Il dialetto barese e l’uso della lettera J secondo Teresa Gentile

di Teresa Gentile - Leggendo l’intervista del giornalista Vittorio Polito a due illustri studiosi, pubblicata sul “Giornale di Puglia” in fatto di linguistica e dialetti, in particolare sul dialetto barese e sull’uso della lettera J, ringrazio per l’attualità e la preziosità delle notizie riportate. Mi ha fatto indubbio piacere apprendere dall’intervista che illustri studiosi internazionali (D’Alessandro e Andriani) abbiano recentemente dichiarato che il barese sia una lingua e si possa usare la lettera j che contiene un particolare suono che non è accentuato ma tende a far sillaba con la vocale successiva. Certo la sua pronuncia è difficile da descrivere poiché è via di mezzo tra una i e una g dolce e quindi ha un suono diverso da quello della semplice i e si apprende soprattutto “ascoltando” chi ancora parla in dialetto. Ciò è un dato di fatto anche per moltissimi altri dialetti a cominciare da quello di Napoli (es. jamme) ed anche perché è l’unico modo di scrivere una “i” palatale che è tutt'altra cosa rispetto a una “ii”. Anche a Martina Franca, la mia bella città della Valle d’Itria, si utilizza tale segno grafico convenzionale quando nella pronuncia dialettale la ‘i’ si lega molto al suono successivo fino a sparire (es. jedde = lei ) o quando sostituisce il gruppo gr (jranne = grande ). Concordo pienamente con la prof. D’ Alessandro nel ritenere che il barese sia, grammaticalmente parlando, una lingua a tutti gli effetti, con il proprio sistema fonologico e sintattico ma anche nelle sue varianti, poiché deriva dal latino ed è una lingua sorella dell’italiano. La riflessione di Andriani mi ha resa poi consapevole che il barese sia una lingua e come lo è qualsiasi altra lingua naturale o codice linguistico rispetti ‘regole’ fonologiche, morfo-sintattiche e presenti varianti lessicali dovute a eventi storico-politici e socio-culturali. Anche lui ricorda che la grafia delle lingue sia del tutto convenzionale e consista in un accordo fatto tra scrittori per trascrivere le lingue in modo condiviso e consapevole. Il dialetto barese, (come ogni altra parlata popolare) è necessario tramandarlo ai più giovani e parlarlo con loro. Interessante è poi la sua esortazione accorata “Questo, oltre a metterli a parte della loro cultura e delle tradizioni che a loro appartengono li renderà di fatto bilingui (italiano e barese, due lingue diverse), portando loro notevoli vantaggi cognitivi, come la maggiore velocità nel prendere decisioni, l’agilità nel multitasking (multiprogrammazione), e una maggiore capacità di concentrazione.” È certamente innegabile il potenziamento delle capacità cerebrali dei parlanti, che riescono anche a far meno fatica ad apprendere un’altra lingua (internazionale), perché già gestiscono ‘consapevolmente’ due linguaggi.” Da un punto di vista esclusivamente personale anche per me “il barese è sinonimo di amici, famiglia, intimità, e di tutto ciò che si ricollega alla città natia”. Ogni dialetto per essere preservato e tramandato ha bisogno d’essere parlato, difeso, ma ha soprattutto bisogno di serbare la sua capacità di far satira, romanticismo, polemica, di esprimere affetti, nostalgie, speranze, osservazioni acutamente psicologiche ed esperenziali. E questo occorre, con urgenza, richiederlo oggi più che in ogni altra epoca. Oggi viviamo tempi aridi, oppressi da burocraticismo, paure, violenze, incertezze, manie depressive, cinismo, anestesia del cuore, omicidi, suicidi, cancellazione della Bellezza, orrore, deflagrazione umana, smembramento di valori e certezze. Per RISORGERE sarà sempre più opportuno riuscire a serbare ben salde le nostre radici identitarie non solo culturali ma soprattutto UMANE assieme al fondamentale recupero di doti sempre più rare di intelligenza critica e costruttiva, Oggi ci si sente orfani delle certezze date dalla Fede, da famiglie unite, dalla vicinanza di nonni e Maestri di vita, da esempi credibili di vita etica e dalle competenze di lavoro di una civiltà patriarcale contadina e artigiana. Ci si è fidati troppo della tecnologia e solo da poco… per fortuna…, ci si è resi conto che con troppa burocrazia e tecnologia e senza un apporto umano e di esperienza… si corre il rischio di far scomparire la sempre più fragile e rinunciataria pianta-uomo così come scomparvero i dinosauri. Compito degli scrittori dialettali, sarà quindi non solo quello di pervenire, in modo sereno, ad una scrittura condivisa del dialetto ma soprattutto di non dimenticare e recuperare “la nostra essenza umana” e quindi lo spirito delle tradizioni, del rispetto vicendevole, della cultura, delle conoscenze tipiche di ogni territorio e che una volta erano tramandate di generazione in generazione come linfa vitale che dalle radici si diffondeva ai rami, ai frutti e alle foglie, da trisavoli a bisnonni nonni, genitori e bambini. Tra tali conoscenze anche il dialetto aveva un posto predominante ponendo in connessione diretta le generazioni ed avendo come fulcro il dialogo sereno, l’Amore per Dio, se stessi, gli altri e la Terra natia.