalmente da Andrea Castrolla, ma anche dal punto di vista scenografico. Ha avuto, quindi, non solo il suo classico «momento di gloria» nel «Va' pensiero», bensì un ruolo ben disegnato dalla regia di De Lucia in tutto il corso dell'opera. Regia che ha avuto anche un apporto notevole da parte delle luci, che filtrando dalle nebbie create dalla macchina del fumo hanno creato momenti d'atmosfera crepuscolare affascinanti.
La regia di Carlo Antonio de Lucia Regia non appare sempre convincente in alcuni momenti dell’opera, sia per la staticità dei personaggi in scena ( su tutti, un Nabucco imbalsamato) l’assenza di inventiva nei movimenti durante le scene corali e la clip, proiettata su un pannello bianco riproducente un campo di concentramento ( una sorta di presagio ineluttabile incombente sul capo del popolo ebraico) durante l’esecuzione ( superba, considerando l’abilità straordinaria del coro lirico) del celebre “Và pensiero sull’ali dorate”. Apprezzabile l’iniziativa di “allargare” la riflessione al di là dell’opera, ma non attraverso strumenti fuori contesto, considerando una messa in scena tradizionale. Positiva invece l’abilità di De Lucia nel creare suggestive scene da “fermo immagine” evocanti quasi la potenza espressiva del “ Quarto stato” del pittore Pellizza da Volpedo. Fermi immagine, o scatti fotografici, l’immagine offerta al pubblico era ricca di suggestione e di grande pathos.
E infine, va sottolineata l'importanza dei costumi, che dividono in modo netto il popolo, dagli scialbi colori dalla ricchezza dei nobili personaggi. Da sottolineare, primo fra tutti, il bellissimo costume color oro indossato da Abigaille.
Sui cantanti profonda ammirazione ha destato nel pubblico il personaggio di Abigaille, creduta primogenita di Nabucco, che è un autentico soprano drammatico d’agilità e richiede doti straordinarie di potenza e di agilità. Monia Massetti ha voce possente e screziata nei colori (“Ben io t’invenni”), bella in tutta la gamma, sicura nel canto di forza e di coloratura, rotonda ed armoniosa nelle smorzature e nel canto morbido, è bravissima negli slanci acuti strabilianti, negli affondi e nei glissando, riesce a coprire gli sbalzi di due ottave, dosa la voce all’espressività del fraseggio con sensibile modo di porgere, accento incisivo, scavo della parola scenica, filati acutissimi tenuti e sonori (accorato e lievissimo il “filatissimo” finale nella scena della morte).
Nabucco, re di Babilonia, ha inizialmente perso la sua autorevolezza a causa della scarsa fermezza vocale nel canto spinto di Bastiaan Everink, un baritono dal bel timbro e dal giusto accento ma con voce corta e ondeggiante seppur potente. Dopo il fulmine che ha colpito Nabucco, Everink ha cantato meglio, perché, tenendo una linea più morbida, ha sostenuto i suoni con voce più ferma (“Deh, perdona”), controllando l’emissione e cantando sul fiato il suono è risultato più bello e più sicuro (“Dio di Giuda”).
Nel ruolo d’Ismaele, nipote di Sedecia, re di Gerusalemme, il tenore Antonio de Palma ha usato in modo corretto una voce acuta robusta e di bel timbro, ha espresso con veemenza la disperazione sopra il canto cadenzato dei Leviti (“Per amor del Dio vivente”), ha cantato bene, tenendo una linea di canto omogenea e ammorbidendo i finali. Qualche perplessità riguarda l’età del cantante, apparso al pubblico troppo maturo per il ruolo interpretato.
L’autorevolezza e la pacatezza di Zaccaria, gran pontefice degli Ebrei, sono state espresse dal gesto e dal modo di porgere del basso Ernesto Morillo, amato dal pubblico per la maestosità del canto e per l’arte di arrotondare i suoni.
La sua voce ampia, estesa, corposa e sonora si distingue per la bellezza del colore, per la pienezza, la fermezza e la pastosità del suono e per la morbidezza del canto. Il basso canta sul fiato, affronta bene la tessitura acuta, la grave è corretta e sostenuta, ha buona tecnica di canto e di articolazione della parola.
Fenena, figlia di Nabucco, era Patrizia Patelmo, mezzosoprano dal bel corpo vocale, voce pastosa che sale rotonda in acuto e ammorbidisce nel canto a mezza voce; la cantante ha evidenziato accurato modo di porgere, buon uso della messa di voce, bel suono, ma dizione poco chiara.
Senza infamia e senza lodo il basso Emily de Salve nelle vesti del Gran Sacerdote di Belo.
La liricità di questo grande affresco corale è stata espressa dal Coro Lirico di Lecce, spesso immobile in una staticità ieratica, con compattezza dell’amalgama sonoro nelle pagine più vigorose e con dinamiche morbide e sfumate nelle pagine di maggior raccoglimento, qualche imprecisione nella tenuta del suono in “Va pensiero”, cantato a mezza voce e disturbato da spire di fumo o di nuvole e da giochi di luci.
La scrittura musicale, che in orchestra sviluppa sia movimenti e sonorità travolgenti sia atmosfere di struggente poesia, trova una brava interprete nell’Orchestra sinfonica di Lecce diretta da Francesco Ledda, direttore giovane quanto appassionato, Coro e Orchestra riescono a comunicare una coralità intensa rapendo il cuore dei presenti.
Intenso, in introduzione, il dono dell’orchestra al suo pubblico, un inno nazionale che ha visto l’intero teatro in piedi, commosso e stupito. Ma Verdi, si sa, si tinge sempre di una venatura risorgimentale, lo sanno bene gli italiani, il collo sotto al giogo austroungarico, che nell’anno della rappresentazione di Nabucco solevano riempire i muri delle strade con un enigmatico “ Viva verdi” in luogo di “ Viva l’Italia”. Quella antica fiamma non s’è affievolita, scoprirlo durante una rappresentazione non può che commuovere e farci sperare.
La patria, “si bella e perduta” può ancora nutrirsi di sogni, dentro e fuori dal teatro. Si replica oggi alle 20:45.
LO SPETTACOLO fa tesoro di esperienze precedenti già ammirate al teatro Politeama durante le precedenti stagioni per tenere avvinto il pubblico alla vicenda, con alcuni momenti realmente magici. Come quando, per esempio, le crudeli truppe di Nabucco distruggono il tempio di Gerusalemme e dall'alto del palco un sapiente gioco di luci fredde anticipano la tragedia incombente. Gli elementi che sembrano dunque accanirsi contro gli ebrei inermi, ma anche la furia divina contro l'empio Nabucco, col lampo accecante che arriva puntuale sul capo dello stolto sovrano babilonese che osa proclamarsi dio.
Ma non sono solo questi gli elementi che danno efficacia allo svolgimento dello spettacolo: anzitutto le scene, nella loro essenzialità, non rimangono fisse nel corso dell'opera, ma sanno adeguarsi alle diverse situazioni del dramma verdiano allargando e restringendo lo spazio scenico e concentrando di conseguenza l'attenzione dello spettatore in modo particolarmente efficace ora sui protagonisti ora sul coro.
A proposito del coro: in questa versione è molto ben diretto non soltanto musicalmente da Andrea Castrolla, ma anche dal punto di vista scenografico. Ha avuto, quindi, non solo il suo classico «momento di gloria» nel «Va' pensiero», bensì un ruolo ben disegnato dalla regia di De Lucia in tutto il corso dell'opera. Regia che ha avuto anche un apporto notevole da parte delle luci, che filtrando dalle nebbie create dalla macchina del fumo hanno creato momenti d'atmosfera crepuscolare affascinanti.
La regia di Carlo Antonio de Lucia Regia non appare sempre convincente in alcuni momenti dell’opera, sia per la staticità dei personaggi in scena ( su tutti, un Nabucco imbalsamato) l’assenza di inventiva nei movimenti durante le scene corali e la clip, proiettata su un pannello bianco riproducente un campo di concentramento ( una sorta di presagio ineluttabile incombente sul capo del popolo ebraico) durante l’esecuzione ( superba, considerando l’abilità straordinaria del coro lirico) del celebre “Và pensiero sull’ali dorate”. Apprezzabile l’iniziativa di “allargare” la riflessione al di là dell’opera, ma non attraverso strumenti fuori contesto, considerando una messa in scena tradizionale. Positiva invece l’abilità di De Lucia nel creare suggestive scene da “fermo immagine” evocanti quasi la potenza espressiva del “ Quarto stato” del pittore Pellizza da Volpedo. Fermi immagine, o scatti fotografici, l’immagine offerta al pubblico era ricca di suggestione e di grande pathos.
E infine, va sottolineata l'importanza dei costumi, che dividono in modo netto il popolo, dagli scialbi colori dalla ricchezza dei nobili personaggi. Da sottolineare, primo fra tutti, il bellissimo costume color oro indossato da Abigaille.
Sui cantanti profonda ammirazione ha destato nel pubblico il personaggio di Abigaille, creduta primogenita di Nabucco, che è un autentico soprano drammatico d’agilità e richiede doti straordinarie di potenza e di agilità. Monia Massetti ha voce possente e screziata nei colori (“Ben io t’invenni”), bella in tutta la gamma, sicura nel canto di forza e di coloratura, rotonda ed armoniosa nelle smorzature e nel canto morbido, è bravissima negli slanci acuti strabilianti, negli affondi e nei glissando, riesce a coprire gli sbalzi di due ottave, dosa la voce all’espressività del fraseggio con sensibile modo di porgere, accento incisivo, scavo della parola scenica, filati acutissimi tenuti e sonori (accorato e lievissimo il “filatissimo” finale nella scena della morte).
Nabucco, re di Babilonia, ha inizialmente perso la sua autorevolezza a causa della scarsa fermezza vocale nel canto spinto di Bastiaan Everink, un baritono dal bel timbro e dal giusto accento ma con voce corta e ondeggiante seppur potente. Dopo il fulmine che ha colpito Nabucco, Everink ha cantato meglio, perché, tenendo una linea più morbida, ha sostenuto i suoni con voce più ferma (“Deh, perdona”), controllando l’emissione e cantando sul fiato il suono è risultato più bello e più sicuro (“Dio di Giuda”).
Nel ruolo d’Ismaele, nipote di Sedecia, re di Gerusalemme, il tenore Antonio de Palma ha usato in modo corretto una voce acuta robusta e di bel timbro, ha espresso con veemenza la disperazione sopra il canto cadenzato dei Leviti (“Per amor del Dio vivente”), ha cantato bene, tenendo una linea di canto omogenea e ammorbidendo i finali. Qualche perplessità riguarda l’età del cantante, apparso al pubblico troppo maturo per il ruolo interpretato.
L’autorevolezza e la pacatezza di Zaccaria, gran pontefice degli Ebrei, sono state espresse dal gesto e dal modo di porgere del basso Ernesto Morillo, amato dal pubblico per la maestosità del canto e per l’arte di arrotondare i suoni.
La sua voce ampia, estesa, corposa e sonora si distingue per la bellezza del colore, per la pienezza, la fermezza e la pastosità del suono e per la morbidezza del canto. Il basso canta sul fiato, affronta bene la tessitura acuta, la grave è corretta e sostenuta, ha buona tecnica di canto e di articolazione della parola.
Fenena, figlia di Nabucco, era Patrizia Patelmo, mezzosoprano dal bel corpo vocale, voce pastosa che sale rotonda in acuto e ammorbidisce nel canto a mezza voce; la cantante ha evidenziato accurato modo di porgere, buon uso della messa di voce, bel suono, ma dizione poco chiara.
Senza infamia e senza lodo il basso Emily de Salve nelle vesti del Gran Sacerdote di Belo.
La liricità di questo grande affresco corale è stata espressa dal Coro Lirico di Lecce, spesso immobile in una staticità ieratica, con compattezza dell’amalgama sonoro nelle pagine più vigorose e con dinamiche morbide e sfumate nelle pagine di maggior raccoglimento, qualche imprecisione nella tenuta del suono in “Va pensiero”, cantato a mezza voce e disturbato da spire di fumo o di nuvole e da giochi di luci.
La scrittura musicale, che in orchestra sviluppa sia movimenti e sonorità travolgenti sia atmosfere di struggente poesia, trova una brava interprete nell’Orchestra sinfonica di Lecce diretta da Francesco Ledda, direttore giovane quanto appassionato, Coro e Orchestra riescono a comunicare una coralità intensa rapendo il cuore dei presenti.
Intenso, in introduzione, il dono dell’orchestra al suo pubblico, un inno nazionale che ha visto l’intero teatro in piedi, commosso e stupito. Ma Verdi, si sa, si tinge sempre di una venatura risorgimentale, lo sanno bene gli italiani, il collo sotto al giogo austroungarico, che nell’anno della rappresentazione di Nabucco solevano riempire i muri delle strade con un enigmatico “ Viva verdi” in luogo di “ Viva l’Italia”. Quella antica fiamma non s’è affievolita, scoprirlo durante una rappresentazione non può che commuovere e farci sperare.
La patria, “si bella e perduta” può ancora nutrirsi di sogni, dentro e fuori dal teatro. Si replica oggi alle 20:45.