di Antonio Negro, esperto dei fenomeni migratori - Venerdì e sabato scorsi si sono tenuti, a Roma, gli Stati generali dell'associazionismo italiano nel mondo. Non ho partecipato ma ho seguito in diretta streaming buona parte degli interventi, quasi tutti interessanti, a volte ripetitivi, che tuttavia hanno confermato il senso di sfiducia e di inadeguatezza di una realtà associativa in crisi, che non attrae più come negli anni che abbiamo alle spalle.
Alcuni interventi mi hanno colpito più di altri, ma solo perché più vicini al mio punto di vista.
Ho rivisto volentieri alcuni amici che non sentivo da anni, sempre impegnati e battaglieri come li ricordavo. Nel corso del dibattito non sono mancate alcune contraddizioni, ma è normale che ciò possa accadere in una discussione su di un argomento così importante, ancorché snobbato dalle istituzioni, così come lo è sempre stata l'emigrazione italiana nel mondo, salvo rari momenti di vicinanza politica nel periodo in cui il voto e le rimesse erano oggetto di appetitosa attenzione.
La relazione di Ilaria del Bianco è stata preziosa e ineccepibile, anche se il sonoro proprio in quel momento lasciava a desiderare. Ho ascoltato con interesse Micheloni, Farina, Nardi, ai quali sono legato da comuni battaglie fatte in Svizzera negli anni 70-80, ma anche altri che non conosco.
In particolare Micheloni mi ha ricordato, col suo intervento, le grandi guerre, senza esclusione di colpi, che mi facevano (e che facevo) all'interno del Ministero degli Esteri.
Ha fatto bene a individuare in quegli uffici la chiave di volta del fallimento delle politiche verso le nostre comunità all'estero. Gianni Farina, da par suo, non poteva non dare un taglio politico e passionale da vero militante e organizzatore qual è.
Ha fatto bene a sollecitare la necessità di colpire uniti, pur da posizioni politiche diverse: solo così si possono raggiungere buoni risultati. Dino Nardi ha espresso alcune acute osservazioni: quella sulle leggi italiane, che una volta fatte, hanno bisogno delle circolari per spiegarle, o dei decreti attuativi che non arrivano mai. Questo è un problema serio e grave, che nessun parlamentare o partito, o altri, riesce ad affrontare.
In Italia abbiamo 160.000 leggi (senza quelle regionali e comunitarie) a fronte delle 3 - 4.000 della Francia, della Germania, ecc. Pure Nardi è rimasto agli anni 70/80, e non riesce a vedere come calamitare nell'associazionismo anche i nuovi migranti, gli expat. Questo mancato incontro tra vecchia e nuova (e diversa) emigrazione è stato evidente soprattutto negli ultimi due anni.
Due anni fa, infatti, e nessuno se n'è accorto, gli studenti italiani all'estero di Erasmus (diverse migliaia) hanno fatto, da soli, una grande battaglia, un grande baccano su internet, per poter votare dall'estero in occasione delle elezioni, sia nazionali che europee, come fanno in tutti i paesi civili: ebbene, ci sono riusciti senza alcun aiuto o coinvolgimento della vecchia emigrazione. Eppure si trattava, e si tratta, di diritti civili per i quali le battaglie all'estero si sono sempre sprecate.
E, infatti, la relazione parlava proprio di diritti, partecipazione e rappresentanza sociale. Si è detto del coinvolgimento delle regioni. Nella mia regione, la Puglia, proprio un anno fa, come adesso, i consiglieri hanno approvato una legge che sposta al 9 di agosto la Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo, che una direttiva pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana stabilisce per l'8 di agosto, in ricordo della catastrofe di Marcinelle.
Per evitare che a qualcuno vengano le convulsioni, non descrivo i retroscena di tanta sciatteria e i particolari su questa decisione, avvenuta senza coinvolgimento alcuno, senza dibattito, senza una motivazione culturale, storica o politica.
Mi ha convinto l'appello di Rino Giuliani sulla concretezza. E proprio sulla base di questa considerazione ritengo valide le tre proposte scaturite:
- forum delle associazioni;
- forum regionali;
- richiesta di una seconda conferenza nazionale dell'emigrazione.
Alcuni interventi mi hanno colpito più di altri, ma solo perché più vicini al mio punto di vista.
Ho rivisto volentieri alcuni amici che non sentivo da anni, sempre impegnati e battaglieri come li ricordavo. Nel corso del dibattito non sono mancate alcune contraddizioni, ma è normale che ciò possa accadere in una discussione su di un argomento così importante, ancorché snobbato dalle istituzioni, così come lo è sempre stata l'emigrazione italiana nel mondo, salvo rari momenti di vicinanza politica nel periodo in cui il voto e le rimesse erano oggetto di appetitosa attenzione.
La relazione di Ilaria del Bianco è stata preziosa e ineccepibile, anche se il sonoro proprio in quel momento lasciava a desiderare. Ho ascoltato con interesse Micheloni, Farina, Nardi, ai quali sono legato da comuni battaglie fatte in Svizzera negli anni 70-80, ma anche altri che non conosco.
In particolare Micheloni mi ha ricordato, col suo intervento, le grandi guerre, senza esclusione di colpi, che mi facevano (e che facevo) all'interno del Ministero degli Esteri.
Ha fatto bene a individuare in quegli uffici la chiave di volta del fallimento delle politiche verso le nostre comunità all'estero. Gianni Farina, da par suo, non poteva non dare un taglio politico e passionale da vero militante e organizzatore qual è.
Ha fatto bene a sollecitare la necessità di colpire uniti, pur da posizioni politiche diverse: solo così si possono raggiungere buoni risultati. Dino Nardi ha espresso alcune acute osservazioni: quella sulle leggi italiane, che una volta fatte, hanno bisogno delle circolari per spiegarle, o dei decreti attuativi che non arrivano mai. Questo è un problema serio e grave, che nessun parlamentare o partito, o altri, riesce ad affrontare.
In Italia abbiamo 160.000 leggi (senza quelle regionali e comunitarie) a fronte delle 3 - 4.000 della Francia, della Germania, ecc. Pure Nardi è rimasto agli anni 70/80, e non riesce a vedere come calamitare nell'associazionismo anche i nuovi migranti, gli expat. Questo mancato incontro tra vecchia e nuova (e diversa) emigrazione è stato evidente soprattutto negli ultimi due anni.
Due anni fa, infatti, e nessuno se n'è accorto, gli studenti italiani all'estero di Erasmus (diverse migliaia) hanno fatto, da soli, una grande battaglia, un grande baccano su internet, per poter votare dall'estero in occasione delle elezioni, sia nazionali che europee, come fanno in tutti i paesi civili: ebbene, ci sono riusciti senza alcun aiuto o coinvolgimento della vecchia emigrazione. Eppure si trattava, e si tratta, di diritti civili per i quali le battaglie all'estero si sono sempre sprecate.
E, infatti, la relazione parlava proprio di diritti, partecipazione e rappresentanza sociale. Si è detto del coinvolgimento delle regioni. Nella mia regione, la Puglia, proprio un anno fa, come adesso, i consiglieri hanno approvato una legge che sposta al 9 di agosto la Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo, che una direttiva pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana stabilisce per l'8 di agosto, in ricordo della catastrofe di Marcinelle.
Per evitare che a qualcuno vengano le convulsioni, non descrivo i retroscena di tanta sciatteria e i particolari su questa decisione, avvenuta senza coinvolgimento alcuno, senza dibattito, senza una motivazione culturale, storica o politica.
Mi ha convinto l'appello di Rino Giuliani sulla concretezza. E proprio sulla base di questa considerazione ritengo valide le tre proposte scaturite:
- forum delle associazioni;
- forum regionali;
- richiesta di una seconda conferenza nazionale dell'emigrazione.