“Sos Salento”: alla ricerca del Paradiso perduto

di Francesco Greco - L’incipit svela tutto: “Questo è un libro che non avrei mai voluto scrivere”. Perché l’autore rifiuta la sua creatura già alle prime righe? Perché non accetta l’idea che la sua terra, vista come un gineceo senza contraddizioni, bella, selvaggia, amata senza se e senza ma, sia gravemente malata. Vive lontano, in Svizzera, dove è emigrato per lavoro. Ha una famiglia, moglie e tre figlie. A cui ha fatto conoscere con orgoglio il paese dov’è nato, Salve (sud Salento), il suo mare di smeraldo, le candide spiagge, i peperoncini sott’olio, “così profumati e così piccanti, da ricordare le pietre arse dal sole nei pomeriggi d’estate” e forse anche i “pupiddhi di Leuca, fritti, caldi e croccanti”.

Da lontano (Neuchâtel) lo sguardo è più puro di quello di chi ci vive tutto l’anno, si vede tutto e meglio, si coglie l’essenziale, si svela l’anima della realtà. Perché non si è frastornati, condizionati dal logorio della quotidianità, i compromessi, le piccole bugie, il laissez-vivre. E quando si scopre che la terra da cui hai succhiato il latte è malata, non ci si crede, non ci si rassegna: si è posseduti da un moto di rivolta. E’ come apprendere della malattia di una persona cara.
 
Non perché qualcuno, un Moloch politico negazionista (che pure traspare dalle parole del sindaco del paese quando in prefazione chiama “enfasi” ciò che è reale e che vorrebbe si nascondesse, non si capisce bene in nome di che chi o di cosa), un Leviatano dagli interessi oscuri e inconfessabili (“scorie pericolose sotterrate per anni nel sud d’Italia dalla mafia”), ha lacerato l’icona da paradiso terrestre che si accarezza come sospesi in sogno quando si vive a 2000 km, ma perché ti senti tradito, come se il destino stesse barando e se provi a sovrapporre l’idea che conservi nel cuore, trasmessa dal racconto dei padri o che ti sei portato dentro dall’infanzia, non coincide con quella che chi sta al paese (e poi i media via web) spargono come seme infetto.
 
Su questo sentimento di incredulità e dolore prima e di “mobilitazione”, “dignità ritrovata” poi (lo scrittore in Svizzera respira una cultura illuminista, positivista, anti-fatalista), Giovanni Sammali ha tessuto “Sos Salento. Paradiso perduto?”, Lupo Editore (Copertino, Lecce 2014, ma in francese è stato già pubblicato da Edition G. d’Encre e i primi capitoli proposti alla Fiera del Libro di Ginevra mentre era in fieri), pp. 148, € 13.00.
 
Romanzo dalla chiave d’accesso iperrealista, amara, a tratti brutale, che si regge sulle telefonate fra Stefano (alter ego di Sammali) e Rocco, che vive al paese e fa il fruttivendolo, anche se i supermercati gli hanno “segato le gambe”. Integrate dalle incursioni nel web (dal New York Times al Fatto Quotidiano) che confermano tutto e anzi aggiungono dell’altro.
 
E cioè che il Salento (“divenuto terra di spavento”) meridionale, pur non avendo grosse industrie, ha una percentuale di malattie neoplastiche superiore alla media nazionale, che cresce sempre più mentre in Occidente cala. Che discariche di rifiuti (“munnizze”) emergono – accanto a quelle a cielo aperto - quasi ogni giorno a sporcare una terra altrimenti bella, pure amata dai forestieri (2014, + 24% di turisti). Che non si è sicuri del cibo che si mette in tavola, che si teme per se stessi e i propri figli, perché diserbanti e pesticidi scorrono come l’acqua fresca a desertificare la buona “terra noscia” degli avi e bacare i frutti (“la sua terra, l’aria e le acque avvelenate, contaminate…”).
 
Quando lo scrittore vede, o apprende, che tanta buona gente che vive “del proprio sudore” si ammala e muore all’improvviso, allora il dolore diviene rabbia e non resta che un urlo da Edward Munch: “Conosci uno scandalo? Gridalo. Denuncialo. Buttalo in faccia al mondo…”. E Stefano lo fa con altri tre eco-terroristi in senso militante (“crateri”, “detriti”, “due torri di controllo annerite” a Bari, Brindisi, ecc.), come forma di provocazione, per scuotere le coscienze, aprire gli occhi agli altri, per non finire nello “scoramento di fronte all’apatia delle autorità e alla lentezza della giustizia”.
 
Il resto è un romanzo scritto d’istinto, aspro come la verità, appassionato, come chi vive la disillusione amara. Che pare dirci, con Fabrizio De Andrè, che “nessuno può dirsi assolto: siamo tutti coinvolti”. Sammali ha una penna affinata: è stato giornalista alla “Tribune de Genève” e “Le Matin”, caporedattore a “Canal Alpha”. Per 2 anni community manager all’Università di Neuchâtel. Ora è responsabile della comunicazione a La Chaux-de-Fonds, dove vive.
 
Il titolo francese di questo primo romanzo è “Salento, destination cancer”. Intraducibile, anche per chi continua a ficcare la testa nella sabbia per non vedere, sentire, parlare, non turbarsi, magari responsabilizzarsi, chissà, agire. Ma fino a quando?            

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