Teatro, "Bocche di dama" il 21 a Verbania


di Eliana Forcignanò - Dopo il successo di pubblico a Campi per i “Teatri della Cupa”, la pièce dell’artista Angela De Gaetano arriverà il 21 Agosto a Verbania per la rassegna “Il Paese dei Narratori”.

Si può trattare il Sud anche senza quell’atteggiamento di sterile retorica che ci ha condizionato nell’ultimo quindicennio. Si può parlare di donne che al Sud appartengono anche senza dipingerle necessariamente contorcersi a terra vestite di bianco al suono di un tamburello, ché il tarantismo – come già vide De Martino – non è un fenomeno da sottovalutare, tuttavia l’azione non sempre meritoria del folklore ne ha smussato la drammaticità e ridotto la carica eversiva. Se il “morso del ragno” – ancora De Martino – era un dispositivo psicologico e sociale di rivolta nel contesto patriarcale delle campagne, in città la sottomissione delle donne a padri, fratelli e mariti costituiva, negli anni Cinquanta del secolo scorso, una realtà non meno tangibile e talvolta fatale per chi non accettava le regole. Così, Angela De Gaetano ci racconta nella triplice veste di drammaturga, regista e attrice una vicenda di aperta e dolorosa ribellione in cui l’universo maschile e quello femminile s’incontrano senza tuttavia comprendersi. Perché le gerarchie parentali e la prepotenza di padri e mariti impediscono qualsiasi avvicinamento e, soprattutto, l’alterità non è accettata né riconosciuta da chi ci vorrebbe conformi a un modello di acquiescenza al potere. E il potere – come diceva Foucault – sottende la violenza.
Bocche di dama, un titolo pregnante e icastico, è un esempio altissimo di quel teatro che è, insieme, narrazione e trasformazione, osservazione della realtà e protesta non certo contro il passato – che, per definizione, non può tornare – bensì contro l’oppressione che, in ogni tempo e in ogni luogo, un uomo può attuare sul proprio simile, approfittando della debolezza e dell’intima delicatezza di cui l’altro è portatore. Ancora ai nostri giorni, oppressione e violenza sembrano moltiplicarsi quando è il maschio a vessare e colpire – non solo con le parole – la donna: non a caso, il femminicidio domina le colonne dei giornali. La De Gaetano, che regge la scena da sola per un’ora intera, ci accompagna con sguardo ora lucidamente ironico ora dolente nelle vicende di un’adolescente, Mariuccia, in una cittadina imprecisata del Meridione che grande somiglianza ha con Lecce, non fosse altro che per quella tettoia in stile liberty addossata al Castello all’interno della quale fervevano un tempo le attività del “mercato coperto”. Quel mercato rivive nell’interpretazione magistrale della De Gaetano che lo fa vibrare di suoni e grida, di offerte e trattative, di cameratismo fra i venditori che aspettano l’arrivo del sindaco.
Estremamente curato nei dettagli – dalla scelta della colonna sonora, mista fra percussioni e canzoni popolari, alle luci; dagli oggetti di scena alla cadenza volutamente dialettale dei personaggi che la De Gaetano plasma sul palcoscenico –, Bocche di dama è esso stesso uno spettacolo delicato e, nel medesimo tempo, coraggioso. Proprio com’è coraggiosa la quindicenne Mariuccia che, sfidando il proprio destino, s’innamora della compagna di scuola Agata e ne è ricambiata. Ma lei, Mariuccia, è figlia di don Leo, strozzino devoto alla religione che vorrebbe far edificare una chiesa a futura memoria della sua superbia. Ed è figlia di Teresa, madre premurosa e regina del focolare che, quasi per ossimoro, si lascia pestare dal marito senza proferir parola. Di questi ossimori fra violenza del maschio e perfetto governo della casa, le donne del Sud ne sanno fin troppo, quando ai pranzi della domenica si presentavano “pettinate come regine”, ma con l’animo martoriato dalle offese dei consorti.
Assistendo allo spettacolo, la domanda che uno spettatore si pone non riguarda soltanto l’amore omosessuale fra Mariuccia e Agata, un amore fatto di sguardi, di una sola carezza sottratta al buio di una festicciola, di un tenero ballo. Non riguarda soltanto l’ostacolo insormontabile della totale incomprensione che due donne, amandosi, si trovano dinanzi come un muro. No, la domanda che Bocche di dama lascia a fior di labbra, come un bacio lascerebbe un fremito in chi inaspettatamente lo riceve, riguarda l’amore in quanto sentimento che coinvolge tutti noi. L’amore mancato di un padre, l’amore fra un uomo e una donna e – perché no? – quello fra due donne. Il nostro problema, ancora oggi che amiamo definirci consapevoli ed emancipati, risiede nel considerare l’omosessualità una forma d’amore “diversa”, come se ce ne fosse una “canonica”. Così non è, perché l’amore è uno. Basterebbe tornare a leggere il Simposio di Platone e, in particolare, il discorso di Aristofane in cui l’amore omosessuale e quello eterosessuale vengono ascritti a una sola genesi: in origine – ricorda Aristofane – gli esseri erano uniti gli uni con gli altri, poi Zeus volle separarli perché ne temeva la forza e, da quel momento, le due metà continuano a cercarsi, ma non necessariamente queste metà sono di sesso opposto. E come dimenticare le magnifiche poesie dense d’amore e gelosia che Saffo dedicava alle proprie allieve in partenza per la vita coniugale? Anche Agata è gelosa di Mariuccia, di quella tenera gelosia scambiata da un balcone all’altro che promette baci e carezze; che si stempera nel godimento della presenza della propria amata, un godimento reso impossibile dall’ignoranza e dalla violenza.
La De Gaetano interpreta una storia nella storia, tesse una trama fitta di rimandi in cui si alternano ilarità e commozione profonda. Uno spaccato di vita che è uno specchio di noi, di una società alla quale sessant’anni non sono bastati per sovvertire i rapporti di forza intrafamiliari e abbattere il pregiudizio.

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