di Francesco Greco - Il manicomio non è l'ambiente ideale per una famiglia, ma il direttore di un ospedale psichiatrico ci vive a suo agio con la moglie, tre figli e un cane. La struttura psichiatrica è urbanisticamente incorporata nella cittadina di Schleswig (Germania Occidentale).
Difficile dire dove comincia il manicomio e finisce la città, e viceversa: i comportamenti degli ospiti e del personale che ci lavora non aiutano, anzi, confondono. Stabilire il margine fra pazzia e normalità (“non ero sicuro che i bambini o gli adolescenti che incontravo nell'area dell'ospedale fossero pazienti”) è impossibile, perché “tutto sembra follia”. Sembra o lo è?
Da bambino prima e adolescente poi, Jocki – figlio del direttore - ne fa il suo punto d'osservazione del mondo e la fauna antropologica che lo anima, scoprendo la realtà con lo sguardo implacabile e crudele che hanno solo i bambini prima che la società li neutralizzi omologandoli ai suoi stereotipi pazzeschi. Essi infatti si spingono con audace incoscienza oltre l'apparenza e la loro intelligenza pura dà belle scrollate allo status quo facendo cadere le mele marce.
E' una forma di iniziazione e la visuale di Jocki ci svela un ritratto molto attendibile della vita in cui siamo immersi in un'Europa agonizzante, egoista, paranoica, e degli altri con cui abbiamo a che fare. In primis il bambino destabilizza la figura e l'autorità del padre ridicolizzandola (“un maestro nel fare di ogni argomento qualcosa di spinto”, “Cucinava anche di notte”), poi squarta la madre nella sua lotta alla vecchiaia incipiente e poi i due fratelli spocchiosi. Oltre ai pazienti, i compagni di scuola, la maestra, la scuola, le autorità politiche, sanitarie, ecc. Così Jocki è tutti noi, fa quel che vorremmo fare noi e che magari facemmo da piccoli prima che ci educassero.
“Quando tutto tornerà a essere come non è mai stato”, di Joachim Meyerhoff, Marsilio, Venezia 2015, pp. 320, euro 19,00 (ben tradotto da Giovanna Agabio) è un romanzo che carsicamente, sottotraccia, è anche un trattato di antropologia, psicologia, sociologia, che si innerva di quei format culturali e narrativi cari alla Mitteleuropa.
Lo sguardo inesorabile di Jocki afferra l'essenziale senza inutili barocchismi né devianti accademie e verità precostruite. Il suo mondo scaccia compromessi e accomodamenti, è crudo, neorealista, anche se a tratti onirico e venato di ironia al vetriolo e di disincanto già alle prime pagine, quando una mattina mentre va a scuola scopre un cadavere nel giardino della scuola. Nessuno gli crede (“Non dovevo pretendere troppo da queste persone”), anche perché poi il corpo svapora.
Jocki racconta e ri-racconta la storia aggiungendo sempre nuovi particolari (“Fatemi passare. Sono un medico!... un medico di sette anni che si avviava verso il suo primo caso d'emergenza”). Proprio come la società dello spettacolo in cui siamo immersi, in cui ci raccontano un sacco di str...anezze: tasse che non si pagano, milioni di posti di lavoro, ecc.
Questo bambino saggio, occhio spietato, commuovente e tragico, bugiardo com'è giusto (“Avevo inventato qualcosa che era vero...”), conquista il lettore (il romanzo è stato tradotto in tutto il mondo) toccando le sue corde più segrete.
Filosofo da agorà ateniese (“Spesso il momento arriva più in fretta di quanto si pensi”, “quello che si desidera di più al mondo incute lo spavento più atroce”), considera tutti inferiori, praticamente dei deficienti: tipico dei bambini, anche se deve obbedire alla volontà altrui perché non ha scelta, e sopra il giorno in cui potrà fare di testa sua. Smonta il mondo come un giocattolo per osservarlo dentro.
Con l'atteggiamento superiore, annoiato, si concede ai grandi lesionati dentro, irrecuperabili, svela la fauna in cui è costretto come un entomologo a dimostra che i grandi sono ormai da compatire. Se il mondo fosse governato da noi, ci dice Jocki, il mondo andrebbe per il verso giusto.
Così si finisce col simpatizzare con i matti per la tenerezza e la dolcezza con cui li legge: “Vedono tutto, annusano tutto, sentono tutto, percepiscono cose dieci volte più di noi... Sia entrare nell'ospedale sia uscirne per molti di loro rappresentava l'orrore puro... Sebbene l'area fosse affollata, anzi, sovraffollata, molti dei pazienti stavano per conto proprio”).
I “normali” invece sono ridicoli, a cominciare dal padre che impone i quiz intelligenti alla famiglia, la notte saccheggia il frigo, a 40 anni si mette a dieta e sotto la pioggia aspetta il primo ministro in visita al manicomio “Hesterberg” (“in alcuni di questi posti lavoravano i pazienti, un misto di terapia del lavoro e di sfruttamento”), col “coro dei pazienti zuppi di pioggia”, la madre con i capelli che iniziano a ingrigire, i fratelli geniali e sprezzanti che parlano come oracoli.
Un romanzo commuovente, sospeso fra scandaglio sociologico e scansioni liriche, il tutto contaminato di quell'ironia di cui s'era persa ogni traccia e di cui sono i nostri bambini ancora sono capaci. Prima che con la scusa di educarli li rendiamo uguali a noi.
Difficile dire dove comincia il manicomio e finisce la città, e viceversa: i comportamenti degli ospiti e del personale che ci lavora non aiutano, anzi, confondono. Stabilire il margine fra pazzia e normalità (“non ero sicuro che i bambini o gli adolescenti che incontravo nell'area dell'ospedale fossero pazienti”) è impossibile, perché “tutto sembra follia”. Sembra o lo è?
Da bambino prima e adolescente poi, Jocki – figlio del direttore - ne fa il suo punto d'osservazione del mondo e la fauna antropologica che lo anima, scoprendo la realtà con lo sguardo implacabile e crudele che hanno solo i bambini prima che la società li neutralizzi omologandoli ai suoi stereotipi pazzeschi. Essi infatti si spingono con audace incoscienza oltre l'apparenza e la loro intelligenza pura dà belle scrollate allo status quo facendo cadere le mele marce.
E' una forma di iniziazione e la visuale di Jocki ci svela un ritratto molto attendibile della vita in cui siamo immersi in un'Europa agonizzante, egoista, paranoica, e degli altri con cui abbiamo a che fare. In primis il bambino destabilizza la figura e l'autorità del padre ridicolizzandola (“un maestro nel fare di ogni argomento qualcosa di spinto”, “Cucinava anche di notte”), poi squarta la madre nella sua lotta alla vecchiaia incipiente e poi i due fratelli spocchiosi. Oltre ai pazienti, i compagni di scuola, la maestra, la scuola, le autorità politiche, sanitarie, ecc. Così Jocki è tutti noi, fa quel che vorremmo fare noi e che magari facemmo da piccoli prima che ci educassero.
“Quando tutto tornerà a essere come non è mai stato”, di Joachim Meyerhoff, Marsilio, Venezia 2015, pp. 320, euro 19,00 (ben tradotto da Giovanna Agabio) è un romanzo che carsicamente, sottotraccia, è anche un trattato di antropologia, psicologia, sociologia, che si innerva di quei format culturali e narrativi cari alla Mitteleuropa.
Lo sguardo inesorabile di Jocki afferra l'essenziale senza inutili barocchismi né devianti accademie e verità precostruite. Il suo mondo scaccia compromessi e accomodamenti, è crudo, neorealista, anche se a tratti onirico e venato di ironia al vetriolo e di disincanto già alle prime pagine, quando una mattina mentre va a scuola scopre un cadavere nel giardino della scuola. Nessuno gli crede (“Non dovevo pretendere troppo da queste persone”), anche perché poi il corpo svapora.
Jocki racconta e ri-racconta la storia aggiungendo sempre nuovi particolari (“Fatemi passare. Sono un medico!... un medico di sette anni che si avviava verso il suo primo caso d'emergenza”). Proprio come la società dello spettacolo in cui siamo immersi, in cui ci raccontano un sacco di str...anezze: tasse che non si pagano, milioni di posti di lavoro, ecc.
Questo bambino saggio, occhio spietato, commuovente e tragico, bugiardo com'è giusto (“Avevo inventato qualcosa che era vero...”), conquista il lettore (il romanzo è stato tradotto in tutto il mondo) toccando le sue corde più segrete.
Filosofo da agorà ateniese (“Spesso il momento arriva più in fretta di quanto si pensi”, “quello che si desidera di più al mondo incute lo spavento più atroce”), considera tutti inferiori, praticamente dei deficienti: tipico dei bambini, anche se deve obbedire alla volontà altrui perché non ha scelta, e sopra il giorno in cui potrà fare di testa sua. Smonta il mondo come un giocattolo per osservarlo dentro.
Con l'atteggiamento superiore, annoiato, si concede ai grandi lesionati dentro, irrecuperabili, svela la fauna in cui è costretto come un entomologo a dimostra che i grandi sono ormai da compatire. Se il mondo fosse governato da noi, ci dice Jocki, il mondo andrebbe per il verso giusto.
Così si finisce col simpatizzare con i matti per la tenerezza e la dolcezza con cui li legge: “Vedono tutto, annusano tutto, sentono tutto, percepiscono cose dieci volte più di noi... Sia entrare nell'ospedale sia uscirne per molti di loro rappresentava l'orrore puro... Sebbene l'area fosse affollata, anzi, sovraffollata, molti dei pazienti stavano per conto proprio”).
I “normali” invece sono ridicoli, a cominciare dal padre che impone i quiz intelligenti alla famiglia, la notte saccheggia il frigo, a 40 anni si mette a dieta e sotto la pioggia aspetta il primo ministro in visita al manicomio “Hesterberg” (“in alcuni di questi posti lavoravano i pazienti, un misto di terapia del lavoro e di sfruttamento”), col “coro dei pazienti zuppi di pioggia”, la madre con i capelli che iniziano a ingrigire, i fratelli geniali e sprezzanti che parlano come oracoli.
Un romanzo commuovente, sospeso fra scandaglio sociologico e scansioni liriche, il tutto contaminato di quell'ironia di cui s'era persa ogni traccia e di cui sono i nostri bambini ancora sono capaci. Prima che con la scusa di educarli li rendiamo uguali a noi.