Emigrazione, “l'assalto al cielo” di ieri e oggi

di Francesco Greco - Pur rimosso ex abrupto, o comunque tenuto sullo sfondo, e non per caso, il fenomeno dell'emigrazione è imposto all'attenzione dai quotidiani sbarchi di immigrati da aree del mondo impoverite anche dalle mani avide dell'Occidente, che cercano una migliore sorte nelle nostre città. La storia dei flussi migratori – almeno quella degli ultimi decenni - si sovrappone plasticamente alla storia d'Italia. Benché vissuta con pudore e decodificata con reticenza, ieri e oggi: dal fascismo, che la interpretava quasi come una colpa, una sconfitta, una macchia sul dna italico, alla Repubblica che la monetizzò: lucrava, anni Cinquanta, sui minatori morti bruciati nel cuore nero di Marcinelle un tot di carbone al giorno.

E ci si potrebbe avvicinare pudicamente anche a quella in progress, di oggi, XXI secolo, con i nostri “cervelli” in fuga col trolley, il tablet e il master verso altri orizzonti meno amari e avari. Flessibilità estrema.

Su un background così scarno, con storici, demografi, sociologi, poltici in primis distratti da un topos che pure, volenti o nolenti, plasma l'identità nazionale e del nostro popolo - e con le rimesse ha permesso all'economia di vivacchiare - si innesta uno studio serio, analitico, non asettico, di un'esperta in materia, che finalmente restituisce le sue reali dimensioni al fenomeno e dignità a milioni di conterranei che hanno dovuto cercare pane e fortuna extra moenia: dai decenni successivi all'unità d'Italia, che tradì le classi disagiate a cui pure aveva fatto grandi promesse (le terre dei gattopardi, per dirne solo una, restarono agli agrari), al secondo dopoguerra. La prima verso altri Continenti, la seconda intra moenia nel nostro.

“L'assalto al cielo” (Donne e uomini nell'emigrazione italiana), di Andreina De Clementi, Donzelli Editore, Roma 2014, pp. 289, euro 27,00, è perciò un saggio imprescindibile per chi intende accostarsi all'emigrazione con un minino di razionalità, ma anche di passione e di fertile curiosità, nel tentativo di decifrare un fenomeno assai complesso, dalle ricadute infinite: economiche, sociali, personali, esistenziali, antropologiche, etiche e quant'altro. La grande forza filologica e dialettica del saggio è tutta nelle fonti cui attinge: che definiremmo neorealistiche e che scavano nel vissuto senza intermediazioni culturali né accademiche. Epistolari, interviste, testimonianze, ricostruzioni, documenti vari dissepolti dall'oblio della memoria dagli allievi della prof. (che ha insegnato Storia contemporanea a Sassari e a Napoli, “L'Orientale”).

Vecchie carte che racchiudono tutto il senso di un'epopea: raccontano i vincoli famigliari e la loro metamorfosi dei vincoli coniugali e genitoriali a fronte dell'assenza degli uomini, l'enorme responsabilità della donna verso la famiglia. Il dramma esistenziale delle vedove bianche, rimaste sole in paesi pregni di una morale cattolica asfissiante. De Clementi ridà dignità a chi è stata sempre negata, restituisce senso al protagonismo di milioni di persone e alle loro scelte forti. Fruga – facendo prevalere soprattutto l'approccio sociologico - in ogni anfratto del fenomeno, devitalizza cristallizzati luoghi comuni, svela dinamiche insospettate. 

Per esempio che per partire occorreva un gruzzoletto e quindi i disperati del Sud impegnavano la poca terra degli avi, che riscattavano poi prima che potevano, anche mandando i denari dall'estero ai parenti rimasti al paese. Lo sbocco migratorio era comunque negato a chi non era in possesso di buona salute. L'idea di mobilità e di flessibilità, come si vede, è già nel modo rurale, non è certo un'invenzione della rivoluzione industriale.

L'analisi della saggista corre su due livelli: il mondo che resta nella polverose, aspre contrade italiche e quello dei paesi di accoglienza, dove le articolazioni sociali sono diverse e dove spesso il nucleo famigliare si ricompone. E se è vero che 60 milioni di nostri connazionali sono fuori, una classe politica attenta e capace (di là da venire), dovrebbe rivedere l'approccio al fenomeno, anche per convenienza. Partendo da una semplice considerazione: ogni italiano in terra straniera è un testimonial, ambasciatore inconsapevole dell'italianità e del made in Italy nel mondo.