di Vittorio Polito - Il 18 agosto di quest’anno è scomparso Tonino Antonelli, barese, figura di spicco nel campo della musica jazz a Bari. Franz Falanga, un estroverso architetto che vive in provincia di Treviso, autore di tanti libri, ha pubblicato, tra l’altro, il volume “Nella terra dell’U – Storia di Giovani e del Jazz a Bari” (Edizioni Menabò - 2004). Falanga, nel suo libro parla di tutto e di più: dalla storia dei nomi dei suoi genitori, agli elementi basilari del dialetto barese, alla baresità ed alla storia della Southern Jazz Band, della quale faceva parte.
È noto che il jazz è un genere di musica, sorto all’inizio del sec. XX negli Stati Uniti d’America, fondato sul ragtime e su elementi derivati dal folclore negro (blues, canti di lavoro, canti religiosi). Detto questo, mi piacerebbe sapere, dalla viva di un protagonista, la storia del jazz a Bari, e per questo motivo ho posto alcune domande a Franz Falanga.
Conoscendo l’amicizia con Antonelli, sia la comune passione per il jazz, mi piacerebbe sapere come è iniziato l’interesse comune per questo genere musicale?
FALANGA. Innanzitutto grazie per la domanda. Bisogna partire un pò da lontano. Siamo nel settembre del 1943, io avevo dieci anni. La mia famiglia era sfollata a Valenzano in provincia di Bari. In quel mese erano arrivate le truppe alleate a Bari e i tedeschi stavano per essere cacciati da Napoli per continuare la loro ritirata verso Nord. Essendo appassionato di radio, con una cuffia presa da un aereo americano, riuscii a costruirmi una radio a galena (piccolo radioricevitore, senza alimentazione). Una sera, mentre trafficavo con questa radio per ascoltare qualche stazione, ad un certo punto sentii una voce chiarissima che diceva “Hello, here is Radio Tanger, this is the voice of America” e subito dopo la sigla di apertura della trasmissione con un brano musicale travolgente che mi affascinò immediatamente per la sua vitalità . Dopo diverso tempo seppi che quel brano era musica jazz e che era suonato dall’orchestra di Duke Ellington e che si chiamava «Take the “A” Train».
Come inizio mi pare interessante. Poi come andò la faccenda?
FALANGA. In quel periodo il teatro Margherita fu occupato dalle truppe alleate che lo rinominarono “Garrison Theatre” e che serviva per il tempo libero delle truppe alleate. Fu in quelle giornate che il mio amico Tonino Antonelli, che aveva qualche anno più di me, fu assunto al Garrison Theatre perché parlava fluentemente l’inglese e riusciva anche a comprendere e a parlare il tedesco.
Va bene ma che c’entra tutto ciò con il jazz?
FALANGA. Questo è un ricordo molto importante per la mia generazione. In America, durante la seconda Guerra Mondiale, tutti i grandi jazzisti del momento avevano inciso gratis moltissimi brani jazz e questi dischi venivano poi spediti ai soldati americani. Questi fantastici dischi servivano per far sentire gli americani più vicini alle loro case. Tonino Antonelli ascoltando questi dischi al Garrison Theatre si innamorò perdutamente di questa musica e ogni sera, tornandosene a casa, aveva sempre con sé qualche disco che, diciamolo pure, lui riusciva a procurarsi con ogni mezzo. Ovviamente li faceva ascoltare a noi amici. Nel frattempo siamo arrivati al 1947. In via Sparano c’era un gran bel negozio di dischi che si chiamava Ranieri. Il titolare del negozio installò, vicino all’insegna, due altoparlanti e tutte le domeniche faceva ascoltare i brani jazz che stavano sui VD (Victory Disc), che ormai avevano invaso l’Italia. Inutile dire che ogni domenica mattina circa un centinaio di noi ragazzi si riuniva a via Sparano per ascoltare in religioso silenzio quella musica per noi nuova oltre che straordinaria. Per qualche mese, un improvvisato gruppo tentò di suonare del jazz con scarsi risultati. Era formato da Ettore Panizzolo al bengio chitarra, Vito Di Gennaro al clarinetto, Luciano Panza alla batteria, formata da due pentole e da due tamburelli da spiaggia, da Angelo Montanari vocalist, e da me alla fisarmonica. Abbiamo suonacchiato nella nostre case avendo avuto l’ardire di mettere su un gruppo che non aveva nome e che si sciolse dopo qualche mese, perché fummo cacciati con disgusto da tutte le nostre famiglie. I pezzi che avevamo in repertorio erano delle strane canzoni che avevamo sentito cantare dai soldati americani di stanza a Bari. I brani erano “Ehi Babaribo”, “Llera Pistullera Llera Pistullà ”, “Open the Door Richard” e, udite udite, ”Sogno d’amore” di Franz Liszt in do maggiore, debitamente jazzato (almeno così pensavamo noi). L’unica parentela con il jazz era che suonavamo tutti i brani in levare anziché in battere. Chi non sa di musica dirò che questi brani da noi suonati dal punto di vista ritmico erano esattamente il ritmo della Marcia di Radetzky.
Mi pare di capire che stiamo per entrare nel nocciolo della questione?
FALANGA. Certo che sì! Il 1951, avevo diciotto anni, al Circolo Unione arrivò una delle prime band Jazz italiane, la Roman New Orleans Jazz Band. Come potrà ben immaginare i circa cento ragazzi di via Sparano di qualche anno prima, quella magica sera erano tutti lì ad ascoltare la band romana. Fu ovviamente un trionfo. Nei giorni seguenti un gruppo di ragazzi, complice Tonino Antonelli, cominciò a vedersi insieme per fare musica jazz. L’operazione non fu roba da poco, fra le moltissime difficoltà , per esempio la mancanza di soldi per acquistare gli strumenti, riuscire a trovare un posto dove far le prove, era una fatica immensa tenere insieme per la prima volta un gruppo di ragazzi alcuni dei quali si conoscevano da pochissimo tempo, il gruppo variava continuamente dalle cinque-sei alle nove-dieci persone. Si manifestavano risentimenti personali, progetti diversi, e soprattutto ci pesava la mancanza assoluta di un band leader. Tutto ciò ci fece sudare sangue. Questo gruppo magmatico era formato da Tonino Antonelli, prima al contrabbasso poi alla chitarra, Mario Favia al contrabbasso, Deddì Palasciano alla batteria, Nico Scoppio al trombone, Mario Contini al clarinetto, Umberto Fiore alla tromba, Giosuè Musca al sax soprano, Vito Chiarelli al clarinetto, Franco Catalano al pianoforte, Tito Pitteri al trombone, Giampiero Tocchetti al trombone, Giancarlo Russo Frattasi al bengio, Peppino d’Alonzo al sassofono, Pino Filippazzo alla batteria e il sottoscritto al pianoforte.
Avevate deciso come chiamarvi?
FALANGA. Si, all’inizio nacque come “New Orleans Jazz Band”, dopo qualche mese passò finalmente alla denominazione mai più cambiata “Southern Jazz Band”. E così iniziammo a fare concerti. Finalmente da un’idea di Tonino Antonelli era nata la prima band ufficiale jazz a Bari. Il primo concerto fu tenuto a Bari-Carbonara in occasione di una festa della matricola, poi fummo invitati, fatto straordinario, dall’Università di Bari, unica in Italia, ad inaugurare l’anno Accademico, insieme a tutto il Senato Accademico nell’Aula Magna. Qualche mese dopo suonammo al Gran Veglionissimo della Stampa al Teatro Piccinni, come gruppo di apertura, infatti dopo di noi suonò la band di Lelio Luttazzi. Il jazz ormai era entrato a far parte della cultura cittadina. Nel 1955 però la band si sciolse, tutti noi dovevamo studiare, avevamo improrogabili impegni universitari per cui fummo costretti a smettere di suonare.
Quindi finì lì?
FALANGA. No, la storia continua, arriviamo al 1972. Ormai eravamo tutti laureati, molti di noi lavoravano quando, un bel giorno di primavera, Tonino ed io conoscemmo un gruppo di musicisti jazz, ovviamente tutti dilettanti, ai quali proponemmo di suonare insieme. Fatto pregevole, Tonino ci avrebbe ospitato per le prove a casa sua, sull’attico di via Sparano. Tutt’altra musica. Innanzi tutto molti di noi erano diventati più provetti, seconda cosa non avevamo l’assillo di dove andare a provare e poi, la cosa fondamentale per noi, fu la presenza di Dino Blasi, trombonista insigne, che diventò immediatamente il nostro band leader. Lui smise di suonare da professionista per dedicarsi anima e corpo alla band che questa volta aveva preso il nome di “Southern Jazz Ensemble”.
Bene, possiamo dire “Vent’anni dopo”?
FALANGA. Esatto. Posso ricordare la formazione ufficiale: Dino Blasi al trombone, Tonino Antonelli alla chitarra, Armando de Cillis al contrabbasso, Gianni Giannotti al bengio, Gino Nisio alla batteria, Gigi Zofrea al basso tuba, Peppino Sciannamea al clarinetto, Claudio Veraldi, il gran tessitore degli eventi ai quali partecipavamo, alla tromba, Franco Tolomei (da Foggia) alla cornetta (gruppo di Renzo Arbore) e il sottoscritto al pianoforte. In questa band avemmo anche il piacere di avere per un buon periodo di tempo Mimmo Sorrentino al clarinetto, Michele Pavesi al trombone che suonava con “Quelli della notte” di Renzo Arbore e l’insigne pianista Nico Esposito temporaneamente prestato al basso tuba. Nostri fan erano dei gran bei musicisti come ad esempio il fraterno amico Paolo Lepore che sarebbe poi diventato direttore d’orchestra ed organizzatore di eventi musicali. Suonammo nei teatri di Foggia, Brindisi, Bari e Trani, finché non avemmo la più grande soddisfazione della vita di noi musicisti jazz. Sto parlando della nostra partecipazione al Festival del Jazz di Pescara del 1974, dove noi e la band romana di Marcello Rosa al trombone eravamo gli unici due gruppi italiani. Ricordo che in quel Festival suonarono Barney Bigard, Oscar Peterson con Ole Pedersen, Gerry Mulligan, Sonny Stitt, Miles Davis, Charlie Mingus, Joe Venuti. Spiace dirlo, ma una notizia così importate per la cultura musicale barese, fu totalmente ignorata dalla stampa cittadina. Come dire, ahimè nessun profeta in patria. Nell’autunno del 1974 la band si sciolse, molti di noi erano andati a lavorare fuori regione, molti avevano impegni di famiglia. Ma non era finita lì. In quel periodo a Bari cominciarono a spuntare come i funghi fior di musicisti jazz a livello nazionale e mondiale che hanno onorato e onorano ancora oggi la cultura musicale di questa nostra città . Per tutti citerò soltanto il mitico Roberto Ottaviano al sassofono. La strada aperta da noi ragazzi negli anni cinquanta e ancor prima rozzamente, ormai era diventata un’autostrada e non ci fermava più nulla e più nessuno. Tutto questo, mi piace dirlo, lo si deve solo e soltanto ad un gruppo di ragazzi jazzisticamente ignoranti, ancorchè entusiasti, che con la testardaggine e la speranza di quei tempi, a iniziare dal caro Tonino Antonelli, avevano fatto conoscere, quasi fosse un ciclone, la musica jazz ai baresi.
Grazie Falanga, mi ha raccontato una gran bella storia!
Nella foto piccola da sinistra: Giancarlo Russo Frattasi, Giosuè Musca, Tonino Antonelli, Franz Falanga, Umberto Fiore, Pinuccio Filippozzo, Vito Chiarelli.
È noto che il jazz è un genere di musica, sorto all’inizio del sec. XX negli Stati Uniti d’America, fondato sul ragtime e su elementi derivati dal folclore negro (blues, canti di lavoro, canti religiosi). Detto questo, mi piacerebbe sapere, dalla viva di un protagonista, la storia del jazz a Bari, e per questo motivo ho posto alcune domande a Franz Falanga.
Conoscendo l’amicizia con Antonelli, sia la comune passione per il jazz, mi piacerebbe sapere come è iniziato l’interesse comune per questo genere musicale?
FALANGA. Innanzitutto grazie per la domanda. Bisogna partire un pò da lontano. Siamo nel settembre del 1943, io avevo dieci anni. La mia famiglia era sfollata a Valenzano in provincia di Bari. In quel mese erano arrivate le truppe alleate a Bari e i tedeschi stavano per essere cacciati da Napoli per continuare la loro ritirata verso Nord. Essendo appassionato di radio, con una cuffia presa da un aereo americano, riuscii a costruirmi una radio a galena (piccolo radioricevitore, senza alimentazione). Una sera, mentre trafficavo con questa radio per ascoltare qualche stazione, ad un certo punto sentii una voce chiarissima che diceva “Hello, here is Radio Tanger, this is the voice of America” e subito dopo la sigla di apertura della trasmissione con un brano musicale travolgente che mi affascinò immediatamente per la sua vitalità . Dopo diverso tempo seppi che quel brano era musica jazz e che era suonato dall’orchestra di Duke Ellington e che si chiamava «Take the “A” Train».
Come inizio mi pare interessante. Poi come andò la faccenda?
FALANGA. In quel periodo il teatro Margherita fu occupato dalle truppe alleate che lo rinominarono “Garrison Theatre” e che serviva per il tempo libero delle truppe alleate. Fu in quelle giornate che il mio amico Tonino Antonelli, che aveva qualche anno più di me, fu assunto al Garrison Theatre perché parlava fluentemente l’inglese e riusciva anche a comprendere e a parlare il tedesco.
Va bene ma che c’entra tutto ciò con il jazz?
FALANGA. Questo è un ricordo molto importante per la mia generazione. In America, durante la seconda Guerra Mondiale, tutti i grandi jazzisti del momento avevano inciso gratis moltissimi brani jazz e questi dischi venivano poi spediti ai soldati americani. Questi fantastici dischi servivano per far sentire gli americani più vicini alle loro case. Tonino Antonelli ascoltando questi dischi al Garrison Theatre si innamorò perdutamente di questa musica e ogni sera, tornandosene a casa, aveva sempre con sé qualche disco che, diciamolo pure, lui riusciva a procurarsi con ogni mezzo. Ovviamente li faceva ascoltare a noi amici. Nel frattempo siamo arrivati al 1947. In via Sparano c’era un gran bel negozio di dischi che si chiamava Ranieri. Il titolare del negozio installò, vicino all’insegna, due altoparlanti e tutte le domeniche faceva ascoltare i brani jazz che stavano sui VD (Victory Disc), che ormai avevano invaso l’Italia. Inutile dire che ogni domenica mattina circa un centinaio di noi ragazzi si riuniva a via Sparano per ascoltare in religioso silenzio quella musica per noi nuova oltre che straordinaria. Per qualche mese, un improvvisato gruppo tentò di suonare del jazz con scarsi risultati. Era formato da Ettore Panizzolo al bengio chitarra, Vito Di Gennaro al clarinetto, Luciano Panza alla batteria, formata da due pentole e da due tamburelli da spiaggia, da Angelo Montanari vocalist, e da me alla fisarmonica. Abbiamo suonacchiato nella nostre case avendo avuto l’ardire di mettere su un gruppo che non aveva nome e che si sciolse dopo qualche mese, perché fummo cacciati con disgusto da tutte le nostre famiglie. I pezzi che avevamo in repertorio erano delle strane canzoni che avevamo sentito cantare dai soldati americani di stanza a Bari. I brani erano “Ehi Babaribo”, “Llera Pistullera Llera Pistullà ”, “Open the Door Richard” e, udite udite, ”Sogno d’amore” di Franz Liszt in do maggiore, debitamente jazzato (almeno così pensavamo noi). L’unica parentela con il jazz era che suonavamo tutti i brani in levare anziché in battere. Chi non sa di musica dirò che questi brani da noi suonati dal punto di vista ritmico erano esattamente il ritmo della Marcia di Radetzky.
Mi pare di capire che stiamo per entrare nel nocciolo della questione?
FALANGA. Certo che sì! Il 1951, avevo diciotto anni, al Circolo Unione arrivò una delle prime band Jazz italiane, la Roman New Orleans Jazz Band. Come potrà ben immaginare i circa cento ragazzi di via Sparano di qualche anno prima, quella magica sera erano tutti lì ad ascoltare la band romana. Fu ovviamente un trionfo. Nei giorni seguenti un gruppo di ragazzi, complice Tonino Antonelli, cominciò a vedersi insieme per fare musica jazz. L’operazione non fu roba da poco, fra le moltissime difficoltà , per esempio la mancanza di soldi per acquistare gli strumenti, riuscire a trovare un posto dove far le prove, era una fatica immensa tenere insieme per la prima volta un gruppo di ragazzi alcuni dei quali si conoscevano da pochissimo tempo, il gruppo variava continuamente dalle cinque-sei alle nove-dieci persone. Si manifestavano risentimenti personali, progetti diversi, e soprattutto ci pesava la mancanza assoluta di un band leader. Tutto ciò ci fece sudare sangue. Questo gruppo magmatico era formato da Tonino Antonelli, prima al contrabbasso poi alla chitarra, Mario Favia al contrabbasso, Deddì Palasciano alla batteria, Nico Scoppio al trombone, Mario Contini al clarinetto, Umberto Fiore alla tromba, Giosuè Musca al sax soprano, Vito Chiarelli al clarinetto, Franco Catalano al pianoforte, Tito Pitteri al trombone, Giampiero Tocchetti al trombone, Giancarlo Russo Frattasi al bengio, Peppino d’Alonzo al sassofono, Pino Filippazzo alla batteria e il sottoscritto al pianoforte.
Avevate deciso come chiamarvi?
FALANGA. Si, all’inizio nacque come “New Orleans Jazz Band”, dopo qualche mese passò finalmente alla denominazione mai più cambiata “Southern Jazz Band”. E così iniziammo a fare concerti. Finalmente da un’idea di Tonino Antonelli era nata la prima band ufficiale jazz a Bari. Il primo concerto fu tenuto a Bari-Carbonara in occasione di una festa della matricola, poi fummo invitati, fatto straordinario, dall’Università di Bari, unica in Italia, ad inaugurare l’anno Accademico, insieme a tutto il Senato Accademico nell’Aula Magna. Qualche mese dopo suonammo al Gran Veglionissimo della Stampa al Teatro Piccinni, come gruppo di apertura, infatti dopo di noi suonò la band di Lelio Luttazzi. Il jazz ormai era entrato a far parte della cultura cittadina. Nel 1955 però la band si sciolse, tutti noi dovevamo studiare, avevamo improrogabili impegni universitari per cui fummo costretti a smettere di suonare.
Quindi finì lì?
FALANGA. No, la storia continua, arriviamo al 1972. Ormai eravamo tutti laureati, molti di noi lavoravano quando, un bel giorno di primavera, Tonino ed io conoscemmo un gruppo di musicisti jazz, ovviamente tutti dilettanti, ai quali proponemmo di suonare insieme. Fatto pregevole, Tonino ci avrebbe ospitato per le prove a casa sua, sull’attico di via Sparano. Tutt’altra musica. Innanzi tutto molti di noi erano diventati più provetti, seconda cosa non avevamo l’assillo di dove andare a provare e poi, la cosa fondamentale per noi, fu la presenza di Dino Blasi, trombonista insigne, che diventò immediatamente il nostro band leader. Lui smise di suonare da professionista per dedicarsi anima e corpo alla band che questa volta aveva preso il nome di “Southern Jazz Ensemble”.
Bene, possiamo dire “Vent’anni dopo”?
FALANGA. Esatto. Posso ricordare la formazione ufficiale: Dino Blasi al trombone, Tonino Antonelli alla chitarra, Armando de Cillis al contrabbasso, Gianni Giannotti al bengio, Gino Nisio alla batteria, Gigi Zofrea al basso tuba, Peppino Sciannamea al clarinetto, Claudio Veraldi, il gran tessitore degli eventi ai quali partecipavamo, alla tromba, Franco Tolomei (da Foggia) alla cornetta (gruppo di Renzo Arbore) e il sottoscritto al pianoforte. In questa band avemmo anche il piacere di avere per un buon periodo di tempo Mimmo Sorrentino al clarinetto, Michele Pavesi al trombone che suonava con “Quelli della notte” di Renzo Arbore e l’insigne pianista Nico Esposito temporaneamente prestato al basso tuba. Nostri fan erano dei gran bei musicisti come ad esempio il fraterno amico Paolo Lepore che sarebbe poi diventato direttore d’orchestra ed organizzatore di eventi musicali. Suonammo nei teatri di Foggia, Brindisi, Bari e Trani, finché non avemmo la più grande soddisfazione della vita di noi musicisti jazz. Sto parlando della nostra partecipazione al Festival del Jazz di Pescara del 1974, dove noi e la band romana di Marcello Rosa al trombone eravamo gli unici due gruppi italiani. Ricordo che in quel Festival suonarono Barney Bigard, Oscar Peterson con Ole Pedersen, Gerry Mulligan, Sonny Stitt, Miles Davis, Charlie Mingus, Joe Venuti. Spiace dirlo, ma una notizia così importate per la cultura musicale barese, fu totalmente ignorata dalla stampa cittadina. Come dire, ahimè nessun profeta in patria. Nell’autunno del 1974 la band si sciolse, molti di noi erano andati a lavorare fuori regione, molti avevano impegni di famiglia. Ma non era finita lì. In quel periodo a Bari cominciarono a spuntare come i funghi fior di musicisti jazz a livello nazionale e mondiale che hanno onorato e onorano ancora oggi la cultura musicale di questa nostra città . Per tutti citerò soltanto il mitico Roberto Ottaviano al sassofono. La strada aperta da noi ragazzi negli anni cinquanta e ancor prima rozzamente, ormai era diventata un’autostrada e non ci fermava più nulla e più nessuno. Tutto questo, mi piace dirlo, lo si deve solo e soltanto ad un gruppo di ragazzi jazzisticamente ignoranti, ancorchè entusiasti, che con la testardaggine e la speranza di quei tempi, a iniziare dal caro Tonino Antonelli, avevano fatto conoscere, quasi fosse un ciclone, la musica jazz ai baresi.
Grazie Falanga, mi ha raccontato una gran bella storia!
Nella foto piccola da sinistra: Giancarlo Russo Frattasi, Giosuè Musca, Tonino Antonelli, Franz Falanga, Umberto Fiore, Pinuccio Filippozzo, Vito Chiarelli.