di Tefta Radi, giornalista e documentarista della tv albanese - Tirana è la capitale dell'Albania, la città con il maggior numero degli abitanti, nonché il centro economico, amministrativo, politico, industriale, accademico, culturale e sociale del paese. E' stata fondata nell'anno 1614 da Sulejman Pasha Bargjini, di un villaggio chiamato Mullet. Per la prima volta, il nome di Tirana è stato menzionato in un documento del 1418 a Venezia.
Nel febbraio del 1920 il Congresso di Lushnja proclamò temporaneamente la città di Tirana capitale dell'Albania. Definitivamente fu proclamata la capitale dell'Albania nell'anno 1925 dall'Assemblea Costituzionale.
Senz'altro, la parte più bella della capitale albanese è il viale "Dëshmorët e Kombit", la piazza "Nënë Tereza" e il viale "Zogu i parë". Lungo la loro lunghezza sono stati costruiti edifici che si notano per la bella architettura e stile distinto. Un merito particolare va al lavoro dell'italiano Gherardo Bosio.
Secondo il noto architetto studioso albanese Artan Shkreli, il lavoro di Bosio a Tirana è un atto di coraggio inaudito; oltre i progetti urbanistici, soltanto a Tirana lui realizzò l'edificio dell'Università, l'Accademia delle Arti, l'Istituto Archeologico, lo stadio (oggi “Qemal Stafa”), l'edificio del Governo, l'Hotel Dajti, il Palazzo delle Brigate assieme al parco e il suo l'unico arredamento, disegnò anche le forme planivolumetriche del Palazzo di Cultura, Museo Nazionale ecc. E' difficile che si possa trovare nella storia dell'architettura mondiale un architetto con una volontà intensa nel realizzare grandi opere come quelle che Gherardo Bosio realizzò in Albania.
L'Esercito Italiano era appena avevano sbarcato in Albania, quando Zenone Benini, sottosegretario dello Stato per gli affari albanesi, dopo un'udienza, nell'Aprile del 1939 con Benito Mussolini, chiese un appuntamento all'architetto Gherardo Bosio. Dettagli su questo appuntamento mancano, ma il suo obiettivo è protocollato. A Bosio gli fu assegnato un compito importante, che era un'opportunità unica per ogni professionista: di realizzare il piano urbanistico di una capitale in Europa. Di una capitale che, dal punto di vista urbanistico quasi non esisteva, però in prospettiva avrebbe dovuto esprimere le ambizioni di una nuova superpotenza che stava sorgendo nel mondo: L'Italia fascista.
Il nuovo impero italiano, sfruttando la storia delle tracce archeologiche, dunque, l'influenza dell’antica Roma nei Balcani occidentali, oppure nel Mediterraneo, aveva come scopo di rimettere il suo controllo sulla regione attraverso una serie di programmi, dove all'architettura e all'urbanistica sarebbe stato dato una particolare attenzione sia dal punto di vista concettuale che da quella finanziaria.
Mussolini voleva dimostrare all'Europa scettica, che la volontà per il potere accompagnata con la consapevolezza storica per il ruolo di civiltà del gene Romanorum potesse far si che la povera Albania dalle zone umide ottomane andasse verso il picco di sviluppo moderno dell'Epoca. Mussolini credeva a quel sogno. Lui aveva il sostegno e la fiducia di una generazione di artisti-eroi dell'arte contemporanea, i quali, in particolar modo gli architetti, che vedevano nella dittatura il veicolo più efficiente per la radicalizzazione delle città e la realizzazione del sogno della gente che guardava verso il futuro per dare “a ciascuna generazione la propria città”.
Bosio veniva da una ricca famiglia di banchieri e militari fiorentini. Lui era meravigliato dalle prime realizzazioni del Walter Gropius e della scuola Bauhaus in Germania. Apparteneva al cerchio di artisti e architetti che avevano preso la difficile missione di portare in Italia le idee all'avanguardia. Bosio era consapevole del “terremoto” che l'arte e l'architettura moderna stavano causando al “vecchio mondo”. Egli era un militare della nuova estetica, secondo cui ogni cosa che non era funzionale non poteva essere bella.
Il fondatore del "Gruppo Toscano Architetti", sostenne con forza le prime realizzazioni a Firenze di questa estetica – di fronte all'opinione pubblica mediatica. Supportò lo stadio comunale di Pier Luigi Nervi, ma anche l'edificio, che molto tempo dopo sarebbe stato considerato il capolavoro dell'architettura europea: la Stazione di Firenze, concepito da une dei padri dell'architettura moderna Italiana, Giovanni Michelucci.
Bosio, fondatore del gruppo diretto da Michelucci, attirò l'attenzione con i suoi lavori successivi in Addis-Abeba, Gondar, Dessié, Gimma, Rieti e Tirana. Appartiene alla generazione degli architetti laureati negli anni 26-27 del ventesimo secolo, i quali chiedevano non solo una “nuova norma”, ma in nome di uno “stile internazionale”, anche di “lasciar perdere la creatività individuale” a causa di una omogeneità culturale nuova che ancora non aveva vinto la battaglia contro il classicismo.
Come architetto e urbanista, Bosio negli anni 29-30 rimase allo “stile internazionale”, a cui fu fedele per tutta la vita, ispirato dalla convinzione del Sant'Elia che “nella vita moderna il processo dello sviluppo stilistico dell'architettura si ferma, essa si stacca dalla tradizione e ricomincia senz'altro da capo”. Le idee di Bosio sul concepimento e la costruzione delle città dell'impero non erano passate inosservate a Mussolini. Per questo nell'Aprile del 1938 il Duce ricevette l'architetto in un'udienza particolare, dove ascoltò l'esperienza sulla costruzione delle nuove città in Africa dell'est. Bosio aveva già ricevuto l’approvazione ufficiale riguardo Tirana.
Quando mise piedi nella capitale albanese, a Luglio del 1939, fu nominato primo consulente e direttore dell'ufficio centrale di Edilizia e Urbanistica. Proprio la fondazione di tale struttura gli fu chiesta da Mussolini nell'appuntamento di aprile a Roma. La struttura in questione fondata da Bosio ebbe una funzione centralizzata; essa fu un organismo centrale che amministrava, sotto le direttive di un architetto, tutti i progetti urbanistici delle città albanesi. Inoltre, nelle sue funzioni si includeva anche il “controllo delle attività di edilizia di iniziativa privata nelle diverse località del paese per far si che fosse possibile lo sviluppo razionale omogeneo regolato dalla legge”.
La sua formazione iniziale come professore di disegno e restauro all'Università di Firenze permise che in breve tempo si assumessero le conoscenze di base di quella parte di patrimonio architettonico albanese che rappresentava in sé degli elementi razionali, lasciando da parte lo stile orientale del patrimonio ottomano nel paese. Bosio si accorse dell'impatto visivo che “la torre” della gente di montagna rappresentava nei secoli. Nella sua architettura utilizzò con successo un elemento di tale rappresentazione per l'Albania. In questo spirito, in collaborazione con P. N. Berardi costruì il Padiglione Albanese nella fiera del Levante di Bari, concependo un oggetto nella forma di un parallelepipedo compatto. Mediante l'utilizzo della pietra, in questo padiglione si evidenziò la qualità fortificante della “torre albanese”, però trattato da punto di vista moderna.
Con uno splendido stile architettonico, ma dalle dimensioni monumentali, Bosio, nell’anno 1939, cominciò a progettare anche il Palazzo del Fascio (oggi “corpus” dell'Università di Tirana). Questo edificio è totalmente differente non solo dal Palazzo con le colline, ma anche dall'Accademia delle Belle Arti (come oggi vengono chiamate), come dice lo studioso Shkreli, nonché dal Palazzo del Governo, e di più dal Palazzo delle Brigate.
Nei suoi ultimi lavori in Albania, Bosio si stava dirigendo sempre di più verso uno schema di astrazione pura, che era abbastanza raro anche nell'architettura italiana del tempo. Egli deviò solo con il progetto del Palazzo del Fascio e il corpus dell'Università, perché soltanto con quello stile riuscì a prendere sia la licenza che una libertà estrema per i progetti delle sue opere - con o senza la collaborazione - includendo qui sia lo Stadio, oggi chiamato, come già detto “Qemal Stafa”, che l'albergo “Dajti”. Bosio ha mantenuto il rapporto tra tradizione e modernità.
Questo è il motivo per cui Bosio, nella progettazione del Piano Urbanistico di Tirana, ha preservato completamente la struttura della vecchia città, "per non perdere le tracce della città musulmana". Dunque la nuova Tirana, anche se si fosse progettata con uno stile occidentale, avrebbe dovuto mantenere nella sua interezza il suo carattere delicato della “città-giardino” che per ragioni storico-sociale, per fortuna, Tirana aveva.
Questo rispetto di Bosio per la tradizione locale anche in urbanistica, come primo architetto di Albania negli anni'30 del secolo passato, non faceva tanto parte di lui. Il rispetto per la tradizione, senza tradire gli ideali del razionalismo e della funzionalità in urbanizzazione, si forzò in Albania. Oltre Tirana, lui cominciò, senza perdere tempo, il lavoro per i piani urbanistici delle città di Shkodër, Milot, Durrës, Elbasan, Korçë, Berat, Vlorë e Sarandë, concentrandosi di più su quelle di Vlora ed Elbasan.
Sfortunatamente questi progetti, spesso troppo dettagliati, non solo non furono attuati, ma si dimenticarono apposta. Il soprannome assurdo di “architettura fascista” penalizzò non solo gli edifici già costruiti, ma anche le idee rivoluzionarie di Bosio sull'urbanizzazione, tanto che all’Università fu censurato il loro studio.
Per quanto il regime rimase in piedi, fu vietato alle nuove generazioni di architetti di sapere perché il Bosio superò culturalmente il Brasini, riguardo al viale “Dëshmorët e Kombit”. Tale superamento lasciò dietro a sé le citazioni e lo stile di Rinascimento Europeo andando verso le linee chiare di un razionalismo riduttivo. Per interi decenni i lavori degli architetti italiani in Albania, ma in particolar modo quello di Bosio, si abbandonarono nella “loro santità” arrivando a un degrado totale, fino ai giorni quando il progetto di “Ritorno all'identità” del Sindaco di Tirana, Edi Rama, oggi Primo Ministro, li mise sotto l'attenzione dell'opinione pubblica.
Il lavoro di Bosio a Tirana è un atto di coraggio inaudito, sottolinea tra l'altro l'architetto e lo studioso, Artan Shkreli. Oltre ai progetti urbanistici, soltanto a Tirana Bosio realizzò l'edificio dell'Università, l'Accademia delle Belle Arti, le collone dell'Istituto Archeologico, lo stadio (oggi “Qemal Stafa”), l'edificio del governo, l'hotel Dajti, il palazzo delle Brigate assieme al Parco e il suo unico arredamento, nonché disegnò le forme planivolumetriche del Palazzo della Cultura, il Museo Nazionale ecc.
Sarà difficile trovare nella storia dell'architettura mondiale un architetto con una volontà intensa nel realizzare grandi opere come quelle che Bosio realizzò in Albania. Non si deve dimenticare che tutto il suo lavoro a Tirana si effettuò nell'arco di tempo di un anno e mezzo: Agosto 1939 – Marzo 1941. Né va tralasciato il fatto che l'ultimo anno della sua vita fu divisa tra lavoro, interventi chirurgici e dolori della sua malattia incurabile.
Bosio morì di cancro all'età di 38 anni, il 16 Aprile 1941 nella sua villa di Montefonte a Firenze. Morì da eroe lavorando sui progetti per l'Albania fino alle ultime ore. Aveva capito il suo destino. Pensava che non c'era altra strada per finire il carico tremendo dei progetti, perciò la sua malattia la tenne nascosta ai famigliari e ai colleghi. I famigliari vennero a sapere che lui si curava per la malattia dopo un anno da quando tornò a casa per chiudere per sempre gli occhi.
Bosio ha lasciato dietro di sé quello che il critico Cresti riassume con queste parole: “Gherardo Bosio visse le sue esperienze di progettazione e di attuazione con un impulso creative inaudito. Era deciso, anche se in breve tempo, a lasciare dietro di sé tracce concrete e preziose di una professionalità da esempio, piena di etica e di cultura. Per noi Albanesi, come dice, Shkreli, lasciò dietro di sé una capitale.
Nel febbraio del 1920 il Congresso di Lushnja proclamò temporaneamente la città di Tirana capitale dell'Albania. Definitivamente fu proclamata la capitale dell'Albania nell'anno 1925 dall'Assemblea Costituzionale.
Senz'altro, la parte più bella della capitale albanese è il viale "Dëshmorët e Kombit", la piazza "Nënë Tereza" e il viale "Zogu i parë". Lungo la loro lunghezza sono stati costruiti edifici che si notano per la bella architettura e stile distinto. Un merito particolare va al lavoro dell'italiano Gherardo Bosio.
Secondo il noto architetto studioso albanese Artan Shkreli, il lavoro di Bosio a Tirana è un atto di coraggio inaudito; oltre i progetti urbanistici, soltanto a Tirana lui realizzò l'edificio dell'Università, l'Accademia delle Arti, l'Istituto Archeologico, lo stadio (oggi “Qemal Stafa”), l'edificio del Governo, l'Hotel Dajti, il Palazzo delle Brigate assieme al parco e il suo l'unico arredamento, disegnò anche le forme planivolumetriche del Palazzo di Cultura, Museo Nazionale ecc. E' difficile che si possa trovare nella storia dell'architettura mondiale un architetto con una volontà intensa nel realizzare grandi opere come quelle che Gherardo Bosio realizzò in Albania.
L'Esercito Italiano era appena avevano sbarcato in Albania, quando Zenone Benini, sottosegretario dello Stato per gli affari albanesi, dopo un'udienza, nell'Aprile del 1939 con Benito Mussolini, chiese un appuntamento all'architetto Gherardo Bosio. Dettagli su questo appuntamento mancano, ma il suo obiettivo è protocollato. A Bosio gli fu assegnato un compito importante, che era un'opportunità unica per ogni professionista: di realizzare il piano urbanistico di una capitale in Europa. Di una capitale che, dal punto di vista urbanistico quasi non esisteva, però in prospettiva avrebbe dovuto esprimere le ambizioni di una nuova superpotenza che stava sorgendo nel mondo: L'Italia fascista.
Il nuovo impero italiano, sfruttando la storia delle tracce archeologiche, dunque, l'influenza dell’antica Roma nei Balcani occidentali, oppure nel Mediterraneo, aveva come scopo di rimettere il suo controllo sulla regione attraverso una serie di programmi, dove all'architettura e all'urbanistica sarebbe stato dato una particolare attenzione sia dal punto di vista concettuale che da quella finanziaria.
Mussolini voleva dimostrare all'Europa scettica, che la volontà per il potere accompagnata con la consapevolezza storica per il ruolo di civiltà del gene Romanorum potesse far si che la povera Albania dalle zone umide ottomane andasse verso il picco di sviluppo moderno dell'Epoca. Mussolini credeva a quel sogno. Lui aveva il sostegno e la fiducia di una generazione di artisti-eroi dell'arte contemporanea, i quali, in particolar modo gli architetti, che vedevano nella dittatura il veicolo più efficiente per la radicalizzazione delle città e la realizzazione del sogno della gente che guardava verso il futuro per dare “a ciascuna generazione la propria città”.
Bosio veniva da una ricca famiglia di banchieri e militari fiorentini. Lui era meravigliato dalle prime realizzazioni del Walter Gropius e della scuola Bauhaus in Germania. Apparteneva al cerchio di artisti e architetti che avevano preso la difficile missione di portare in Italia le idee all'avanguardia. Bosio era consapevole del “terremoto” che l'arte e l'architettura moderna stavano causando al “vecchio mondo”. Egli era un militare della nuova estetica, secondo cui ogni cosa che non era funzionale non poteva essere bella.
Il fondatore del "Gruppo Toscano Architetti", sostenne con forza le prime realizzazioni a Firenze di questa estetica – di fronte all'opinione pubblica mediatica. Supportò lo stadio comunale di Pier Luigi Nervi, ma anche l'edificio, che molto tempo dopo sarebbe stato considerato il capolavoro dell'architettura europea: la Stazione di Firenze, concepito da une dei padri dell'architettura moderna Italiana, Giovanni Michelucci.
Bosio, fondatore del gruppo diretto da Michelucci, attirò l'attenzione con i suoi lavori successivi in Addis-Abeba, Gondar, Dessié, Gimma, Rieti e Tirana. Appartiene alla generazione degli architetti laureati negli anni 26-27 del ventesimo secolo, i quali chiedevano non solo una “nuova norma”, ma in nome di uno “stile internazionale”, anche di “lasciar perdere la creatività individuale” a causa di una omogeneità culturale nuova che ancora non aveva vinto la battaglia contro il classicismo.
Come architetto e urbanista, Bosio negli anni 29-30 rimase allo “stile internazionale”, a cui fu fedele per tutta la vita, ispirato dalla convinzione del Sant'Elia che “nella vita moderna il processo dello sviluppo stilistico dell'architettura si ferma, essa si stacca dalla tradizione e ricomincia senz'altro da capo”. Le idee di Bosio sul concepimento e la costruzione delle città dell'impero non erano passate inosservate a Mussolini. Per questo nell'Aprile del 1938 il Duce ricevette l'architetto in un'udienza particolare, dove ascoltò l'esperienza sulla costruzione delle nuove città in Africa dell'est. Bosio aveva già ricevuto l’approvazione ufficiale riguardo Tirana.
Quando mise piedi nella capitale albanese, a Luglio del 1939, fu nominato primo consulente e direttore dell'ufficio centrale di Edilizia e Urbanistica. Proprio la fondazione di tale struttura gli fu chiesta da Mussolini nell'appuntamento di aprile a Roma. La struttura in questione fondata da Bosio ebbe una funzione centralizzata; essa fu un organismo centrale che amministrava, sotto le direttive di un architetto, tutti i progetti urbanistici delle città albanesi. Inoltre, nelle sue funzioni si includeva anche il “controllo delle attività di edilizia di iniziativa privata nelle diverse località del paese per far si che fosse possibile lo sviluppo razionale omogeneo regolato dalla legge”.
La sua formazione iniziale come professore di disegno e restauro all'Università di Firenze permise che in breve tempo si assumessero le conoscenze di base di quella parte di patrimonio architettonico albanese che rappresentava in sé degli elementi razionali, lasciando da parte lo stile orientale del patrimonio ottomano nel paese. Bosio si accorse dell'impatto visivo che “la torre” della gente di montagna rappresentava nei secoli. Nella sua architettura utilizzò con successo un elemento di tale rappresentazione per l'Albania. In questo spirito, in collaborazione con P. N. Berardi costruì il Padiglione Albanese nella fiera del Levante di Bari, concependo un oggetto nella forma di un parallelepipedo compatto. Mediante l'utilizzo della pietra, in questo padiglione si evidenziò la qualità fortificante della “torre albanese”, però trattato da punto di vista moderna.
Con uno splendido stile architettonico, ma dalle dimensioni monumentali, Bosio, nell’anno 1939, cominciò a progettare anche il Palazzo del Fascio (oggi “corpus” dell'Università di Tirana). Questo edificio è totalmente differente non solo dal Palazzo con le colline, ma anche dall'Accademia delle Belle Arti (come oggi vengono chiamate), come dice lo studioso Shkreli, nonché dal Palazzo del Governo, e di più dal Palazzo delle Brigate.
Nei suoi ultimi lavori in Albania, Bosio si stava dirigendo sempre di più verso uno schema di astrazione pura, che era abbastanza raro anche nell'architettura italiana del tempo. Egli deviò solo con il progetto del Palazzo del Fascio e il corpus dell'Università, perché soltanto con quello stile riuscì a prendere sia la licenza che una libertà estrema per i progetti delle sue opere - con o senza la collaborazione - includendo qui sia lo Stadio, oggi chiamato, come già detto “Qemal Stafa”, che l'albergo “Dajti”. Bosio ha mantenuto il rapporto tra tradizione e modernità.
Questo è il motivo per cui Bosio, nella progettazione del Piano Urbanistico di Tirana, ha preservato completamente la struttura della vecchia città, "per non perdere le tracce della città musulmana". Dunque la nuova Tirana, anche se si fosse progettata con uno stile occidentale, avrebbe dovuto mantenere nella sua interezza il suo carattere delicato della “città-giardino” che per ragioni storico-sociale, per fortuna, Tirana aveva.
Questo rispetto di Bosio per la tradizione locale anche in urbanistica, come primo architetto di Albania negli anni'30 del secolo passato, non faceva tanto parte di lui. Il rispetto per la tradizione, senza tradire gli ideali del razionalismo e della funzionalità in urbanizzazione, si forzò in Albania. Oltre Tirana, lui cominciò, senza perdere tempo, il lavoro per i piani urbanistici delle città di Shkodër, Milot, Durrës, Elbasan, Korçë, Berat, Vlorë e Sarandë, concentrandosi di più su quelle di Vlora ed Elbasan.
Sfortunatamente questi progetti, spesso troppo dettagliati, non solo non furono attuati, ma si dimenticarono apposta. Il soprannome assurdo di “architettura fascista” penalizzò non solo gli edifici già costruiti, ma anche le idee rivoluzionarie di Bosio sull'urbanizzazione, tanto che all’Università fu censurato il loro studio.
Per quanto il regime rimase in piedi, fu vietato alle nuove generazioni di architetti di sapere perché il Bosio superò culturalmente il Brasini, riguardo al viale “Dëshmorët e Kombit”. Tale superamento lasciò dietro a sé le citazioni e lo stile di Rinascimento Europeo andando verso le linee chiare di un razionalismo riduttivo. Per interi decenni i lavori degli architetti italiani in Albania, ma in particolar modo quello di Bosio, si abbandonarono nella “loro santità” arrivando a un degrado totale, fino ai giorni quando il progetto di “Ritorno all'identità” del Sindaco di Tirana, Edi Rama, oggi Primo Ministro, li mise sotto l'attenzione dell'opinione pubblica.
Il lavoro di Bosio a Tirana è un atto di coraggio inaudito, sottolinea tra l'altro l'architetto e lo studioso, Artan Shkreli. Oltre ai progetti urbanistici, soltanto a Tirana Bosio realizzò l'edificio dell'Università, l'Accademia delle Belle Arti, le collone dell'Istituto Archeologico, lo stadio (oggi “Qemal Stafa”), l'edificio del governo, l'hotel Dajti, il palazzo delle Brigate assieme al Parco e il suo unico arredamento, nonché disegnò le forme planivolumetriche del Palazzo della Cultura, il Museo Nazionale ecc.
Sarà difficile trovare nella storia dell'architettura mondiale un architetto con una volontà intensa nel realizzare grandi opere come quelle che Bosio realizzò in Albania. Non si deve dimenticare che tutto il suo lavoro a Tirana si effettuò nell'arco di tempo di un anno e mezzo: Agosto 1939 – Marzo 1941. Né va tralasciato il fatto che l'ultimo anno della sua vita fu divisa tra lavoro, interventi chirurgici e dolori della sua malattia incurabile.
Bosio morì di cancro all'età di 38 anni, il 16 Aprile 1941 nella sua villa di Montefonte a Firenze. Morì da eroe lavorando sui progetti per l'Albania fino alle ultime ore. Aveva capito il suo destino. Pensava che non c'era altra strada per finire il carico tremendo dei progetti, perciò la sua malattia la tenne nascosta ai famigliari e ai colleghi. I famigliari vennero a sapere che lui si curava per la malattia dopo un anno da quando tornò a casa per chiudere per sempre gli occhi.
Bosio ha lasciato dietro di sé quello che il critico Cresti riassume con queste parole: “Gherardo Bosio visse le sue esperienze di progettazione e di attuazione con un impulso creative inaudito. Era deciso, anche se in breve tempo, a lasciare dietro di sé tracce concrete e preziose di una professionalità da esempio, piena di etica e di cultura. Per noi Albanesi, come dice, Shkreli, lasciò dietro di sé una capitale.