“Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte 2”, la recensione

di Frédéric Pascali - Delude l’ultima pellicola dedicata alla saga degli “Hunger Games”. Ancora una volta diretta da Francis Lawrence, conclude la trasposizione cinematografica della trilogia scritta da Suzanne Collins, nell’occasione anche produttore esecutivo.

La sceneggiatura, di Danny Strong e Peter Craig, delinea un racconto schiacciato nell’angolo dell’irrisolto equivoco tra fantasy e fantascienza, con la durata che risulta eccessiva per un lavoro che concede troppe pause e svilisce i suoi “punti di svolta”, omologandoli in un target dai contorni a vocazione televisiva.

Nella nazione di Panem infuria la guerra tra i fedeli del presidente Snow, asserragliato a Capital City, e la maggior parte dei Distretti guidati dalla presidente del “13”, Alma Coin.

Le forze ribelli sono costantemente spronate dalla presenza dell’eroica “Ghiandaia Imitatrice”, il simbolo della rivolta impersonato da Katniss Everdeen, vincitrice dell’ultima edizione degli Hunger Games. Dopo aver recuperato la forma fisica, la Ghiandaia, con una squadra speciale comprendente Peeta, l’ex fidanzato mai dimenticato, Gale, l’amico del cuore perdutamente innamorato di lei, e Finnick, il fraterno compagno di lotte nei Games, entrano in Capitol City con lo scopo non dichiarato di uccidere Snow.

Il piano, già di per sé molto complicato, si rivela ricco di insidie, a cominciare dalla morte di Boggs, il loro comandante, che, prima di spirare, mette in guardia Katniss dalle trappole che l’attendono.

La regia di Lawrence non è sufficiente a rianimare un prodotto che non riesce a far dimenticare i suoi cliché e rendere appetibile un finale scontato che si perde proprio nel momento dello showdown. A porvi rimedio non basta il nutrito pacchetto di effetti speciali e un cast di eccellente livello con una Jennifer Lawrence, “Katniss”, raggiante e la presenza defilata del compianto Seymour-Hoffman, “Plutarch”. Stessa sorte segue la bella fotografia di Jo Willems, seppure perfettamente in tono con le atmosfere della narrazione. Va molto meglio con gli incassi, sempre molto elevati, a fronte di una distribuzione che tocca ben 86 nazioni.

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