Barletta, “Il Visitatore” Alessio Boni e la sua sfida a Dio

 di Nicola Ricchitelli - Il mistero dell’esistenza di Dio e la banalità del male ne “Il visitatore” di Eric-Emmanuel Schmitt andato in scena al teatro “G.Curci” di Barletta.

Sotto i riflettori nel ruolo dei protagonisti due attori del calibro di Alessandro Haber e Alessio Boni – accanto a Nicoletta RobelloBracciforti e Alessandro Tedeschi – per la regia di Valerio Binasco; le musiche dello spettacolo sono di Arturo Annecchino, le scene di Carlo De Marino e i costumi di Sandra Cardini.

Aprile 1938. L’Austria è stata da poco annessa di forza al Terzo Reich, Vienna è occupata dai nazisti, gli ebrei vengono perseguitati ovunque. In Berggstrasse 19, celeberrimo indirizzo dello studio di Freud (Alessandro Haber), il famoso psicanalista attende affranto notizie della figlia Anna, portata via da un ufficiale della Gestapo.

Ma l’angosciata solitudine non dura molto: dalla finestra spunta infatti un inaspettato visitatore (Alessio Boni) che fin da subito appare ben intenzionato a intavolare con Sigmund Freud una conversazione sui massimi sistemi.

Stupefatto, Freud si rende conto fin dai primi scambi di battute di avere di fronte nientemeno che Dio, lo stesso Dio del quale ha sempre negato l’esistenza. O è un pazzo che si crede Dio?
 “Il visitatore” di Schmitt si confronta con l’eterno dilemma della fede – da un punto di vista insolito, attraverso lo sguardo di un uomo di scienza, dichiaratamente ateo, posto di fronte a uno dei momenti più drammatici dell’esistenza, ovvero mentre attende di avere notizie della figlia, condotta via da un ufficiale e presumibilmente prigioniera della macchina oppressiva e violenta del Teatro Reich nella Vienna sotto occupazione nazista.

Una delle pagine più nere del Novecento sembra attestare l’irredimibilità del genere umano: l’acquiescenza complice dei tedeschi, e degli austriaci, per convenienza o per paura, alle persecuzioni poste in atto del regime – fino all’estremo della “soluzione finale” – il riaffiorare di superstizioni e istinti xenofobi, costringono il medico della psiche, indagatore dell’inconscio, a interrogarsi sulla malvagità e debolezza dei suoi simili e, al cospetto di Dio, o di una sua presunta incarnazione, sul ruolo che l’Eterno gioca nel destino dei mortali. L’Essere supremo, Dio o Jahvé, non è forse altro che una continuazione delle capricciose divinità dell’Olimpo? Un semplice osservatore, superiore e distante, degli affanni terreni? Esiste una Provvidenza o la vita non è che un mero un gioco di dadi, figlia del caso e della fortuna?

In gioco – in questa situazione grottesca, al confine tra verità e follia – è il senso stesso dell’esistenza umana, scaturita dal caos o governata da un Ente superiore, destinata all’oscurità della superstizione e dell’ignoranza o alla luce del sapere. Un duello verbale sui fondamenti dell’essere e del vivere del mondo, sulla possibilità dell’uomo di fare a meno di Dio, o il doversi comunque affidare e confidare nella benevolenza dell’Essere supremo, per sottrarsi alla caduta verso i più bassi istinti, in una forma primitiva, ma non primigenia, preconizzata dall’ascesa del Führer e dei suoi seguaci.

Sull’orlo di una tragedia personale – la perdita della figlia amata, inghiottita dalle fauci della belva nazista (fortunatamente smentita dalla Storia) – Sigmund Freud ritrova la lucidità oltre l’orrore e la paura, e quella conversazione tra lo scienziato e un folle che si crede Dio – o forse Dio stesso che si mostra nei panni di uno degli ultimi – diventa un momento di grande teatro. Schmitt affida alla potenza evocativa e al pathos delle arti della scena il compito di emozionare, far sorridere e pensare gli spettatori, tra il ricordo della Shoah e la consapevolezza degli incubi del presente, in una presa di coscienza, attraverso la leggerezza della commedia, della responsabilità individuali, unico e fondamentale antidoto alla “banalità del male”.         
                                                                                                                                        

FOTO:ROSALBA PARADISO