Puglia: Confartigianato, donne sull’orlo di una crisi di... welfare

BARI - Donne sull’orlo di una crisi di … welfare. In Puglia diminuiscono le imprenditrici e le lavoratrici autonome. Se ne contano 95.027 (un anno fa erano 99.121). La flessione è di 4.094 unità, pari al 4 per cento.

L’imprenditoria femminile che in Puglia rappresenta il 22,4 per cento del totale delle donne occupate (425.102) è in calo, in controtendenza rispetto ai dati nazionali che evidenziano la ripresa del mercato del lavoro, trainato dalle donne, la cui percentuale è prossima al massimo storico registrato, con un tasso di occupazione femminile pari al 47,5 per cento (dato di agosto scorso).

E’ quanto rileva l’Osservatorio di Confartigianato «Donne-Impresa», rielaborato in chiave regionale dal Centro studi di Confartigianato Imprese Puglia, su dati Istat e Unioncamere.

In particolare, sono 15.342 le donne pugliesi che ricoprono cariche nelle imprese artigiane, in flessione dello 0,9 per cento (un anno fa erano 15.485).

In Puglia, le titolari di aziende artigiane sono 9.811, di cui 6.258 operano nel macro-settore dei «Servizi alle persone» (pari al 63,8 per cento del dato complessivo), 2.509 nel «Manifatturiero» (25,6 per cento), 774 nei «Servizi alle imprese» (7,9 per cento), 241 nelle «Costruzioni» (2,5 per cento) e 29 in altri comparti (0,3 per cento).

In dettaglio, 6.385 operano nella provincia di Bari (pari al 41,6 del totale regionale), 3.472 in quella di Lecce (22,6 per cento), 2.049 in quella di Foggia (13,4 per cento), 1.809 in quella di Taranto (11,8 per cento) e 1.627 in quella di Brindisi (10,6 per cento).

Va segnalato che il welfare italiano non aiuta le donne imprenditrici e lavoratrici autonome a far nascere e crescere i figli. La spesa pubblica sostenuta dallo Stato Italiano per la famiglia, pari a 16,5 miliardi, è appena l’uno per cento del Prodotto interno lordo (Pil), a fronte degli interventi per gli anziani che, tra pensioni e spesa per la salute, corrispondono al 20 per cento del Pil. In pratica, per un euro speso a favore della famiglia se ne utilizzano 20 agli over 65.

Il basso livello di spesa per la famiglia colloca l’Italia al 22esimo posto tra i Paesi europei per la quantità di risorse dedicate a questo capitolo di interventi pubblici che, nella media dei Paesi europei, si attesta all’1,7 per cento del Pil. Al contrario, la spesa pubblica per anziani in Italia supera del 4,9 per cento la media europea che si attesta ad una quota pari al 15,1 per cento del Pil.

L’esigua quantità di spesa pubblica in servizi per la famiglia incide negativamente sulla natalità e penalizza la crescita di nuova auto-imprenditorialità femminile.

Secondo lo studio di Confartigianato, infatti, per le donne tra 25 e 44 anni senza figli il tasso di attività lavorativa è dell’82,1 per cento, ma scende al 63 per cento per le donne della stessa età con figli, con un gap di oltre il 19 per cento. Segno che lo Stato non offre quei servizi che consentono alle madri di conciliare il lavoro con la cura della famiglia. Infatti, il 42,7 per cento delle madri occupate segnala di avere difficoltà a coniugare l’attività professionale con gli impegni familiari. E per la cura dei figli si affidano soprattutto a reti di aiuto informale con il 51,4 per cento dei bambini con meno di due anni accudito dai nonni, mentre solo il 37,8 per cento frequenta un asilo nido. La baby-sitter viene scelta come modalità di affido prevalente soltanto dal 4,2 per cento delle madri lavoratrici.

Guardando al profilo professionale, si osserva che oltre i tre quarti (78,2 per cento) delle donne indipendenti è imprenditrice o lavoratrice autonoma: nello specifico è imprenditrice¹ (chi gestisce in proprio un’impresa nella quale impiega personale dipendente) soltanto il 2,3 per cento delle indipendenti, il 2,8 per cento delle indipendenti, mentre il 75,4 per cento è costituito da lavoratrici autonome (libera professionista o lavoratrice in proprio). All’interno di quest’ultima categoria, si distinguono le lavoratrici in proprio³ che rappresentano quasi la metà (48,9 per cento) delle donne indipendenti e le libere professioniste che ne rappresentano circa un quarto (26,5 per cento).

Per completare il quadro sul lavoro autonomo si rileva che il 11,4 per cento delle occupate indipendenti è collaboratrice, il 9,6 per cento è coadiuvante familiare* e il restante 0,9 per cento è socia di cooperativa.

«I dati elaborati dal nostro Centro Studi regionale – commenta la presidente di Confartigianato Donne Impresa Puglia, Marici Levi – rendono bene l’idea di quanto l’Italia ed in particolare il Mezzogiorno non siano terreno ospitale per le lavoratrici donne. E lo sono ancor meno per le imprenditrici, notoriamente escluse anche da una serie di tutele previste in favore delle lavoratrici dipendenti. Il risultato è che tra crisi economica e carenze di istituti legislativi e supporti per la famiglia, per le donne essere titolari di azienda è un’impresa nell’impresa.

In Puglia però – spiega la presidente – grazie all’Ente Bilaterale dell’Artigianato Pugliese disponiamo da qualche mese di una nuova prestazione a sostegno delle artigiane che siano diventate madri nel corso del 2015: un contributo una tantum di ben 3.000 euro, cofinanziato dalla Regione con il Fondo per il sostegno alla Flessibilità.

È però necessario pensare anche ad iniziative di carattere più strutturale. Da tempo Confartigianato Donne Impresa avanza proposte concrete per conciliare lavoro e famiglia: dai voucher babysitting integrati con l’assistenza ai familiari anziani ed ai disabili al sostegno per formare i collaboratori chiamati a sostituire temporaneamente la titolare nell’attività d’impresa; dal credito d’imposta per la creazione di attività d’impresa nei servizi di welfare agli sgravi per assunzioni a tempo determinato di coadiuvanti nei periodi di assistenza a minori e anziani, sono tante le azioni che possono intraprendersi per dare alle donne l’opportunità di esprimere tutta la loro potenzialità».