Montesardo e l’arte barocca del dominare la pietra

di Francesco Greco - La pietra non ha segreti per la gente di Montesardo. E non da oggi. Dal tempo dei mitici, misteriosi Messapi. Forse è stata la topografia del paese a deciderne le sorti. E' infatti aggrappato tenacemente a una collina calcarea e intorno poca terra da coltivare e molti sassi. Così gli avi si inventarono l'arte barocca del lavorare la pietra, piegandola ai propri bisogni quotidiani, desiderio di bellezza e comodità, capricci. Ma soprattutto per portare il pane a casa.

E da secoli la cercano rubandola alla terra, la lavorano con gli attrezzi, la incastonano nella pajare (trulli a tolos), nei muretti a secco che sfidano le leggi di gravità facendo drenare l'acqua senza muoversi per secoli, millenni, ecc.

E' un lavoro colmo di metafore: se pieghi la pietra ai tuoi voleri, puoi portare la vita dove vuoi, sfidare il tempo, la morte, fino a divenire immortale. Erano le teorie del poeta barocco Vittorio Bodini, del grande Carmelo Bene, di molti grandi artisti spagnoli come Salvador Dalì.

Ci sono tante pietre nel paesaggio e nel cuore caldo della terra: carparo, arenaria, leccese, di Soleto, Alessano, Acquarica, Gallipoli, Ruggiano, di Trani, albanese, ecc. E tanti uomini che da generazioni, in silenzio, pazienti, sotto il sole feroce o la pioggia, la lavorano per farsi le case, innalzare i muretti di contenimento, ecc.

A Montesardo i Cazzato da secoli sono identificati con la pietra. Di generazione in generazione, hanno segnato il paesaggio, il territorio, sia dinanzi al mare che nell'entroterra. I maestri erano fratelli, Tore e 'Ntoni, e sono andati a lavorare anche fuori dalla Puglia: Calabria, Basilicata, ecc.

Poi i misteri della vita portano i discendenti a cercare altro, spesso la trappola del posto fisso, e così l'arte antica è sempre sull'orlo dell'estinzione. Fortuna però che altri se ne avvicinano e trovano nella pietra umili e generosa il lavoro che altri cercano lontano.

Ad Alessano, sempre nel sud Salento, ci sonno i fratelli Bisanti, figli di un muratore, che lavorano anche all'estero (Inghilterra, Portogallo, ecc.). Poi Antonio Amico, che ha anche una cava ai “Lapiddi” e lavora col figlio Gianluigi. A Montesardo l'arte è stata salvata da Mario Ciardo, detto “Marineddi” (nella foto), un artigiano figlio di contadini che ha imparato pian piano il mestiere e lo porta avanti da anni, lavorando tutti i giorni con passione e creatività. Il lavoro non manca, grazie al buon nome che nel tempo gli artigiani di Montesardo si sono fatto.

Ma c'è aperta, insoluta, la questione su cui dovrà farlo domani: i giovani se ne vanno al Nord, lo Stato non dà incentivi per trasmetterlo ai “paratari” di domani. E di questo passo il mestiere si estinguerà, e con esso l'anima antica di una terra dove millenni fa, l'uomo intuì che dando una piccola inclinazione ai muretti e alle pajare, l'acqua delle piogge, seppure violente, sarebbe passata attraversandoli dolcemente e avrebbero stupìto i posteri, cioè noi, consegnando quelle pietre e loro stessi all'immortalità.

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