di Francesco Greco - Sublime l'uscita di scena, molto teatrale (il teatro fu il suo primo amore, perché interagiva col pubblico costruendo il personaggio ogni sera). In “Roma”, 1974, Fellini ricava un cammeo ormai nella storia del cinema. Lei torna a casa di notte sfiorando i palazzi patrizi.
“Chi sò io?”, domanda. E il regista romagnolo: “Una Roma vista come lupa e vestale, aristocratica e straccionesca, tetra, buffonesca...”. E lei sbuffa: “A Federì, ma và a dormì, và!”.
E' l'addio dalle scene e pochi mesi dopo, purtroppo, anche dalla vita. I registi sapevano che lei apportava la sua creatività istintiva, animalesca alla storia raccontata, per cui non è da escludere che quella scena non sia stata scritta, ma improvvisata lì per lì.
Chi è stata Anna Magnani? Per accostarsi con qualche speranza l'arcano, si potrebbe citare Pirandello: una, nessuno, centomila. “Unica”, “inimitabile”, “antidiva”, paragonata a Greta Garbo, “profondamente umana”. “E' stata una donna e un'attrice dai mille volti” (Michele Maranzana).
Attingendo a una vasta, sconfinata bibliografia e altrettanto estesa filmografia, cui non è sfuggito quasi nulla, Barbara Rossi ha acconciato “Anna Magnani” (Un'attrice dai mille volti tra Roma e Hollywood), Edizioni Le Mani, Genova 2015, pp. 398, euro 20,00 e restituisce un ritratto intrigante in ogni aspetto della sua non lunga parabola (era nata il 7 marzo 1908).
Infanzia difficile presso una zia e la nonna, amori tormentati (a partire dal primo che ebbe un incidente), i grandi registi (Visconti, Pasolini, oltre a Fellini), l'esperienza di Hollywood (“alla ricerca del vero volto di Anna Magnani”, Maranzana): 3 dei suoi 50 film in 40 anni di carriera che si snodano per tutto il Novecento, con il suo ruolo essenziale nel Neorealismo: dalla Elide di “Campo dè Fiori” che litiga col vicino di bancarella Aldo Fabrizi, alla Pina di “Roma città aperta” e la Maddalena Cecconi di “Bellissima”.
E dunque, una donna e una donna semanticamente affollata. Un lavoro cui volle dedicarsi “sin dalla culla”. E che percorse in una carriera lunghissima, sospesa fra Roma e Hollywood (di cui confessava di sapere poco): molto cinema d'autore (da Pasolini a Fellini e Rossellini), ma anche popolare (Camerini, Alessandrini), la tradussero in un'icona planetaria che resiste all'usura del tempo e che la biografia pennella con grande intensità e ricchezza di dettagli, aneddoti, interfacce, molte delle quali inedite.
Laureata in Storia del Cinema e Critica cinematografica, la Rossi fruga con pudore e amore nell'universo dell'attrice per affrescare il Novecento, un secolo per certi aspetti ancora misterioso e da indagare, perfettamente incarnato dalla parabola umana e artistica della Magnani. Lo fa coinvolta, con leggerezza e pathos, restituendola nella sua barocca complessità, illuminando le infinite interfacce, i chiaroscuri, la solarità e la generosità di una donna sincera innanzitutto con se stessa sino alla brutalità. Che si è conquistata una fama imperitura e un posto nell'olimpo dei grandi, per cui non si può che convenire col suo sceneggiatore storico Sergio Amidei: “Tutto si può dire di lei, fuorché passasse inosservata”. Infatti ha lasciato un segno profondo, riconoscibile, unico, come solo un'artista con la “a” maiuscola avrebbe.
“Chi sò io?”, domanda. E il regista romagnolo: “Una Roma vista come lupa e vestale, aristocratica e straccionesca, tetra, buffonesca...”. E lei sbuffa: “A Federì, ma và a dormì, và!”.
E' l'addio dalle scene e pochi mesi dopo, purtroppo, anche dalla vita. I registi sapevano che lei apportava la sua creatività istintiva, animalesca alla storia raccontata, per cui non è da escludere che quella scena non sia stata scritta, ma improvvisata lì per lì.
Chi è stata Anna Magnani? Per accostarsi con qualche speranza l'arcano, si potrebbe citare Pirandello: una, nessuno, centomila. “Unica”, “inimitabile”, “antidiva”, paragonata a Greta Garbo, “profondamente umana”. “E' stata una donna e un'attrice dai mille volti” (Michele Maranzana).
Attingendo a una vasta, sconfinata bibliografia e altrettanto estesa filmografia, cui non è sfuggito quasi nulla, Barbara Rossi ha acconciato “Anna Magnani” (Un'attrice dai mille volti tra Roma e Hollywood), Edizioni Le Mani, Genova 2015, pp. 398, euro 20,00 e restituisce un ritratto intrigante in ogni aspetto della sua non lunga parabola (era nata il 7 marzo 1908).
Infanzia difficile presso una zia e la nonna, amori tormentati (a partire dal primo che ebbe un incidente), i grandi registi (Visconti, Pasolini, oltre a Fellini), l'esperienza di Hollywood (“alla ricerca del vero volto di Anna Magnani”, Maranzana): 3 dei suoi 50 film in 40 anni di carriera che si snodano per tutto il Novecento, con il suo ruolo essenziale nel Neorealismo: dalla Elide di “Campo dè Fiori” che litiga col vicino di bancarella Aldo Fabrizi, alla Pina di “Roma città aperta” e la Maddalena Cecconi di “Bellissima”.
E dunque, una donna e una donna semanticamente affollata. Un lavoro cui volle dedicarsi “sin dalla culla”. E che percorse in una carriera lunghissima, sospesa fra Roma e Hollywood (di cui confessava di sapere poco): molto cinema d'autore (da Pasolini a Fellini e Rossellini), ma anche popolare (Camerini, Alessandrini), la tradussero in un'icona planetaria che resiste all'usura del tempo e che la biografia pennella con grande intensità e ricchezza di dettagli, aneddoti, interfacce, molte delle quali inedite.
Laureata in Storia del Cinema e Critica cinematografica, la Rossi fruga con pudore e amore nell'universo dell'attrice per affrescare il Novecento, un secolo per certi aspetti ancora misterioso e da indagare, perfettamente incarnato dalla parabola umana e artistica della Magnani. Lo fa coinvolta, con leggerezza e pathos, restituendola nella sua barocca complessità, illuminando le infinite interfacce, i chiaroscuri, la solarità e la generosità di una donna sincera innanzitutto con se stessa sino alla brutalità. Che si è conquistata una fama imperitura e un posto nell'olimpo dei grandi, per cui non si può che convenire col suo sceneggiatore storico Sergio Amidei: “Tutto si può dire di lei, fuorché passasse inosservata”. Infatti ha lasciato un segno profondo, riconoscibile, unico, come solo un'artista con la “a” maiuscola avrebbe.