OPINIONE. Grillo e gli intellettuali peso-piuma

di Francesco Greco - Leggeri come piume: volteggiano nell'aria tersa e sfavillante del Mediterraneo, o sciroccosa della vecchia Europa sfatta dai nazionalismi. Ectoplasmi, piumini di cipria vanesi e innocui come i romanzi di Pitigrilli, Carolina Invernizio, Guido da Verona.

Sono gli intellettuali del pensiero debole, nella società liquida, dell'era virtuale, 2.0. Ormai incapaci di decodificare una realtà fattasi d'incanto troppo complessa, barocca, in possesso di strumenti analitici datati, novecenteschi, sempre quelli, non riescono a decrittarla, e così si dedicano alla rendita castale facendo il solletico allo status quo, di cui diventano – magari anche inconsciamente – strenui difensori, senz'accorgersi di essere retro, superati, inutili.

La controprova? La massa che dovrebbe abbeverarsi alle loro analisi, divorare le loro elucubrazioni, li ignora deliberatamente, sfacciatamente.

E così sono decaduti, privi di carisma: ormai una casta di alieni, onanisti estranei alla quotidianità, senza identità né ruolo: autoreferenziali. Un tempo si diceva: l'ha detto Pasolini, l'ha scritto Sciascia, lo pensa Bocca, lo teorizza Montanelli, è il pensiero di Biagi, Eco, ecc. Assai gettonati anche i francesi, i nouveax-philosophe: Daniel Cohn-Bendict, Bernard Henry-Levy, Andrè Glucksmann (morto il 10 novembre a Parigi), ecc.

Oggi nessuno cita più i corsivisti di casa nostra: Panebianco, Galli della Loggia, Ainis, Serra, Battista, Polito, Merlo, Folli, ecc. Scrivono sull'acqua. Anche il predicozzo finto-laico domenicale di Scalfari è stato relativizzato: si scrive sull'acqua, come diceva Montanelli.

Parallelamente, il successo nei sondaggi e il reale radicamento territoriale del M5S. Che passa anche dall'intuizione della premiata ditta Grillo & Casaleggio (vent'anni dopo Berlusconi, comunque...) che gli intellettuali non contano più niente, e ancor meno gli opinionisti: mera sociologia, autoerotismo.
Impegnati a brandire banalità da scompartimento ferroviario, da fermata dell'autobus. “A canzoni non si fan rivoluzioni...” (Guccini), e nemmeno a corsivi. Servono a riempire le pagine dei giornali e far vendere prosciutti e latte scremato.

Se Grillo e Casaleggio si fossero messi a trescare con gli intellettuali si sarebbero impaludati in una nicchia del 2-3%, di cui sarebbero stati i parvenu. Invece li ignorano con non celato sprezzo, li evitano come l'Aids: così hanno fatto un movimento di massa che dopo le periferie (Parma, Livorno, domani magari Roma) potrebbe conquistare anche il centro.

Non che il M5S sia più quello delle origini, iconoclasta, dei Vaffa-Day: la potenza devastatrice pare evaporata, il graffio iconoclasta dissolto, nessun terrore palingenetico. Grillo s'è moderato in vista della presa della Bastiglia, anche per rassicurare i poteri forti, le banche, la Chiesa, le tante lobby.

Una delle prove della “decadenza”, del non essere più devastanti e anti-sistema? La lottizzazione del cda Rai, con un loro uomo, Carlo Freccero, che forse aveva visioni rivoluzionarie 30 anni fa in un paese come il nostro in cui si può esserlo anche con un ruttino. Ma oggi è una tigre senza artigli, un cane di paglia da salotto.

Se vincerà le politiche il M5S si limiterà a sostenere con l'assistenzialismo i nerd del nostro tempo, qualche buffetto a Berlusconi, ma senza fargli tanto male. Non usciranno dall'Europa né dall'eurozona. Anche perché non saprebbero che fare, dove andare, con chi dialogare: Farage? Marina Le Pen? Podemos? Gli antieuropeisti polacchi?

Un Grillo moderato che non farà grandi cambiamenti. Magari recupererà il solidarismo cattolico, interagendo con la dottrina sociale della Chiesa. Che fu la fortuna elettorale della Dc post-bellica e lo chiamerà “reddito di cittadinanza”: ammortizzatori sociali 2.0 di democristiana memoria.

Il M5S non è più ormai da tempo un animale selvaggio, istintivo, irrazionale, che parla alla pancia dell'elettorato italiano: il transfert è passato a Salvini. Vero è che Renzi sta spianando la strada a Grillo, destrutturando l'idea stessa di sinistra, contaminandola profondamente pur di restare a galla: e ci sta riuscendo.

Se Renzi era nato sul mancato patto di Grillo con il Pd di Bersani che nel 2013 aveva vinto senza vincere e senza smacchiare giaguari (e non poteva essere diversamente poiché il M5S non aveva una classe dirigente e sarebbe stata relegata al ruolo di paria), il grillismo si radica sul fallimento ontologico dell'idea di sinistra liquidata da Renzi, sradicata dai territori, i cuori, le menti, il tessuto sociale più intimo e profondo.

Il grillismo è autarchico, non ha bisogno di pensatori: è autoreferenziale, detesta il birignao dei professori e degli accademici e comunque ne ha tanti che scrivono sul suo blog, liberamente, sotto ai post dell'ideologo. Una cosa però Grillo ce l'ha sempre bene in mente: il ruolo dei media come megafono del regime, una sorta di Minculpop, quasi tutti assistiti dallo Stato: ha intenzione di togliere la greppia pubblica, così tanti opinionisti onanisti dovranno andare a lavorare e vivendo solo di pubblicità e di copie vendute, chissà, potrebbero ricordarsi di avere la spina dorsale e un po' di dignità.

E tuttavia, se il Pd riuscisse a mettersi l'anomalia Renzi alle spalle, le falangi macedoni grilline forse resterebbero lontane dal Palazzo e il grillismo si sgonfierebbe come un palloncino che perde aria da un forellino.

Più resta invece e più il M5S cresce e si radica, folgorando menti, emozionando cuori. Anche perché il comico ha avuto altre intuizioni: spostarsi al centro per conquistare anche quelle praterie (ius soli, migranti, ecc.). Oltre a capire che dal crollo del Muro di Berlino (1989) non esiste più una coscienza nazionale, tutto è atomizzato: venuto meno il collante ideologico, tutto è banale e autoreferenziale.
Grillo tuttavia non ha alcun progetto politico né “visione” o weltanshauung. Ma è già nella Storia, perché ha avuto almeno due meriti: ha capito la degenerazione del sistema dei partiti su cui ha costruito il suo movimento anti-partito, e poi si è seduto pazientemente sulla riva del fiume a veder passare i loro cadaveri (ma Walt Withman, in “Democratic Vistas”, “Visioni democratiche”, lo aveva previsto nel 1871, all'indomani della guerra civile che diede un'anima agli Usa e mentre noi ci arrabattavamo con l'idea di Stato unitario imposta più dalle potenze europee che da necessità storiche).

E poi ha rottamato il komunismo: non tanto quello, residuale, della politica (un'esigua nicchia), quanto nella cultura (di cui l'intellettuale organico, che suona il piffero per la rivoluzione, anche inconsciamente, è solo una delle infinite articolazioni in crisi identitaria).

Quando accadrà finalmente saremo tutti più liberi: il Novecento si chiuderà definitivamente, un secolo di grandi utopie, e di immense tragedie. Il che, per un comico trasfigurato in un guru politico, un messia che decollò con la celebre battuta (forse non sua, ma degli autori): “Se in Cina sono tutti socialisti, a chi rubano?”, è il massimo.

Invece dell'estinzione dello stato borghese, accontentiamoci di assistere, con un brivido erotico sottopelle, al dissolvimento dell'intellettuale borghese e del sistema dei partiti per mancanza di audience e di mission. Diventati nel frattempo, sotto i nostri occhi, comitati d'affari, se non peggio e comunque portatori di interessi “particulari”. Non si può avere tutto dalla vita.

E così, a 40 anni dalla morte di Pasolini - l'ultimo grande intellettuale italiano capace di visioni oniriche - l'eutanasia avrà definitivamente sepolto anche la figura dell'intellettuale divenuto ormai un ninnolo da bottega del rigattiere.

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