di Frédéric Pascali - Le verità nascoste nelle pieghe della storia sono una memoria che di tanto in tanto riaffiora grazie alla volontà di pochi che spesso si trovano a combattere contro l’ostilità di molti.
È il senso del lavoro diretto, con grande eleganza ed equilibrio, da Simon Curtis. “Woman in Gold” è la narrazione della storia di uno dei più famosi dipinti di Gustav Klimt e della lotta della sua legittima proprietaria, Maria Altman,per rientrarne in possesso.
Maria Altman,con l’annessione dell’Austria al Terzo Reich, per sfuggire alle persecuzioni contro gli ebrei è costretta a emigrare negli Stati Uniti. Più di quarant’anni dopo, assistendo al funerale della sorella, decide di recuperare il patrimonio artistico che durante la guerra è stato sottratto alla sua famiglia. In particolare il bellissimo ritratto che Gustav Klimt aveva fatto di sua zia, Adele Bloch-Bauer, nel lontano 1907, requisito dai nazisti ed esposto nella Galleria Belvedere di Vienna. Per affrontare la battaglia legale con il governo austriaco Maria si rivolge a un amico di famiglia, trasferitosi anche lui da tempo in America, il giovane avvocato Randal Schoenberg. La vicenda costringe entrambi a tornare a Vienna e a fare i conti con i ricordi e le amarezze di un tempo.
“Woman in Gold” ha il merito di ripercorrere i fatti miscelando abilmente dettagli legali ed emozioni senza mai tracimare nel melodramma. La ricostruzione della storia personale di Maria Altman,un’altra magnifica interpretazione di Helen Mirren, si svolge traslando l’attualità con il difficile tema del consenso del popolo austriaco verso il Terzo Reich.
Al compito contribuiscono efficacemente la fotografia di Ross Emey e il montaggio di Peter Lambert. Due atout che accentuano il lato iconografico della narrazione, senza per questo rinunciare alla levità infusa dagli animi dei protagonisti.
Bravissimo anche Ryan Reynolds nei panni dell’avvocato Schoenberg, l’autore del soggetto; buono il successo di pubblico, considerando la distribuzione di sole 74 sale per una pellicola per lo più relegata al circuito d’essai.
È il senso del lavoro diretto, con grande eleganza ed equilibrio, da Simon Curtis. “Woman in Gold” è la narrazione della storia di uno dei più famosi dipinti di Gustav Klimt e della lotta della sua legittima proprietaria, Maria Altman,per rientrarne in possesso.
Maria Altman,con l’annessione dell’Austria al Terzo Reich, per sfuggire alle persecuzioni contro gli ebrei è costretta a emigrare negli Stati Uniti. Più di quarant’anni dopo, assistendo al funerale della sorella, decide di recuperare il patrimonio artistico che durante la guerra è stato sottratto alla sua famiglia. In particolare il bellissimo ritratto che Gustav Klimt aveva fatto di sua zia, Adele Bloch-Bauer, nel lontano 1907, requisito dai nazisti ed esposto nella Galleria Belvedere di Vienna. Per affrontare la battaglia legale con il governo austriaco Maria si rivolge a un amico di famiglia, trasferitosi anche lui da tempo in America, il giovane avvocato Randal Schoenberg. La vicenda costringe entrambi a tornare a Vienna e a fare i conti con i ricordi e le amarezze di un tempo.
“Woman in Gold” ha il merito di ripercorrere i fatti miscelando abilmente dettagli legali ed emozioni senza mai tracimare nel melodramma. La ricostruzione della storia personale di Maria Altman,un’altra magnifica interpretazione di Helen Mirren, si svolge traslando l’attualità con il difficile tema del consenso del popolo austriaco verso il Terzo Reich.
Al compito contribuiscono efficacemente la fotografia di Ross Emey e il montaggio di Peter Lambert. Due atout che accentuano il lato iconografico della narrazione, senza per questo rinunciare alla levità infusa dagli animi dei protagonisti.
Bravissimo anche Ryan Reynolds nei panni dell’avvocato Schoenberg, l’autore del soggetto; buono il successo di pubblico, considerando la distribuzione di sole 74 sale per una pellicola per lo più relegata al circuito d’essai.