di Francesco Greco. TAURISANO (Le) – Per intercessione della “Serva di Dio” Antonia Mirella Solidoro, “candle in the wind”, affermano di aver avuto grazie (guarigioni inspiegabili da terribili patologie) il sacerdote Lorenzo Profico da 40 anni parroco di Salve (Lecce) e poi Rita Fantasia, Ivana Lucia Contaldo, Cosima Damiani, L. B. e forse anche altri che tengono il segreto per se stessi.
In attesa di altre segnalazioni, e di verifiche sul campo, prosegue senza sosta l’inchiesta diocesana per la causa di canonizzazione di Mirella Solidoro, nata a Taurisano, nel Leccese, il 13 luglio 1964 e morta il 4 ottobre 1999 (è sepolta presso la Chiesa “Santi Martiri Giovani Battista e Maria Goretti” dall'8 aprile 2011, quando la salma fu traslata dal cimitero, il prossimo 11 aprile il Vescovo di Ugento benedirà il salone parrocchiale a lei dedicato), era figlia di contadini. La malattia la colpì ad appena 9 anni con forti emicranie. La sua fu una lunghissima sofferenza a causa di un tumore al cervello che la rese cieca e che le procurò, per anni e anni, sofferenze indicibili.
All'ospedale “Antonio Perrino” di Brindisi, i medici le diagnosticarono infatti “un processo espansivo interessante la parete anteriore e media del terzo ventricolo”. Il 28 settembre 1979 subì un intervento chirurgico al “Vito Fazzi” di Lecce. Alla povera ragazza fu praticata “una craniotomia fronto-temporale e la biopsia di una grossa neoformazione situata nella regione ottico-chiasmatica”.Il successivo esame istologico fu crudele: si trattava di un tumore congenito. Impossibile asportare la massa tumorale. Dopo l'intervento, Mirella perse il bene degli occhi ed entrò in coma. Per i medici era questione di mesi. Visse per altri 20 anni. Il 27 settembre 1999 era ricoverata all'ospedale di Tricase. Stava male ma era cosciente. Quattro giorni dopo entrò in coma e il 4 ottobre lasciò questa vita leggera “come un uccellino”, disse il medico che era al suo capezzale.
E dunque, una parabola breve, 35 anni, ma intensa. Su cui sta scavando dallo scorso primo ottobre il postulatore Padre Cristoforo Aldo De Donno, OFM (Ordine dei Frati Minori). “Si attende – afferma il religioso, che vive a Ugento presso la Curia Vescovile – un segno straordinario, per intercessione di Mirella, per far procedere l’iter verso la beatificazione”.
La causa si è aperta a Ugento l’1 ottobre 2014 con una solenne concelebrazione sul piazzale della Cattedrale intitolata a San Vincenzo da Saragozza: una cerimonia commossa a cui partecipò gente di ogni età da tutta la Puglia, associazioni religiose (fra cui le Marcelline da Tricase, Lecce e Milano), sacerdoti, confraternite, gruppi laici, sindaci.
Un enorme poster della ragazza sorridente, “bella e giovane” dice Padre Cristoforo, opera del pittore salentino Giuseppe Afrune, era stato attaccato alle colonne della Cattedrale. Un applauso caldo, interminabile, si levò al cielo quando, alla designazione delle personalità del Tribunale Ecclesiastico, Sua Eccellenza Monsignor Vito Angiuli, Vescovo da quattro anni della Diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca, dichiarò che Antonia Mirella Solidoro era dichiarata “Serva di Dio”.
Così iniziò il processo di Beatificazione e Santificazione della giovane donna di Taurisano. Toccante l’omelia del prelato di origini barese (Sannicandro), che poi sarà definito il “decalogo di Mirella per entrare attraverso il dolore nel mistero dell’amore”. Disse fra l’altro Monsignor Angiuli: “Per Mirella la sofferenza è la scala per ascendere al cielo e il sentiero da percorrere per arrivare in cima al monte. Il dolore è lo scalpello di cui Dio si serve per modellare la forma della della vita. La prospettiva che consente di guardare l’orizzonte. La candela che, spegnendosi progressivamente, illumina. La carezza di Dio. L’offerta della vita. Il regalo che Dio fa ai suoi amici. Una grazia di Dio. Il dolore è gioia e mette le ali alla vita”.
Un calvario senza parole: 21 anni di sofferenza per il tumore cerebrale. Anni in cui chi soffriva la chiamava al telefono per una parola di conforto, che la ragazza donò sempre con generosità: “Trattava tutti con dolcezza e infondeva serenità”, ricorda chi le era vicino in quegli anni terribili. In un’omelia tenuta l’8 marzo del 2000 il cappuccino Padre Gianbattista van der Pol affermò: “Sono stati anni interminabili, striscianti, dolorosi, tentatori e disperati, che hanno reso l’oro grezzo rovente e ardente ed è gocciolato su di noi, l’oro puro dell’amore divino, della grazia che il Cristo stesso, grazia donata e condivisa con Mirella, la nostra sorellina”.
Fa eco il Postulatore: “Il tutto della vita di tale umile, eroica giovane si racchiude in quella fortezza che sa del prodigioso, nell’essersi ceduta all’amore di Cristo dal quale fu chiamata a vivere con gioia il mistero della sofferenza. Per noi oggi Mirella è lampada di luce sul cammino spesso tormentoso della vita”.
Suor Paola Albertario, Ordine delle Marcelline, è postulatore post mortem (Milano, 15 giugno 1927-29 maggio 2009). Divenne madre spirituale della ragazza in odor di santità non appena le Suore dell’Ospedale “Cardinale Panico” di Tricase la informarono del ricovero. Ha scritto: “Fu sostegno e guida, gioia e speranza che sorressero i lunghi anni di tribolazione e sofferenza della piccola Solidoro”.
A testimoniare il rapporto filiale che nacque, “un alto vertice di spiritualità vissuta e donata tra le due protagoniste”, una copiosa corrispondenza da ogni parte del mondo. Mirella era ricoverata sin dal 1982. Sognava di diventare Suora Marcellina. Dal suo letto di dolore apprese del progetto della Congregazione: un’Associazione di Laici Marcellini con ramificazioni nel mondo. Scrisse a Madre Elisa Zanchi (in quegli anni Superiora Generale delle Suore Marcelline) e poi a Madre Paola e chiese loro di essere la “prima pietra”: “Aiuterò con la preghiera…”, aggiunse. Commosse, le religiose accettarono. I primi gruppi nacquero in Brasile. Ha lasciato scritto Madre Paola: “Quando glielo comunicavo era felice”. E felice sarà la sua famiglia, il suo paese e il Salento tutto quando saprà gli sviluppi della causa di canonizzazione della “Serva di Dio Mirella Solidoro”.
In attesa di altre segnalazioni, e di verifiche sul campo, prosegue senza sosta l’inchiesta diocesana per la causa di canonizzazione di Mirella Solidoro, nata a Taurisano, nel Leccese, il 13 luglio 1964 e morta il 4 ottobre 1999 (è sepolta presso la Chiesa “Santi Martiri Giovani Battista e Maria Goretti” dall'8 aprile 2011, quando la salma fu traslata dal cimitero, il prossimo 11 aprile il Vescovo di Ugento benedirà il salone parrocchiale a lei dedicato), era figlia di contadini. La malattia la colpì ad appena 9 anni con forti emicranie. La sua fu una lunghissima sofferenza a causa di un tumore al cervello che la rese cieca e che le procurò, per anni e anni, sofferenze indicibili.
All'ospedale “Antonio Perrino” di Brindisi, i medici le diagnosticarono infatti “un processo espansivo interessante la parete anteriore e media del terzo ventricolo”. Il 28 settembre 1979 subì un intervento chirurgico al “Vito Fazzi” di Lecce. Alla povera ragazza fu praticata “una craniotomia fronto-temporale e la biopsia di una grossa neoformazione situata nella regione ottico-chiasmatica”.Il successivo esame istologico fu crudele: si trattava di un tumore congenito. Impossibile asportare la massa tumorale. Dopo l'intervento, Mirella perse il bene degli occhi ed entrò in coma. Per i medici era questione di mesi. Visse per altri 20 anni. Il 27 settembre 1999 era ricoverata all'ospedale di Tricase. Stava male ma era cosciente. Quattro giorni dopo entrò in coma e il 4 ottobre lasciò questa vita leggera “come un uccellino”, disse il medico che era al suo capezzale.
E dunque, una parabola breve, 35 anni, ma intensa. Su cui sta scavando dallo scorso primo ottobre il postulatore Padre Cristoforo Aldo De Donno, OFM (Ordine dei Frati Minori). “Si attende – afferma il religioso, che vive a Ugento presso la Curia Vescovile – un segno straordinario, per intercessione di Mirella, per far procedere l’iter verso la beatificazione”.
La causa si è aperta a Ugento l’1 ottobre 2014 con una solenne concelebrazione sul piazzale della Cattedrale intitolata a San Vincenzo da Saragozza: una cerimonia commossa a cui partecipò gente di ogni età da tutta la Puglia, associazioni religiose (fra cui le Marcelline da Tricase, Lecce e Milano), sacerdoti, confraternite, gruppi laici, sindaci.
Un enorme poster della ragazza sorridente, “bella e giovane” dice Padre Cristoforo, opera del pittore salentino Giuseppe Afrune, era stato attaccato alle colonne della Cattedrale. Un applauso caldo, interminabile, si levò al cielo quando, alla designazione delle personalità del Tribunale Ecclesiastico, Sua Eccellenza Monsignor Vito Angiuli, Vescovo da quattro anni della Diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca, dichiarò che Antonia Mirella Solidoro era dichiarata “Serva di Dio”.
Così iniziò il processo di Beatificazione e Santificazione della giovane donna di Taurisano. Toccante l’omelia del prelato di origini barese (Sannicandro), che poi sarà definito il “decalogo di Mirella per entrare attraverso il dolore nel mistero dell’amore”. Disse fra l’altro Monsignor Angiuli: “Per Mirella la sofferenza è la scala per ascendere al cielo e il sentiero da percorrere per arrivare in cima al monte. Il dolore è lo scalpello di cui Dio si serve per modellare la forma della della vita. La prospettiva che consente di guardare l’orizzonte. La candela che, spegnendosi progressivamente, illumina. La carezza di Dio. L’offerta della vita. Il regalo che Dio fa ai suoi amici. Una grazia di Dio. Il dolore è gioia e mette le ali alla vita”.
Un calvario senza parole: 21 anni di sofferenza per il tumore cerebrale. Anni in cui chi soffriva la chiamava al telefono per una parola di conforto, che la ragazza donò sempre con generosità: “Trattava tutti con dolcezza e infondeva serenità”, ricorda chi le era vicino in quegli anni terribili. In un’omelia tenuta l’8 marzo del 2000 il cappuccino Padre Gianbattista van der Pol affermò: “Sono stati anni interminabili, striscianti, dolorosi, tentatori e disperati, che hanno reso l’oro grezzo rovente e ardente ed è gocciolato su di noi, l’oro puro dell’amore divino, della grazia che il Cristo stesso, grazia donata e condivisa con Mirella, la nostra sorellina”.
Fa eco il Postulatore: “Il tutto della vita di tale umile, eroica giovane si racchiude in quella fortezza che sa del prodigioso, nell’essersi ceduta all’amore di Cristo dal quale fu chiamata a vivere con gioia il mistero della sofferenza. Per noi oggi Mirella è lampada di luce sul cammino spesso tormentoso della vita”.
Suor Paola Albertario, Ordine delle Marcelline, è postulatore post mortem (Milano, 15 giugno 1927-29 maggio 2009). Divenne madre spirituale della ragazza in odor di santità non appena le Suore dell’Ospedale “Cardinale Panico” di Tricase la informarono del ricovero. Ha scritto: “Fu sostegno e guida, gioia e speranza che sorressero i lunghi anni di tribolazione e sofferenza della piccola Solidoro”.
A testimoniare il rapporto filiale che nacque, “un alto vertice di spiritualità vissuta e donata tra le due protagoniste”, una copiosa corrispondenza da ogni parte del mondo. Mirella era ricoverata sin dal 1982. Sognava di diventare Suora Marcellina. Dal suo letto di dolore apprese del progetto della Congregazione: un’Associazione di Laici Marcellini con ramificazioni nel mondo. Scrisse a Madre Elisa Zanchi (in quegli anni Superiora Generale delle Suore Marcelline) e poi a Madre Paola e chiese loro di essere la “prima pietra”: “Aiuterò con la preghiera…”, aggiunse. Commosse, le religiose accettarono. I primi gruppi nacquero in Brasile. Ha lasciato scritto Madre Paola: “Quando glielo comunicavo era felice”. E felice sarà la sua famiglia, il suo paese e il Salento tutto quando saprà gli sviluppi della causa di canonizzazione della “Serva di Dio Mirella Solidoro”.