di Vittorio Polito - Un secolo prima di Cristo, Cicerone e Orazio, erano già ghiotti di ‘làgana’ (termine che deriva dal greco ‘laganoz’ da cui il latino ‘làganum’ che designava una schiacciata di farina, senza lievito, cotta in acqua. La forma plurale ‘làgana’, invece, indica strisce di pasta sottile, liscia o leggermente ondulata, fatta di farina e acqua, da cui derivano le nostre lasagne.
In un inventario relativo ad un’eredità, stilato da un notaio nel 1279, si legge testualmente, «una cestella piena di maccheroni». Doveva certamente trattarsi di pasta “secca”, fatto che avrebbe accreditato la paternità ai cinesi.
Aristofane, commediografo greco, in una descrizione di taglio gastronomico, accenna ad una pasta che ricorda il raviolo. Col termine ‘maccherone’, trovato già in uno scritto del Basso Medio Evo, si denominava in quel tempo ogni tipo di pasta, lunga e corta, mentre in Sicilia si definivano ‘maccarones’ le paste ripiene che oggi chiamiamo ravioli. Altre tracce ci portano in Medio Oriente e pare possibile che la pasta secca sia di origine araba. Questa ipotesi è accreditata dai nomi arabi ‘itryya’ e ‘fad’ attribuiti ai fili di pasta di forma cilindrica e ai ‘fidelini’. In terre come la Sicilia e la Spagna, che hanno subito la dominazione araba, l’uso dei due termini continua, trasformati in ‘trii’, ‘fideli’ ed in ‘tria’ e ‘fidear’.
Recentemente però è stato ritrovato in Cina nella cittadina di Laja, vicino al Fiume Giallo, il più antico piatto di spaghetti: ha infatti 4000 anni. Il capo del gruppo degli archeologi dell’Accademia delle Scienze di Pechino ha dichiarato che: «La pasta ritrovata assomiglia molto agli spaghetti del tipo ‘La-Mian’, realizzati secondo una tecnica tradizionale cinese che consiste nel tirare e allungare ripetutamente a mano l’impasto».
Nel XVII secolo con la crescita demografica e le conseguenti necessità, approfittando di una piccola rivoluzione tecnologica, la diffusione della gramola e l’invenzione del torchio meccanico, si produce pasta a prezzo conveniente. Nel XVIII secolo la pasta veniva preparata impastando la semola con i piedi, ma il Re Ferdinando II non era contento e ingaggiò un famoso ingegnere per migliorarne il procedimento. Il nuovo sistema proposto consisteva nell’aggiungere acqua bollente alla farina macinata fresca e al subentro di una macchina fatta di bronzo che imitava il lavoro dell’uomo.
Nel 1740 Venezia concede la licenza per aprire il primo pastificio. Nel 1763 il Duca di Parma concede a Stefano Lucciardi di Sarzana, il diritto di privativa per 10 anni, per la produzione di pasta secca nella città di Parma. Agli inizi dell’Ottocento la pasta inizia ad incontrare il pomodoro, ed il ‘matrimonio’ fu felice. Infatti, sino ad allora la pasta era consumata senza condimento o con il solo formaggio. Ma l’uso del pomodoro nella cucina italiana avviene solo alla fine dell’800, poiché fino a quel momento il pomodoro era considerato pianta ornamentale e, secondo una leggenda dura a morire, addirittura pianta velenosa!
Pietro Barilla nel 1877 apre a Parma un negozio di pane e pasta: con un torchietto di legno produce 50 kg di pasta al giorno. Nel 1891 Pellegrino Artusi ‘inventa’ la cucina italiana. Il suo celeberrimo libro di ricette, che diventa la bibbia dei cuochi, la pasta vi trova ampio spazio.
Nel XIX secolo i trafilai, per movimentare il mercato, cambiano le trafile inventando nuovi e fantasiosi formati. Con la rivoluzione tecnologica che annovera l’invenzione della pressa meccanica continua e si migliora così qualità e igiene del prodotto.
Nel 1970, sempre a Parma, Barilla inaugura quello che ancora oggi è il più grande pastificio del mondo, mentre alla fine degli anni ’70 si comincia a parlare di “dieta mediterranea”.
L’arte della pasta si serve anche di piccoli elementi fabbricati artigianalmente, in geometrie difficilmente riscontrabili in natura. I ‘ziti’ (una particolare qualità di pasta), prende il nome dalla donna che va sposa, che a Napoli ed anche a Bari, è chiamata in dialetto ‘zita’. Si tratta della classica pasta per il pranzo di nozze, ma per i baresi i ‘ziti’ rappresentavano anche la trafila per il pranzo della domenica, i quali dovevano essere rigorosamente spezzati a mano (si tratta infatti di una pasta lunga). I bucatini, invece, furono un modo tutto romano di reinterpretare gli spaghetti, mentre a fine ’800 i ditalini (o tubettini) rigati furono chiamati anche garibaldini (?).
Un discorso a parte va fatto per le paste fresche, che a Bari e in Puglia sono rappresentate essenzialmente dalle orecchiette, confezionate a mano con semola di grano duro, acqua, “indice” e “pollice”. E poi le orecchiette si sposano felicemente con ragù, rape, cavoli, sugo alla bolognese, pomodoro, mentre quelle più grandi si possono riempire di carne tritata e cotti in forno. Oggi anche l’industria si è impadronita di questa speciale pasta che viene prodotta con apposite trafile, ma è altra cosa.
La pasta, come detto, rappresenta anche il componente principale nella cosiddetta dieta mediterranea. Per le sue caratteristiche nutritive è ritenuta fondamentale nelle moderne diete sportive, grazie alla bassissima percentuale di grassi e alla presenza di zuccheri composti, in grado di garantire un apporto di energia diluito nel tempo. Ricerche della FAO (Food and Agricultural Organization) hanno dimostrato che un semplice piatto di pasta condita con olio e formaggio rappresenta un’alimentazione completa. Ciò è importante perché dato il costo ridotto, la pasta, almeno in Italia, rappresenta il piatto principale per molte famiglie. Insomma il piatto nazionale.
Ed ora qualche curiosità.
In alcuni scritti del XII e XIII secolo ci sono riferimenti ad “abbuffate di lasagne con formaggio”; Jacopone da Todi nomina la pasta in una delle sue invettive contro il Papa; Boccaccio, nel Decamerone, ne fa un elogio.
Fu solo attorno al 1700, che grazie ad un ciambellano di corte di Re Ferdinando II, Gennaro Spadaccini, e alla idea di utilizzare una forchetta con quattro punte corte (poi diventata di uso comune), la pasta cominciò ad essere servita anche nei pranzi delle corti di tutt'Italia e di là iniziò il suo giro del mondo. La pasta da allora è diventata il cibo più italiano che ci sia, quello che ovunque nel mondo viene istintivamente associato all’Italia
Nel film “Un americano a Roma”, con il mitico Alberto Sordi, ricordiamo le abbondanti forchettate di spaghetti, portate generosamente alla bocca dal nostro grande attore, che rappresentava in quell’epoca l’italiano medio. Quegli spaghetti, mangiati con tanto gusto, erano in grado di far scorrere l’acquolina in bocca a tutti i telespettatori degli anni cinquanta ed, allo stesso tempo, di immortalare questa nostra pasta tutta italiana nel mondo.
La nascita del piatto “pasta alla Norma”, ad esempio, ha una data ben precisa e la si fa risalire all’autunno del 1920, quando Nino Martoglio, poeta e buongustaio siciliano, l’equivalente, per capirci, di Porta per i Milanesi o del Belli per i romani o Fucini per i toscani, accolse una pasta fatta servire dalla sua ospite, Donna Saridda Pandolfini, appartenente ad un'altra celebre famiglia di artisti, con queste parole: “Signura, chista è ’na vera Norma”!!
Questa espressione, omaggio alla capacità culinaria della signora e all’arte magnifica di Bellini, piacque talmente che rimase legata al piatto e fece in breve il giro del mondo. Nacque così la “pasta alla Norma”.
Posso darvi un’altra curiosità? Volete sapere come si chiamava il soprano che interpretò il ruolo di Norma alla prima assoluta dell’opera alla Scala: Giuditta Pasta. Originale vero?
Infine, nel 1734 Giacomo Casanova compose a Chioggia un sonetto in onore dei maccheroni e ne fece una tal mangiata che venne subito incoronato “Principe dei Maccheroni”, mentre a Napoli quasi contestualmente il popolo cantava:
Chi mogliera vuol pigliare
E fan buono il desinare,
Deve fare un calderon
Tutto pien di Maccheron.
In un inventario relativo ad un’eredità, stilato da un notaio nel 1279, si legge testualmente, «una cestella piena di maccheroni». Doveva certamente trattarsi di pasta “secca”, fatto che avrebbe accreditato la paternità ai cinesi.
Aristofane, commediografo greco, in una descrizione di taglio gastronomico, accenna ad una pasta che ricorda il raviolo. Col termine ‘maccherone’, trovato già in uno scritto del Basso Medio Evo, si denominava in quel tempo ogni tipo di pasta, lunga e corta, mentre in Sicilia si definivano ‘maccarones’ le paste ripiene che oggi chiamiamo ravioli. Altre tracce ci portano in Medio Oriente e pare possibile che la pasta secca sia di origine araba. Questa ipotesi è accreditata dai nomi arabi ‘itryya’ e ‘fad’ attribuiti ai fili di pasta di forma cilindrica e ai ‘fidelini’. In terre come la Sicilia e la Spagna, che hanno subito la dominazione araba, l’uso dei due termini continua, trasformati in ‘trii’, ‘fideli’ ed in ‘tria’ e ‘fidear’.
Recentemente però è stato ritrovato in Cina nella cittadina di Laja, vicino al Fiume Giallo, il più antico piatto di spaghetti: ha infatti 4000 anni. Il capo del gruppo degli archeologi dell’Accademia delle Scienze di Pechino ha dichiarato che: «La pasta ritrovata assomiglia molto agli spaghetti del tipo ‘La-Mian’, realizzati secondo una tecnica tradizionale cinese che consiste nel tirare e allungare ripetutamente a mano l’impasto».
Nel XVII secolo con la crescita demografica e le conseguenti necessità, approfittando di una piccola rivoluzione tecnologica, la diffusione della gramola e l’invenzione del torchio meccanico, si produce pasta a prezzo conveniente. Nel XVIII secolo la pasta veniva preparata impastando la semola con i piedi, ma il Re Ferdinando II non era contento e ingaggiò un famoso ingegnere per migliorarne il procedimento. Il nuovo sistema proposto consisteva nell’aggiungere acqua bollente alla farina macinata fresca e al subentro di una macchina fatta di bronzo che imitava il lavoro dell’uomo.
Nel 1740 Venezia concede la licenza per aprire il primo pastificio. Nel 1763 il Duca di Parma concede a Stefano Lucciardi di Sarzana, il diritto di privativa per 10 anni, per la produzione di pasta secca nella città di Parma. Agli inizi dell’Ottocento la pasta inizia ad incontrare il pomodoro, ed il ‘matrimonio’ fu felice. Infatti, sino ad allora la pasta era consumata senza condimento o con il solo formaggio. Ma l’uso del pomodoro nella cucina italiana avviene solo alla fine dell’800, poiché fino a quel momento il pomodoro era considerato pianta ornamentale e, secondo una leggenda dura a morire, addirittura pianta velenosa!
Pietro Barilla nel 1877 apre a Parma un negozio di pane e pasta: con un torchietto di legno produce 50 kg di pasta al giorno. Nel 1891 Pellegrino Artusi ‘inventa’ la cucina italiana. Il suo celeberrimo libro di ricette, che diventa la bibbia dei cuochi, la pasta vi trova ampio spazio.
Nel XIX secolo i trafilai, per movimentare il mercato, cambiano le trafile inventando nuovi e fantasiosi formati. Con la rivoluzione tecnologica che annovera l’invenzione della pressa meccanica continua e si migliora così qualità e igiene del prodotto.
Nel 1970, sempre a Parma, Barilla inaugura quello che ancora oggi è il più grande pastificio del mondo, mentre alla fine degli anni ’70 si comincia a parlare di “dieta mediterranea”.
L’arte della pasta si serve anche di piccoli elementi fabbricati artigianalmente, in geometrie difficilmente riscontrabili in natura. I ‘ziti’ (una particolare qualità di pasta), prende il nome dalla donna che va sposa, che a Napoli ed anche a Bari, è chiamata in dialetto ‘zita’. Si tratta della classica pasta per il pranzo di nozze, ma per i baresi i ‘ziti’ rappresentavano anche la trafila per il pranzo della domenica, i quali dovevano essere rigorosamente spezzati a mano (si tratta infatti di una pasta lunga). I bucatini, invece, furono un modo tutto romano di reinterpretare gli spaghetti, mentre a fine ’800 i ditalini (o tubettini) rigati furono chiamati anche garibaldini (?).
Un discorso a parte va fatto per le paste fresche, che a Bari e in Puglia sono rappresentate essenzialmente dalle orecchiette, confezionate a mano con semola di grano duro, acqua, “indice” e “pollice”. E poi le orecchiette si sposano felicemente con ragù, rape, cavoli, sugo alla bolognese, pomodoro, mentre quelle più grandi si possono riempire di carne tritata e cotti in forno. Oggi anche l’industria si è impadronita di questa speciale pasta che viene prodotta con apposite trafile, ma è altra cosa.
La pasta, come detto, rappresenta anche il componente principale nella cosiddetta dieta mediterranea. Per le sue caratteristiche nutritive è ritenuta fondamentale nelle moderne diete sportive, grazie alla bassissima percentuale di grassi e alla presenza di zuccheri composti, in grado di garantire un apporto di energia diluito nel tempo. Ricerche della FAO (Food and Agricultural Organization) hanno dimostrato che un semplice piatto di pasta condita con olio e formaggio rappresenta un’alimentazione completa. Ciò è importante perché dato il costo ridotto, la pasta, almeno in Italia, rappresenta il piatto principale per molte famiglie. Insomma il piatto nazionale.
Ed ora qualche curiosità.
In alcuni scritti del XII e XIII secolo ci sono riferimenti ad “abbuffate di lasagne con formaggio”; Jacopone da Todi nomina la pasta in una delle sue invettive contro il Papa; Boccaccio, nel Decamerone, ne fa un elogio.
Fu solo attorno al 1700, che grazie ad un ciambellano di corte di Re Ferdinando II, Gennaro Spadaccini, e alla idea di utilizzare una forchetta con quattro punte corte (poi diventata di uso comune), la pasta cominciò ad essere servita anche nei pranzi delle corti di tutt'Italia e di là iniziò il suo giro del mondo. La pasta da allora è diventata il cibo più italiano che ci sia, quello che ovunque nel mondo viene istintivamente associato all’Italia
Nel film “Un americano a Roma”, con il mitico Alberto Sordi, ricordiamo le abbondanti forchettate di spaghetti, portate generosamente alla bocca dal nostro grande attore, che rappresentava in quell’epoca l’italiano medio. Quegli spaghetti, mangiati con tanto gusto, erano in grado di far scorrere l’acquolina in bocca a tutti i telespettatori degli anni cinquanta ed, allo stesso tempo, di immortalare questa nostra pasta tutta italiana nel mondo.
La nascita del piatto “pasta alla Norma”, ad esempio, ha una data ben precisa e la si fa risalire all’autunno del 1920, quando Nino Martoglio, poeta e buongustaio siciliano, l’equivalente, per capirci, di Porta per i Milanesi o del Belli per i romani o Fucini per i toscani, accolse una pasta fatta servire dalla sua ospite, Donna Saridda Pandolfini, appartenente ad un'altra celebre famiglia di artisti, con queste parole: “Signura, chista è ’na vera Norma”!!
Questa espressione, omaggio alla capacità culinaria della signora e all’arte magnifica di Bellini, piacque talmente che rimase legata al piatto e fece in breve il giro del mondo. Nacque così la “pasta alla Norma”.
Posso darvi un’altra curiosità? Volete sapere come si chiamava il soprano che interpretò il ruolo di Norma alla prima assoluta dell’opera alla Scala: Giuditta Pasta. Originale vero?
Infine, nel 1734 Giacomo Casanova compose a Chioggia un sonetto in onore dei maccheroni e ne fece una tal mangiata che venne subito incoronato “Principe dei Maccheroni”, mentre a Napoli quasi contestualmente il popolo cantava:
Chi mogliera vuol pigliare
E fan buono il desinare,
Deve fare un calderon
Tutto pien di Maccheron.