di Nicola Ricchitelli – Con la maglia ”Granata” segnò 172 goal tra campionato e coppe, 21 di questi servirono nel 1976 a dare al Torino il settimo tricolore della sua gloriosa storia. Gianni Brera lo soprannominò “Puliciclone”: stiamo parlando del mitico Paolo “Paolino” Pulici, l’attaccante di Roncello che assieme a Ciccio Graziani rifece grande il Torino caduto in miseria dopo la tragedia di Superga. Nessuna maglia gli diede gloria quanto quella granata. Una storia quella con la maglia del Toro che si chiuse proprio nel 1982. Arrivarono poi Udinese e Fiorentina, ma in tre stagioni in tutto furono appena otto i goal segnati.
Ma non fu tutto facile per Paolino Pulici: arrivò a Torino nel 1967, forse dopo un no dell’Inter, e soprattutto nell’anno della morte di Gigi Meroni: «Essere a Torino e veder giocare Gigi è stata un’esperienza bellissima, ma troppo breve. Se avessi avuto più tempo avrei imparato molto da Meroni». Iniziò tutto con 9 reti in 79 partite, non proprio una media per chi come lavoro dovrebbe gonfiare la rete: «L'ho pagata cara la mia inesperienza. Ho cominciato a giocare a 15 anni e tutto quello che facevo era dettato dall’istinto, poi, grazie al grande maestro Oberdan Ussello, ho imparato cosa voleva dire essere giocatori».
Oggi il suo “Toro” pare aver ritrovato il carattere e la ferocia che contraddistinse la squadra allenata di Gigi Radice nel lontano 1976 di cui egli stesso ne fece parte oltre che onorare la storia scritta dal “Grande Torino”: «La maglia del Toro ha molti significati e solo chi l’ha indossata sa cosa significhi realmente…».
Dalla serata al San Mamès di Bilbao, «Finalmente si è vista una squadra vera…», allo scudetto vinto con la maglia granata in coppia con Ciccio Graziani nel lontano 1977, in questa chiacchierata abbiamo percorso con Paolino Pulici le tappe più importanti della sua grande carriera.
Alla vigilia del derby della “Mole” eccovi il nostro regalo a tutti gli amanti e appassionati del grande calcio.
D: Paolo, partiamo dalla serata al San Mamés di Bilbao... non c’è che dire, una serata da “Toro”?
R: Finalmente si è vista una squadra vera, da Toro, in cui tutti hanno giocato molti concentrati per tutti i 90 minuti.
D: Un po’ lo invidia quel goal a Darmian?
R: No, nessuna invidia. Quando si gioca e si fa gol, è vero che si mettono in luce le doti personali, ma lo si fa soprattutto per la squadra non per se stessi.
D: Possiamo dire che l’impresa granata entrerà negli annali al pari delle grandi imprese quali quelle del Genoa al Liverpool, o quando nel 1992 quando i granata eliminarono il Real Madrid?
R: Penso che la partita, che ci ha fatto passare il turno, abbia dato una grande soddisfazione ai tifosi granata, ma per entrare negli annali si deve raggiungere il traguardo finale.
D: Paolo, che significa giocare nel Torino e indossare la maglia granata?
R: La maglia del Toro ha molti significati e solo che l’ha indossata sa cosa significhi realmente: un grande passato calcistico fatto di grande passione, ma anche di grandi sofferenze.
D: Se non fosse stato Toro, che maglia avresti voluto indossare?
R: Non ho mai pensato a questa eventualità ed a distanza di anni giocherei ancora con la maglia granata.
D: Paolo, anno 1967, la firma con il Torino, ma anche la morte di Meroni. Cosa ricordi di quel periodo?
R: Essere a Torino e veder giocare Gigi è stata un’esperienza bellissima, ma troppo breve. Se avessi avuto più tempo avrei imparato molto da Meroni.
D: All’inizio la tua media goal non fu proprio da grande attaccante: 9 reti in 79 partite. Cosa non andava in quel periodo?
R: Ho pagato caramente la mia inesperienza. Ho cominciato a giocare a 15 anni e tutto quello che facevo era dettato dall’istinto, poi, grazie al grande maestro Oberdan Ussello, ho imparato cosa voleva dire essere giocatori.
D: Se non fossi stato un calciatore saresti stato?
R: Semplicemente un ragazzo che lavorava come facevano tutti.
D: Aldilà del Torino di Pulici e Graziani, vi sarebbe qualche altro Torino di cui ti avrebbe fatto piacere farne parte?
R: Nelle tante stagioni nel Toro non ho solo giocato con Ciccio, ho avuto la fortuna di stare sul campo con Combin, Bui, Facchin, Toschi, Petrini e Ferrini, tutti compagni e maestri di vita; poi è toccato a me fare lo stesso con i più giovani: Mariani, Lentini, Comi, Benedetti, Dossena e tanti altri.
D: Hai mai avuto l’impressione che quel Torino avesse potuto vincere di più?
R: Probabilmente sì, ma purtroppo le cose sono andate così, forse il peso della Società era inferiore alle forze in campo.
D: Pulici e Graziani: può dirsi che l’uno sia stato la fortuna dell’altro?
R: Certo, ci siamo integrati bene, questo faceva parte del gioco che l’allenatore ci chiedeva di fare e noi abbiamo messo in campo tutte le nostre capacità e la nostra grinta.
D: Nella tua carriera la maglia azzurra si può dire che è stata un po’ sfortunata…
R: Sicuramente avrei potuto e dovuto giocare di più, ma purtroppo le scelte di quegli anni non sono state troppo a mio favore nonostante i tanti gol fatti.
D: Chi è Paolo Pulici oggi?
R: Un nonno che si diverte a trasmettere ai bambini tutto quello che mi hanno insegnato sul campo da gioco.
D: Chi è il Paolo Pulici dei giorni d’oggi?
R: Nessuno, i paragoni non mi sono mai piaciuti, anche quando giocavo non mi piaceva essere paragonato ad altri grandi calciatori: ognuno deve essere ricordato per le sue particolarità, non perché ricorda qualcun altro.
Ma non fu tutto facile per Paolino Pulici: arrivò a Torino nel 1967, forse dopo un no dell’Inter, e soprattutto nell’anno della morte di Gigi Meroni: «Essere a Torino e veder giocare Gigi è stata un’esperienza bellissima, ma troppo breve. Se avessi avuto più tempo avrei imparato molto da Meroni». Iniziò tutto con 9 reti in 79 partite, non proprio una media per chi come lavoro dovrebbe gonfiare la rete: «L'ho pagata cara la mia inesperienza. Ho cominciato a giocare a 15 anni e tutto quello che facevo era dettato dall’istinto, poi, grazie al grande maestro Oberdan Ussello, ho imparato cosa voleva dire essere giocatori».
Oggi il suo “Toro” pare aver ritrovato il carattere e la ferocia che contraddistinse la squadra allenata di Gigi Radice nel lontano 1976 di cui egli stesso ne fece parte oltre che onorare la storia scritta dal “Grande Torino”: «La maglia del Toro ha molti significati e solo chi l’ha indossata sa cosa significhi realmente…».
Dalla serata al San Mamès di Bilbao, «Finalmente si è vista una squadra vera…», allo scudetto vinto con la maglia granata in coppia con Ciccio Graziani nel lontano 1977, in questa chiacchierata abbiamo percorso con Paolino Pulici le tappe più importanti della sua grande carriera.
Alla vigilia del derby della “Mole” eccovi il nostro regalo a tutti gli amanti e appassionati del grande calcio.
D: Paolo, partiamo dalla serata al San Mamés di Bilbao... non c’è che dire, una serata da “Toro”?
R: Finalmente si è vista una squadra vera, da Toro, in cui tutti hanno giocato molti concentrati per tutti i 90 minuti.
D: Un po’ lo invidia quel goal a Darmian?
R: No, nessuna invidia. Quando si gioca e si fa gol, è vero che si mettono in luce le doti personali, ma lo si fa soprattutto per la squadra non per se stessi.
D: Possiamo dire che l’impresa granata entrerà negli annali al pari delle grandi imprese quali quelle del Genoa al Liverpool, o quando nel 1992 quando i granata eliminarono il Real Madrid?
R: Penso che la partita, che ci ha fatto passare il turno, abbia dato una grande soddisfazione ai tifosi granata, ma per entrare negli annali si deve raggiungere il traguardo finale.
D: Paolo, che significa giocare nel Torino e indossare la maglia granata?
R: La maglia del Toro ha molti significati e solo che l’ha indossata sa cosa significhi realmente: un grande passato calcistico fatto di grande passione, ma anche di grandi sofferenze.
D: Se non fosse stato Toro, che maglia avresti voluto indossare?
R: Non ho mai pensato a questa eventualità ed a distanza di anni giocherei ancora con la maglia granata.
D: Paolo, anno 1967, la firma con il Torino, ma anche la morte di Meroni. Cosa ricordi di quel periodo?
R: Essere a Torino e veder giocare Gigi è stata un’esperienza bellissima, ma troppo breve. Se avessi avuto più tempo avrei imparato molto da Meroni.
D: All’inizio la tua media goal non fu proprio da grande attaccante: 9 reti in 79 partite. Cosa non andava in quel periodo?
R: Ho pagato caramente la mia inesperienza. Ho cominciato a giocare a 15 anni e tutto quello che facevo era dettato dall’istinto, poi, grazie al grande maestro Oberdan Ussello, ho imparato cosa voleva dire essere giocatori.
D: Se non fossi stato un calciatore saresti stato?
R: Semplicemente un ragazzo che lavorava come facevano tutti.
D: Aldilà del Torino di Pulici e Graziani, vi sarebbe qualche altro Torino di cui ti avrebbe fatto piacere farne parte?
R: Nelle tante stagioni nel Toro non ho solo giocato con Ciccio, ho avuto la fortuna di stare sul campo con Combin, Bui, Facchin, Toschi, Petrini e Ferrini, tutti compagni e maestri di vita; poi è toccato a me fare lo stesso con i più giovani: Mariani, Lentini, Comi, Benedetti, Dossena e tanti altri.
D: Hai mai avuto l’impressione che quel Torino avesse potuto vincere di più?
R: Probabilmente sì, ma purtroppo le cose sono andate così, forse il peso della Società era inferiore alle forze in campo.
D: Pulici e Graziani: può dirsi che l’uno sia stato la fortuna dell’altro?
R: Certo, ci siamo integrati bene, questo faceva parte del gioco che l’allenatore ci chiedeva di fare e noi abbiamo messo in campo tutte le nostre capacità e la nostra grinta.
D: Nella tua carriera la maglia azzurra si può dire che è stata un po’ sfortunata…
R: Sicuramente avrei potuto e dovuto giocare di più, ma purtroppo le scelte di quegli anni non sono state troppo a mio favore nonostante i tanti gol fatti.
D: Chi è Paolo Pulici oggi?
R: Un nonno che si diverte a trasmettere ai bambini tutto quello che mi hanno insegnato sul campo da gioco.
D: Chi è il Paolo Pulici dei giorni d’oggi?
R: Nessuno, i paragoni non mi sono mai piaciuti, anche quando giocavo non mi piaceva essere paragonato ad altri grandi calciatori: ognuno deve essere ricordato per le sue particolarità, non perché ricorda qualcun altro.