(Foto: S.Vincenti) |
La direzione artistica, nella persona di Carlo Antonio de Lucia, ha inteso sottolineare la portata di questa collaborazione ai fini della messa in scena, a dispetto di sonorità squisitamente latine, quali quelle pucciniane e un pathos dei personaggi forse più europeo, gli artisti giapponesi, sotto la guida sapiente e visionaria del regista Hiroki Ihara, ha condotto il pubblico in un viaggio mistico, degno di un film di Kurosawa, movenze studiate, rituali e calibrate, una teatralità accennata e non esasperata da una spinta innaturalezza, come talora avviene per certe regie di casa nostra, un coro sincronizzato armonicamente come un carillon, oggetti di scena utilizzati come fossero parti integranti dei personaggi, così come i costumi, mai spinti all’eccesso, con cromatismi delicati d’acquerello, coordinati con i preziosi ventagli che evocavano al pubblico delicati voli di farfalla tra fiori di mandarino.
Proprio questo è il connotato di questa messa in scena leccese, una sobrietà elegante che mira ad accompagnare e suggestionare portando l’attenzione dello spettatore sul dramma principale, sulle interpretazioni dei cantanti in scena, sulle dinamiche emozionali dei personaggi, in un connubio tra “ esterno” ( trucco, costumi, scenografia, luci) e “interno” perfettamente bilanciato.
Nelle scene di Ihara pochi oggetti per gli arredi, il tradizionale albero di ciliegio a far da sfondo, che par essere esso stesso personaggio, la divisione con le immagini dello sfondo raffigurante l’esterno, è realizzata con le classiche pareti giapponesi scorrevoli. Sobrietà, luci fredde ed essenziali a dar risalto ai personaggi e ai loro volti.
La regia di Ihara segue la vicenda con precisione e in modo sostanzialmente didascalico, senza eccessive forzature e concentrandosi su una netta caratterizzazione dei personaggi e dei loro tratti peculiari: la volgarità di Pinkerton, l’ingenua fragilità di Butterfly, la bonaria incapacità di agire di Sharpless. Uno spettacolo di sicuro impatto teatrale. Se da un lato è innegabile che si senta la mancanza di quell’aroma di japonaiserie liberty che è forse fra le essenze di questa partitura, al contempo bisogna riconoscere a Hihara di aver portato avanti un’idea ben definita e di averla realizzata in modo estremamente convincente.
La direzione d’orchestra di Daniele Agiman ha il grande merito di fornire una lettura asciutta ed essenziale del dramma, prosciugato dagli eccessi di sentimentalismo sempre in agguato in Madama Butterfly. Va però riscontrata la tendenza all'utilizzo di sonorità eccessive che in alcuni punti mettevano in difficoltà i cantanti, mentre la lettura del finale in chiave di titanica grandiosità virava forse troppo verso le atmosfere di “Turandot”. Nel complesso, una direzione convincente e sobria, che ha emozionato e travolto il pubblico leccese, infiammato dall’orchestra sinfonica di Lecce che ha fatto palpitare gli animi pur tra sbavature e qualche imprecisione.
(Foto: S.Vincenti) |
Convince la Suzuki della replica, il mezzosoprano salentino Marinella Rizzo vocalmente buona e scenicamente perfetta Suzuki: giustamente salutata con grandi applausi, ha dato umanità e compassione al ruolo all’ancella confidente. Imprecisa e altalenante Taeka Hino, della prima, che non ha convinto appieno per dei calanti, bruschi e improvvisi e per una partecipazione non sempre evidente.
Protagonista, in entrambe le rappresentazioni, nel ruolo di Pinkerton, il salentino Gabriele Mangione al suo debutto nel ruolo da protagonista. Mangione, che in prima ha destato perplessità per una sua forse eccessiva rigidità di personaggio, ha affascinato e stupito in replica per partecipazione e per una maggiore consapevolezza vocale. Questo giovane interprete, sfoggia una magnifica voce di tenore lirico calda e luminosa ad un tempo e dotata di un notevole squillo nel settore acuto, mentre le note gravi sono spesso povere di suono. Purtroppo però, tende a affidarsi quasi esclusivamente alla bellezza della voce rinunciando ad un più interessante approfondimento del personaggio. L’accento è monocorde, il fraseggio impostato ad un’epidermica generosità sempre abbastanza uguale a se stessa, la recitazione alquanto generica non trasmette quel fascino da “simpatica canaglia” che Pinkerton dovrebbe avere. Nel complesso, considerando la giovane età e l’emozione da debutto, questo giovane cantante ha dato buona mostra di un talento ancora acerbo, ma destinato a crescere.
Intenso, pur con delle incertezze introduttive dovute a un evidente carico di emotività il baritono Gudo Hasui, nel ruolo di Sharpless, emotività che celava un chiaro coinvolgimento personale del cantante nei panni del personaggio e che ha contribuito, al di là di innocenti sbavature vocali a regalare un secondo e terzo atto memorabili, altrettanto nobile e figura scenica di elegante dignità è Francesco Baiocchi durante la seconda rappresentazione, uno Sharpless di bella voce e ottima linea vocale che realizza molto bene l’idea di Ihara, il quale vede nel Console un uomo sostanzialmente buono ma inetto e vile di fronte alle proprie responsabilità. Discreto per interpretazione, non altrettanto vocalmente, Chikara Tou nel ruolo dello Zio Bonzo e Yamadori. Decisamente sotto tono Hiroto Nakamura (Goro).
Emozionante, infine, il coro a bocca chiusa diretto da Masatoshi Soushi. In un silenzio quasi irreale, accompagnato dal pizzicato degli archi, destinato dall’autore a rappresentare la speranza e la disperazione di Butterfly nella veglia, in attesa di Pinkerton, il coro ha emozionato e stupito. E’ proprio il coro nipponico della Kitakyusciu City opera ad aver rappresentato l’elemento di spicco di questo lavoro, composto da cantanti di tutte le età, aveva una caratterizzazione scenica ben definita, eleganza innata, grazia nel movimento e una vocalità non sovrastante, cosa che il pubblico leccese ha apprezzato donando loro un calorosissimo applauso spontaneo a scena aperta. Ottime comunque le due brevi arie “Dovunque al mondo...” del primo atto, “ Bimba dagli occhi pieni di malia” e “Addio, fiorito asil“.
Tripudio per “Un bel dì vedremo” sia alla prima che in replica e bis non concesso, questo è apparso, dal direttore Agiman, nota dolens per questa direzione non perfetta ma appassionata, essendo, senza dubbio, l’evidente slancio passionale del pubblico l’unico termometro che consente di comprendere il fattore partecipativo degli spettatori, la sua negazione appare quindi un gesto di rifiuto immotivato, la privazione arbitraria di un piacere di riascolto che non può che celebrare e magnificare qualcosa di ben riuscito, non solo al direttore in sé, ma alla squadra nel suo complesso, dove per squadra si intende orchestra e cantante e orecchie attente nell’ascolto.
Butterfly è un’opera di atmosfere, di tempi rubati e di morbidezze timbriche utilizzate sapientemente da Puccini per disegnare il dramma: essere riusciti a coglierne tutti i preziosismi, con una lettura ispirata ed analitica, senza mai scadere poi nel “puccinismo” di maniera, ha fatto di questa esecuzione un buon esempio di arte interpretativa che, a ragione, ha generato l’entusiasmo del pubblico.
Butterfly, la “farfalla straziata”, ha donato un volo dell’anima, una esaltazione sensoriale, al pubblico salentino, prima di cadere al suolo, con le ali serrate e indifese di un piccolo Icaro, incenerito dalla luce del sogno irrealizzato. Un sogno a cui i presenti si sono abbandonati, come si fa con i sogni, senza opporre resistenza, al di là della ragione, sotto lo sguardo di un ciliegio che tutto vede e tutto sa, ma resta muto.
Foto su gentile concessione di Samuele Vincenti